The Weight

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The Weight

Nato con la gobba e abbandonato in un orfanotrofio, Jung è stato adottato da una donna che lo tiene nascosto in una soffitta e lo usa solo come uno schiavo nel suo negozio d’abbigliamento. La matrigna ha anche un figlio con il quale Jung ha un rapporto di odio e amore. Diventato adulto, Jung lavora presso l’obitorio, con il compito di ricomporre i cadaveri, in particolare deve vestire quelli che non hanno i soldi per pagarsi un funerale. Il suo è un lavoro nobile che giornalmente lo porta a essere l’ultimo essere vivente che in silenzio incontra i morti, in un misto di realtà e fantasia in cui i corpi senza vita si trasformano in amici e modelli per le composizioni che lui definisce opere d’arte. Jung deve prendere medicine in dosi massicce per combattere la tubercolosi e l’artrite. Nel frattempo assistiamo al dramma del fratellastro che si sente donna e vuole cambiare sesso. Jung vuole fare di tutto per aiutarlo e inizia la preparazione del suo capolavoro finale, un ultimo regalo che evidenzi il suo odio e amore… Il regista Jeon Kyu-hwan spiega così l’essenza del film: «Attraverso la figura di un gobbo di nome Jung, che sin dalla nascita prova un forte dolore, e quella dei vari personaggi che lo circondano, ognuno con i propri traumi, ho voluto raccontare il peso della vita che gli uomini si portano dentro, in forma di “fantasia grottesca”». Il film viene presentato in anteprima mondiale alla nona edizione delle Giornate degli Autori (un po’ l’equivalente di Directors’ Fortnight di Cannes) della Mostra di venezia 2012 dove rappresenta per la prima volta la Korea del Sud. Concorre anche per il Queer Lion Award.

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The Weight, JEON’s fifth feature, follows the life of a hunchbacked mortician who dresses the bodies of those unable to pay for a proper funeral. As his orphan background and adopted family life are revealed, we also learn of his tortuous relationship with a closeted sibling. The film stars CHO Jae-hyun, who coincidentally came to prominence as KIM Ki-duk’s leading actor of choice through much of his early filmography, starring in films such as The Isle, Bad Guy, Address Unkown, Wild Animals and Crocodile.

CRITICA:

“Si sa che i sudcoreani sono specialisti del cinema desolatamente inquietante: e in attesa di quel Pietà del venerato Kim Ki-duk, in concorso e aspirante al Leone d´Oro, l´altra notte gli spettatori di The Weight di Jeon Kyu-hwan (Giornate degli Autori) sono usciti ansimando e bisognosi di consolazione. Un altro cinescandalo? Si spera di no, anche perché il film è così tremendo da tramutarsi in pornofantasia, in incubo necrofilo, insomma in una specialità coreana. Luogo: un gelido stanzone della morgue, dove vengono portati i morti per incidenti stradali o per crimine. Qui c´è un malinconico gobbetto tisico, che se ne prende amorosa cura, lavando i corpi, ricomponendoli, sistemandoli nudi nelle bare come in un´alcova. Le esequie, indifferenti e frettolose, avvengono lì, tra le altre bare. Ogni tanto arriva un uomo col viso nascosto dal casco nero da motociclista, dà una mancia, e violenta un cadavere. Sono corpi di persone giovani e belle, e il gobbetto li venera, ci mangia accanto i suoi panini, dorme tra loro, e nelle notti silenziose e vuote, immagina che ballino insieme, o ballino con lui. Eppure anche lui ama, ma al regista coreano non basta quel che si è raccontato sin qui. E quindi ecco il gobbetto, adottato bambino da una madre carognissima (come lo sono quasi sempre le madri dei film coreani) che ha già un figliolino: i due fratellastri si vogliono bene, forse si amano, fino a quando uno s´ingobbisce e l´altro diventa un transessuale tossico e prostituto. Basta? No. Quando l´ammazzano e portano il suo cadavere all´obitorio, il gobbetto innamorato ne realizza finalmente il desiderio: fa di lui una donna, o per lo meno elimina quel che faceva di lei un uomo, e, coraggio cinefilo, la macchina da presa corre subito sul pavimento, dove giace, buttato via, il povero pezzetto superfluo di carne umana. Ma l´horror non è finito, e non lo si rivela per non guastare la gioia degli appassionati.
Film come questo, pur ammirevole nel raccontare con immagini belle la gelida sofferenza della vita da cui è cancellato ogni valore umano, potrebbero alimentare qualche brontolio mediatico.” (Natalia Aspesi, La Repubblica)

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