Kill Me Please

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Kill Me Please

Film vincitore del Roma Film Festival 2010. In una clinica di un paesino montano del Belgio, si offre ai pazienti un singolare servizio: questi ultimi vengono aiutati a morire. A gestire la clinica, il dottor Kruger, medico dalla personalità integerrima e fortemente dedito al lavoro, che aiuta gli avventori nel difficile passo. In un gelido inverno, in mezzo alla neve, un campione di varia umanità si ritrova nella struttura: ma a mettere a rischio il lavoro di Kruger arriveranno presto gruppi di attivisti armati, che si oppongono all’attività della clinica… Il modo in cui il regista tratta questi argomenti è quello dello sberleffo, della provocazione iconoclasta, dello sputo punk. La riflessione ragionata, il film a tesi, la stura per le disquisizioni sociologiche non abitano qui. Quello che vediamo è piuttosto una sfilata di personaggi caricaturali, ma intelligenti nel loro ricalcare tipi umani portati all’estremo (la studentessa depressa, il giovane attratto dalla morte fin da bambino, l’attore ipocondriaco, la cantante trans che ha perso la voce) che danno vita a dialoghi grotteschi, surreali, e che con il loro interagire fanno della morte e della loro determinazione a morire un argomento come tanti, di cui si può ridere o piangere. O a cui si può restare indifferenti, portando fino in fondo il nichilismo che il film, sotto sotto, esprime. Cinema indipendente orgogliosamente pulp (sì, per una volta Quentin Tarantino potrebbe essere citato non a sproposito: alcuni dei dialoghi hanno una matrice chiaramente tarantiniana) che usa gli strumenti del cinema d’autore (come il bianco e nero e l’assenza di musica extradiegetica) per inscenare un balletto macabro, in cui lo spettatore mantiene sempre, magari suo malgrado, un irriverente ghigno sul volto. (Marco Minniti, Movieplayer.it)

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Questo film al box office

Settimana Posizione Incassi week end Media per sala
dal 14/01/2011 al 16/01/2011 18 42.051 2.002

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3 commenti

  1. Kill me please e’ un film agghiacciante. Sviscera una tematica di grande valore e richiamo sociale come quella del suicidio, ponendo indirettamente allo spettatore mediante il susseguirsi delle storie narrate, il quesito se sia giusto o meno legalizzare il suicidio. Il bianco e nero intride la pellicola di un maggiore claustrofobico senso di soffocamento. Non vado oltre ma lo consiglio, fa riflettere.

  2. zonavenerdi

    All’inizio sembra un filn serio … e anche mentre subito dopo. Ma più ci si inoltra nei minuti il film diventa sempre più sconclusionato, carica di personaggi sempre più grotteschi. Una cosa è sicura: l’inizio e la fine del film non sono lo stesso film!

  3. è orrendo e sconclusionato.
    l’inizio promette bene, ma di punto in bianco e diventa uno sparatutto come le peggiori scene di tarantino.
    il finale poi l’ha scritto un ubriaco, o uno che non ha visto l’inzio del film

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trailer: Kill Me Please

https://youtube.com/watch?v=olOneougzzU%3Ffs%3D1%26hl%3Dit_IT

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“«Ho fatto un film punk e voi siete una giuria punk», dice Olias Barco, il regista francese che ieri sera con Kill me please ha vinto il premio al miglior film del quinto Festival del cinema di Roma: «Mi ha ispirato Marco Ferreri». Sul palco c’è anche Zazie de Paris, l’attrice trans che dal vivo concede il bis, visto che in questa grottesca, irresistibile e «scorrettissima» storia di aspiranti suicidi (uscirà nelle sale grazie a Vania Traxler) è il contralto di mezz’età che pretende di mettere fino ai suoi giorni e all’arte con un canto del cigno. Ed eccola che canta, leopardata e con la chioma rossa, la sua versione dell’inno nazionale francese, in sala c’è qualcuno che lo prende sul serio e si alza in piedi. Sergio Castellitto, il presidente di una giuria in cui hanno trovato posto registi, giornalisti, scrittori e direttori di musei, spiega: «È un film che scapicollava rispetto a tutti gli altri, con una sua strana densità morale. Se la violenza viene mostrata ai Tg non ci fa paura, ma la abbiamo quando viene raccontata in modo sovversivo e politicamente scorretto. Alla fine di discussioni belle e mai aspre abbiamo sempre raggiunto i consensi unanimi»…” (Valerio Cappelli, Corsera)

CRITICA:

“Tutti seduti immobili, senza commenti. Silenzio in sala. Eppure Kill me please è finito, le luci sono accese, è mezzanotte, ma nessuno si alza. I casi sono due: tutti stupefatti per ammirazione o per choc. Più probabile la seconda ipotesi. Nella clinica dei suicidi assistiti del dottor Kruger si vira al pulp color piombo quando meno te lo aspetti. E non aiuta, per riprendere fiato, nemmeno il look kitsch leopardato della giunonica Zazie De Paris. E non aiuta la nebbia appena usciti dal cinema. Meglio Kill me please di pomeriggio. Molto meglio.” (C. Ferrero, La Stampa)

“…Olias Barco, sceglie i toni della commedia nera per raccontare con Kill me please la parabola sulfurea di una clinica per suicidi, dove clienti e infermieri, oltre naturalmente al direttore, saranno costretti a fare i conti con un altro tipo di morte, quella violenta e per niente programmata che seminano alcuni inferociti abitanti del posto. La «lezione» arriva chiara e forte (teorizzando certe scelte, non si sa dove si rischia di finire) e lo fa per antifrasi grazie a uno stile irridente e grandguignolesco (a volte fin troppo), dove follie personali e gusto della provocazione, ambiguità ideologiche e piacere dello sberleffo vanno di pari passo verso un’ecatombe generale che lancia la sua ultima frecciata contro il «sanguinario» inno della Francia.” (P.Mereghetti, Corsera)

Kill me Please è l’unico vero film a sorpresa uscito fuori dalla selezione dell’ultimo Festival di Roma (pieno di film poco interessanti e già visti altrove), lì premiato, e giustamente, con il Marc’Aurelio come miglior film. È una commedia nera, con toni grotteschi e un finale horror su di un tema delicatissimo, e attuale: il suicidio. La storia verte intorno a una clinica, spersa tra le montagne innevate, e gestita dal Dottor Kruger (il cui nome già ricorda un personaggio dei film horror), che in maniera illuminata accoglie quei clienti che vogliono passar a miglior vita, ma in maniera assistita e dignitosa. Girato in un feroce bianco e nero, senza alcun accenno di musica, spesso con macchina a mano (e anche per questo sembra appartenere al dogma di Von Trier), sfrutta il meccanismo comico della ricerca del suicidio (ricordate Ho affittato un killer di Kaurismaki), facendo leva su tutta la froza stridente del cinema nero belga, e soprattutto del fumetto, la cui tradizione è ancor più nera. Il regista Barco cita Marco Ferreri e il suo cinema. (D.Zonta, L’Unità – voto: 3/5)

Un minaccioso e funereo bianco e nero per raccontare di una delirante e tranquillla casa di cura dove si pratica, col sostegno pubblico, un festoso e costoso trapasso medicalmente assistito. Una storia che parte col tono grottesco e via via diventa una tragedia con i personaggi sterminati uno dopo l’altro, dal caso imprevedibile, dal delirio di un cecchino, dall’assurdità terroristica, dalla follia assassina, soprattutto dal gesto suicida e dal rito del suicidio assistito. Il film belga del quarantenne e a noi sconosciuto regista francese Olias Barco, “Kill me please” non commuove, fa ridere come la più nera e assurda delle commedie splatter, e certo ci porta a pensieri politicamente scorretti anche se per niente bigotti. Anche perché alla fine è la morte a riprendere il sopravvento. (R. Nepoti, La Repubblica – vot 4/6)

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