“Il film può essere visto come un percorso di crescita e identitario, una riflessione, un bilancio, un ricordo: è senza dubbio un omaggio alla Madre in senso lato e a quella del regista in particolare. Si apre e si chiude con la bella immagine di un tramonto e con una poesia in latino, declamata dalla voce recitante di Gian Luigi Tosto, attore teatrale professionista, scritta dal regista e che si ripete sotto forma di canto alla fine.
Il protagonista, Giovanni Zigliotto, è un bel giovane che se la cava molto bene in un doppio ruolo, interpretando infatti due diverse ‘anime’ della stessa persona. Giovanni, nome anche del protagonista, in un momento in cui sembra essere malato, forse febbricitante, entra in un’aura oniroide, cinematografica forse … macchina… luci… azione, ma l’operatore non c’è. No la macchina non c’è. Un cammino di pensieri, di ricordi. Da un sipario ‘assoluto’, non dentro un teatro, esce Monni con una lista di personaggi simbolo da uccidere. Direi che Valerio, in queste sequenze, gioca con il pulp e si diverte ad eliminare una umanità infettata dal proprio ruolo. Giovanni, armato di una luccicante pistola, uccide prima un frate, poi un artista-pittore, una donna in carriera, un impiegato attaccato al e dal suo pc, un prete dalla cotta immacolata che si tiene vicino un bambino in Croce finalmente liberato dalla sua morte. In una scena notturna e inquietante, vengono eliminati due nazisti che custidiscono una spaventata prigioniera dietro mefitiche sbarre. Compare qui, perfettamente in tema ed epoca, una delle macchine di Valerio, una Fiat 524 del 1933. L’alter ego di Giovanni è a casa, la madre tranquilla, prepara la cena; sfinito, bagnato e sporco, anche il Nostro assassino rientra in sè e in casa. La Madre (maiuscolo), dolce ed accogliente, lo invita a farsi una doccia e cenare, gli parla, gli dice che si comporta come un paguro che sfrutta gusci vuoti di altri animali; sbaglia, non deve aver paura di sè, la sua interiorità meriterebbe addirittura un contenitore di cristallo. “Non pensare che io non sappia chi sei…? il sesso, il suo fascino, il suo dubbio. Un’altra antica macchina, una Barilla, con un ragazzo e una ragazza a bordo, squarcia il sipario sulla sua strada… In tutti i film di Valerio c’è la scena della raggiunta consapevolezza in cui si rompe un vetro che separa dal vero o uno specchio che riflette una immagine falsa e superficiale. Giovanni, di fronte allo specchio ed a una bottiglia di vino, riflette sulla vita e il suo senso, su sè e la sua realtà interiore. Fatto in mille pezzi il falso Sè che vede riflesso, trova il Sè nuovo, vero. A questo punto la scena, a mio parere, più suggestiva del film: notte, parco delle Cascine, piazzale del Re, macchina fissa sul Palazzo di Agraria illuminato da una calda luce arancione, le stagioni scorrono, caldo, freddo, profumo di erba tagliata o scricchiolio di foglie secche; la notte protegge, ferma e distante guarda scorrere tempo ed eventi. Incontro dolce tra il protagonista ed un ragazzo. La Madre, scortata da due maschere, li nasconde e protegge la loro intimità. La giovinezza urlante se ne va, la Guida sterminatrice anche… si dirada la nebbia. La Madre: “Vai per la tua strada, non sei più paguro, sei Giovanni”… Valeri Casciarri ha un’idea di cinema, il film nella sua autoctona e dilettantesca realizzazione è curatissimo, luci, colore, fotografia, la capacità espressiva e simbolica delle immagini è notevole, a momenti toccante” (Cristina Pucci, Toscanacultura.it)
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