Qualcosa di noi

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Qualcosa di noi

Un gruppo di allievi di una scuola di scrittura di Bologna, “Bottega Finzioni”, una signora di quarantasei anni che fa la prostituta da undici, Jana, si incontrano in un borgo sulle colline di Sasso Marconi, in una casa che fu teatro d’incontri d’amore a pagamento. Il corpo, azienda di Jana, e il denaro sono gli elementi da cui parte il racconto. Gli allievi sono dodici, sui trent’anni più o meno, in cerca di ispirazione, lavoro, certezze e c’è Laura, attrice occupante del Teatro Valle e Paolo, proprietario di un bel ristorante, aspirante scrittore disincantato. L’avventura messa in scena nel borgo li appassiona tutti. Jana, con la sua presenza maliziosa e rassicurante, rimuove le timidezze come un cavatappi. I ragazzi si abbandonano alla magia di un piccolo set mettendo in scena se stessi in una tensione ludica, a fior di pelle, mentre lei si lascia tradire dalle sue contraddizioni. L’incontro mette in gioco e in comune diversi nodi. Il lavoro, la sopravvivenza e le sue rinunce, le false coscienze e i desideri profondi. Ci sono dubbi e confessioni. Il corpo e lo sguardo di Jana creano un cortocircuito di domande, che impiegano poco a passare da una platea di dodici ragazzi, a una molto più ampia. Iano (si chiama proprio così il borgo) a giugno è una distesa gialla di grano che balla col vento, dove un gruppo di ragazzi si è avventurato tra le spighe alte correndo e ridendo. Se li becca il contadino, non gli piacerà, ma a loro sembra non importare, in fondo una trasgressione così è più eccitante degli esercizi da camera da letto e i sentimenti sono più pornografici del sesso. Forse sono proprio quelli il vero tabù. Chiuso il set di Iano, i più intraprendenti sentono che l’esperienza non si è ancora conclusa e vogliono seguire Laura a Roma, nel teatro Valle occupato… “È interessante, diverso, aperto alle emozioni, questo documento in cui Wilma Labate mette insieme 12 allievi della scuola di scrittura Bottega Finzioni in una decameronica riunione sulle colline bolognesi, ospite d’onore una simpatica, consapevole 46enne prostituta con figli e fidanzato spagnolo, che si confessa, fa due conti, si psicanalizza tra gli aspiranti artisti.
Ciascuno dice la sua nevrosi, è come una seduta di gruppo: termina nel Teatro Valle occupato dopo un lungo excursus sui problemi di sesso correnti e ricorrenti, la forza del desiderio, d’ipocrisia e di convenzioni. La rivelazione è Jana, una spanna di sincerità sopra tutti gli altri: un comizietto d’amore aggiornato ai tempi e alle casistiche moderne, compreso il gay e l’emigrante londinese chic.” (M. Porro, Corsera – voto 7/10)

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CRITICA:

“… L’attrazione erotica per le storie, il piacere del guardare, la curiosità per un “mestiere” raccontato mille volte e sempre ammaliante, tutto in Qualcosa di noi riconduce all’eterna contrapposizione tra realtà e rappresentazione. Se il corpo di Jana è la fonte delle fantasie dei suoi clienti, perché non considerare un tramite altrettanto potente il corpo attoriale? Tutto riconduce, in ultima analisi, à la Fassbinder, alla necessità di essere amati. Per questo l’esperimento della Labate, tra sociologia e romanzo, potrebbe definirsi, come la sua interprete, un seduttivo “documentario di finzione”: in una campagna che – come nel Decameron – fa da cornice al mondo in preda alla peste (in questo caso, l’incapacità di accettarsi, di realizzare una propria dimensione affettiva, di fare delle scelte precise di vita), una prostituta diventa attrice, e un’attrice svela sentimenti, anche di frustrazione. E tutti (tranne un personaggio più scettico e imbarazzato) si lasciano andare alle confidenze più intime e riprendere in un continuo, libero flusso di coscienza.
Grazie ad un’intimità sorprendente con la macchina da presa, Jana ruba la scena al gruppo; appena il film si allontana da lei per aprire delle parentesi a Londra (non particolarmente significative per delineare il personaggio di Orso), o per associare ai temi indagati un’incursione di gruppo al Teatro Valle di Roma, o sceglie il voyeurismo o una seduzione “costruita” nel finale, la perdita di tensione è netta. Le didascalie in coda, poi, dicono molto di più ai protagonisti che non al pubblico, per via del dichiarato intento se non “didattico”, aspirazionale del film, che arriva a compimento di un processo laboratoriale di un anno. Accattivante, anche per la difficoltà di avvicinare tematiche così delicate e intime, Qualcosa di noi è esperimento, forma che resta volutamente aperta, incompiuta, terapia di gruppo che lascerà un segno in chi avrà il coraggio non solo di guardare ma di guardarsi. Dentro. VOTO: 3/5 (Raffaella Giancristofaro, MyMovies.it)

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Di fronte alla macchina da presa due gruppi contrapposti: da una parte alcuni aspiranti scrittori e dall’altra Jana, prostituta per scelta. Due mondi che più diversi non si potrebbe immaginare, benché Jana sia stata scelta per essere il punto di origine di un’ispirazione creativa di cui i giovani autori sembrano avere un gran bisogno.
Questo almeno è lo spunto che ha portato Wilma Labate a tentare lo strano mélange. Ma Jana non è una persona qualunque, infatti partita con il ruolo apparentemente più difficile mano a mano fagocita lo schermo e non meno le personalità poco incisive dei suoi interlocutori. Che si dimostrano impreparati ad accettare gli aspetti meno convenzionali della vita altrui.
Il fatto è che Jana ha una incredibile capacità di mettere gli altri a confronto con i propri fantasmi, un’attitudine affinata in anni di lavoro a contatto con le debolezze degli uomini, intesi in questo caso come genere maschile. Non che con le donne si trovi in difficoltà, anzi. Alle prese di posizione moralistiche delle artiste in erba risponde con pari efficacia e determinazione, mettendone in luce limiti e scarsa sensibilità. Una figura straordinaria, che inevitabilmente mette in ombra il resto della compagnia.
Difficile stabilire se la regista abbia avuto ben chiaro quale sarebbe stato il finale dell’incontro/scontro, però abilmente si adegua alle circostanze. Il risultato dell’indagare finisce infatti per essere, oltre che l’incredibile ritratto di un’indomita, l’analisi puntuale delle ambizioni artistiche e intellettuali di tanti giovani impreparati ad affrontare la vita vera. Un lavoro risolto a base di verità mostrate e parimenti di non detti, come in una seduta di psicoanalisi. E il riferimento è più che mai appropriato in quanto l’occhio della regista scava nell’anima restituendo turbamenti che non lasciano insensibili. (Angela Prudenzi, Cinematografo.it)

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