L’esibizione tennistica del 1973 tra l’ex campione Bobby Riggs (un sempre ottimo Steve Carrell) e la campionessa Billie Jean King (una Emma Stone che si consacra ai vertici della recitazione femminile), prima donna a venire onorata col titolo di miglior sportivo dell’anno da Sport Illustrated, è stato l’incontro di tennis più visto negli USA, allo stesso livello di un Super Bowl, con oltre 90 milioni di spettatori e più di 100 milioni d’incasso.
Il film della coppia sposata Jonathan Dayton e Valerie Faris (Little Miss Sunshine) ci racconta non solo questo straordinario evento ma anche tutto quello che sta dietro alle vite dei due protagonisti, che si dividono equamente l’ampia durata dell’opera. Con Billie Jean King seguiamo le difficoltà che deve affrontare una donna nel mondo maschilista dello sport, la durezza nel dover confrontarsi con l’omofobia dilagante, anche della concorrente Gladys Heldman (Sarah Silverman), la solitudine conseguente, soprattutto quando si raggiungono i massimi livelli, che porta ad uno stile di vita quasi ascetico. Poi abbiamo la scoperta dell’orientamento sessuale, il suo rapporto segreto con l’enigmatica parrucchiera Marilyn Barnett (Andrea Riseborough), illustrato con bellissime scene che ci mostrano l’intensa attrazione sensuale e l’impatto che questa storia può avere sia sul suo matrimonio con Larry (Austin Stowell) che sulla sua carriera sportiva, tutti elementi che accompagnano anche l’impegno nell’associazione delle donne tenniste e la lunga lotta per conquistare la parità di genere (all’inizio del film King si dissocia dalla Lega Nazionale del Tennis che accetta una enorme disparità di trattamento economico tra donne e uomini con questi ultimi che incassano otto volte di più). Il film alla fine, pur restando nel solco della commedia, è una interessante storia contro le discriminazioni di genere e l’omofobia, in un tempo, non molto lontano, in cui le donne erano persone di serie B e lesbica era solo una parola sporca.
Con Bobby Riggs ci troviamo davanti ad un uomo entrato nella crisi di mezza età, che tenta di staccarsi dalla ricchezza di una moglie ereditiera giocando compulsivamente d’azzardo. Entrambi si amano ma entrambi faticano a comunicare. Riggs non è un uomo capace di riflettere, è impulsivo, misogino e spesso affensivo anche verso i colleghi, quasi un buffone (il richiamo a Trump è assai evidente). Proponendo un incontro con l’attuale campionessa femmminile vorrebbe ristabilire l’ordine delle cose, cioè la netta supremazia del tennis maschile (sebbene Riggs abbia ormai 55 anni e la King solo 29), e ritrovare un momento di celebrità (e soldi). Nel film la componente agonistica della gara viene abilmente miscelata con le storie personali dei due protagonisti, catturando la nostra attenzione e partecipazione dall’inizio alla fine del film. Delizioso l’attore gay Alan Cumming nel ruolo di Ted, stilista come il suo compagno, che offre il suo amabile sostegno a King. Il regista Jonathan Dayton ha dichiarato: “Questo è il progetto più impegnativo delle nostre carriere. E’ un film sportivo, una storia d’amore, un dramma socio-politico e anche una commedia. Quarantanove anni dopo quel formidabile incontro, ci troviamo ancora davanti agli stessi problemi. Quella partita ci sembra sia stata un’anticipazione del modo in cui la politica sta lavorando oggi nel nostro Paese, dove il dibattito viene spesso ridotto ad un evento d’intrattenimento”. Un film con ottima sceneggiatura ed interpretazioni, una perfetta alchimia d’ironia, divertimento e commozione. Imperdibile.
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Visto ieri all’Arcigay di Mantova per il cineforum dell’accoglienza e mi ha lasciato una bella sensazione: due punti di vista, due atleti e un cambiamento storico dove le ideologie si scontrarono. Voto: 8.
L’inserire la contrapposizione antagonista uomo\donna, maschio cattivo\femmina buona, “donne oppresse\maschi oppressori” anche nelle rece dei film è un’emerita stronzata.
Rileggersi magari la questione “ruoli di genere” e “perché il patriarcato non esiste”.