La dolce vita è stata inventata da Fellini, raccontata da Flaiano e vestita da Schuberth, il sarto delle “dive e delle regine“. Nel suo sfavillante atelier di via Condotti s’incontravano tutti i protagonisti del jet-set internazionale, dell’alta società romana e di quella “Hollywood sul Tevere“ che proprio tra la metà degli anni ’50 e ’60 viveva la sua stagione più intensa e frenetica: da Sophia Loren a Gina Lollobrigida, da Soraya a Martine Carole, tutte affascinate da quello stile unico, eclatante e femminile al punto che in molte, all’epoca, scrivevano sull’invito di nozze… “La sposa indosserà un abito di Schuberth“! Personaggio eccentrico, abile propagandista della propria immagine eccessiva, Schuberth era riuscito a fondare uno stile italiano che si staccava finalmente dall’egemonia parigina. Eppure, alla sua morte, nel 1972, il suo magico atelier ne seguì in breve la sorte. Una parabola fulgida ma veloce, inconsueta nel mondo della moda dove una griffe lascia sempre degli eredi. Per raccontarlo, attraverso decine d’interviste e un fiume di immagini d’epoca che comprendono le “persecuzioni mediatiche“ riservate dai cinegiornali al personaggio Schuberth, i testimoni dell’epoca e i giovani che di Schuberth hanno imparato la grande lezione di stile e d’immagine. (Venezia 2011)
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