Vampiri amanti

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Vampiri amanti

Nella Stiria di fine ’800, una sedicente contessa (Dawn Addams) lascia sua figlia Marcilla (Ingrid Pitt) a riposarsi presso la casa del generale Spielsdorf (Peter Cushing) mentre lei parte per un viaggio. Laura (Pippa Steele), figlia del generale, diventa amica di Marcilla, ma si ammala in modo misterioso. Ha incubi terribili e, nonostante le cure, muore. Tempo dopo, Marcilla, che questa volta si fa chiamare Carmilla, ricompare nei pressi della villa di un vicino del generale Spielsdorf e, anche questa volta, quando viene ospitata nella villa, la figlia del proprietario, Emma (Madeline Smith), si ammala misteriosamente dopo aver intrecciato una morbosa relazione con lei. Vampirismo, è la diagnosi, ma la cura sarà difficile. Tratto dal romanzo breve Carmila di Joseph Sheridan Le Fanu, è il primo film della cosiddetta trilogia dei Karnstein che una Hammer (qui in coproduzione con la American International Pictures) alla disperata ricerca di nuove prospettive di fronte al mutare dei tempi realizza per ammodernare il suo filone vampiresco aggiungendovi sottolineature sessuali, soprattutto di lesbismo, prima lasciate come elementi impliciti. Raccontato con abilità dall’esperto Roy Ward Baker, il film risulta interessante anche per alcuni marginali approfondimenti psicologici nella figura di Carmilla, che non viene presentata come malvagia e sanguinaria tout court: il suo orrore per la morte che è costretta a dare, la sua disperazione appena latente per la consapevolezza della sua situazione e anche il piacere quasi doloroso che prova nel degustare un bicchiere di vino rosso, sono tutti aspetti che danno profondità al personaggio, interpretato con sensuale determinazione da Ingrid Pitt. Ed è interessante anche la figura del generale interpretato dall’ottimo Peter Cushing, qui in un ruolo di supporto: dopo che la ricerca del cadavere della vampira è stato coordinato dal barone von Hartog (Douglas Wilmer), quando si tratta di infilare il paletto si fa avanti proprio lui, Cushing. In quell’attimo nel suo sguardo fiero e malinconico si scorgono residui di lunghe battaglie cinematografiche contro i vampiri per cui solo lui poteva e doveva compiere quel lavoro e poco importa che qualche istante dopo, costretto dalla logica della sceneggiatura, il generale spieghi che lo fa per sua figlia morta. I valori di produzione non sono quelli ottimali delle vecchie produzioni Hammer, ma sono comunque all’altezza e il film, benché un po’ timido proprio negli aspetti che vorrebbe sfruttare commercialmente, è un solido e interessante film di vampiri, relativamente innovativo per l’epoca. (Salvagnini Rudy, Dizionario film horror)

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CRITICA:

Dal racconto lungo Carmilla (1872) di J. Sheridan Le Fanu. Bella vampira lesbica semina la morte tra le fanciulle. La fermano con la decapitazione. Horror con un’accurata ambientazione e attori “in parte”. Non poteva mancare il compassato Cushing. L’apparizione finale di uno sghignazzante cavaliere nero riapre la partita. A Carmilla si sono ispirati Vadim (Il sangue e la rosa, 1960), Mastrocinque (La cripta e l’incubo, 1964) e molto liberamente Dreyer (Vampyr, 1932). (Il Morandini)

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