Jesus

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Jesus

Jesus, diretto da Fernando Guzzoni alla sua opera seconda dopo Carne de perro (2012) inedito in Italia, è stato premiato al 34° Torino Film Festival per la migliore interpretazione maschile di Nicolas Duran con la seguente motivazione: “per un ritratto molto credibile, che veicola una gamma di emozioni, da parte di un talento così giovane e promettente”. Nel film, un dramma intenso e autentico, Duran interpreta Jesus, giovane bisex sfaccendato di Santiago, appassionato di hip-hop, che passa il suo tempo a studiare coreografie con gli amichetti della discoteca, a stordirsi inalando gas mefitici dalle bombolette, a ubriacarsi in gruppo, a guardare video in cui i narcos fanno a pezzi le proprie vittime a colpi di machete. Ogni tanto ha rapporti sessuali frettolosi e un po’ brutali col migliore amico – scena inattesa ed esplicita piuttosto forte – o con una ragazzina conosciuta durante una delle frequenti serate in preda allo sballo. Col padre vedovo Héctor (un efficace Alejandro Goic) ha un pessimo rapporto, non riesce a comunicare realmente, limitandosi all’essenziale quelle poche volte che lo vede poiché è spesso via per lavoro.
Se l’inizio del film ricorda l’ennesimo ritratto dei millennials latinoamericani perduti, senza educazione né possibile futuro professionale, la vicenda assume spessore quando il branco di cui fa parte Jesus malmena in un parco un giovane gay – una lunga scena dal realismo impressionante – mandandolo in coma. A quel punto la narrazione si fa racconto morale, con Jesus preso da rimorsi e pentimenti, intenzionato a raccontare tutto e riconoscere le proprie responsabilità ma frenato dai complici che assolutamente vogliono tacere. Sarà chiarificatore l’intervento del padre di Jesus, in una svolta narrativa che ricorda non poco proprio Desde Allà, a riprova di quanto il tema del ‘padre assente’ o poco partecipe sia assolutamente nevralgico nella trattazione della tematica LGBT di questa nuova (e buona) onda di cinema sudamericano. Con uno stile molto contemporaneo, nervoso e semidocumentaristico, il regista Guzzoni dà il meglio proprio nella seconda parte del film, in cui si comprende quanto il fenomeno del bullismo omofobico non sia mai casuale ma una piaga che andrebbe arginata a partire dall’educazione famigliare e quella scolastica. Jesus non ha ancora una distribuzione italiana ma la meriterebbe. (R. Schinardi, Gay.it)

synopsis

A film about the fragility of a father-son relationship. Two characters, two generations, one journey. A search for redemption, friendship. A story of violence, betrayal and guilt.

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Recensione di Fernando Guzzoni su Quinlan.it

Teen movie e parabola morale dalle tragiche implicazioni etiche, Jesus di Fernando Guzzoni è un film a tesi, ma riesce a raccontarci senza filtri i tormenti della gioventù cilena. In concorso al TFF.
La ricerca della propria identità spinge il diciottenne Jesús a mettere continuamente alla prova i propri limiti. Questo, però, porta lui e i suoi amici a compiere un’azione dalla quale nessuno può tornare indietro. La sola persona a cui rivolgersi, allora, è la più inaspettata, cioè il padre di Jesús, con il quale il ragazzo ha un rapporto superficiale, nonostante sia l’unico genitore rimastogli. [sinossi]
Quella tra padre e figlio è una relazione complessa, foriera di tragici sviluppi. Due sono gli archetipi proposti dalla mitologia greca, e indagati in seguito dalla psicoanalisi, dalla letteratura, dal cinema: il padre Crono che inghiotte i figli, per preservare il suo potere, oppure il figlio Edipo che uccide il padre per giacere con la madre, e ottenere anche il potere. Ha il sentore di un’antica e ineludibile tragedia Jesus, opera seconda del cileno Fernando Guzzoni, sviluppata in seno al Torino Film Lab e ora in competizione al festival sabaudo. Il giovane autore cileno mescola racconto di formazione e parabola morale, adotta gli stilemi di un teen movie ruvido e scabroso (siamo più dalle parti di Gummo che da quelle di Stand by Me), senza dimenticare di offrirci, relegato sullo sfondo, ma ben presente, il suo punto di vista su una nuova generazione di cileni che ha avuto la fortuna di non conoscere personalmente gli orrori della dittatura di Pinochet, ma ne possiede, quasi per eredità generica, la violenza.
Jesus procede con una narrazione scissa in due parti, la prima dedicata alla quotidianità irrequieta di un adolescente (il Jesus del titolo) che si ritrova, durante una notte brava, ad essere complice dell’omicidio di un coetaneo, e una seconda che vede invece il padre fare del suo meglio per trovare una “soluzione” al misfatto compiuto dal figlio. È una storia semplice quella di Jesus, che Guzzoni maneggia con innegabile talento per la messinscena, quale abile pedinatore dei suoi personaggi, setacciatore dei loro tormenti. L’adolescente Jesus è il classico ribelle senza causa, fa parte di una boy band (lo vediamo esibirsi in un contest, nel folgorante incipit del film), la musica è la sua principale passione, come ben testimoniano i due tatuaggi che ha sul collo: una chiave di violino a destra, una chiave di basso a sinistra. Il ragazzo trascorre le sue giornate con gli amici, tra esibizioni di strada, bevute, sniffate di vernice, la visione collettiva delle esecuzioni dei narcotrafficanti su YouTube, cameratismo e sessualità disinibita. Il padre è una presenza lasca nella sua vita, piomba in casa sua per esortarlo all’ordine, alla pulizia e a terminare gli studi, dal momento che ha già perso un anno di scuola. Poi, una sera, Jesus e i suoi compari si ritrovano a sbevazzare in un parco e qui, anziché tirare due calci ad un pallone, pensano bene di prodigarsi nella medesima mansione con un coetaneo. Anzi, in principio dicono di volerlo aiutare, lo esortano ad andare via di lì perché è pericoloso restare nel bosco di notte, ma il povero “cappuccetto rosso”, in stato quasi di coma etilico, non sa, e forse non saprà mai, dato il suo stato di incoscienza, di essere finito proprio tra le fauci del lupo cattivo.
Quando i telegiornali riportano la notizia della morte celebrale del ragazzo, la situazione si fa piuttosto tesa, il gruppo di amici si scioglie, Jesus vorrebbe denunciare l’accaduto, ma ha paura e si rivolge al genitore, che a questo punto diventa il fulcro della vicenda, facendosi carico delle colpe del figlio e delle relative implicazioni etiche e morali.
Ecco allora che a metà film il protagonista diventa il padre, un personaggio misterioso, imperscrutabile, di cui sappiamo poco o niente, ma che in tutta evidenza prova una certa soddisfazione nel tornare a incarnare in pieno il suo ruolo, rendendosi utile non più solo tramite degli sterili e inascoltati rimbrotti, ma accudendo realmente il suo bambino, che ora ha davvero bisogno di lui. Ed è proprio qui che si gioca tutto il senso del film, nella messinscena di un percorso già più volte affrontato dal cinema (pensiamo all’ottimo Il caso Kerenes di qualche anno fa) e che mira a rispondere a una domanda arcinota: “cosa saresti disposto a fare per tuo figlio?”.
È un film a tesi dunque Jesus e in quanto tale un po’ acerbo, ma nella sua prima parte, quella dedicata alla quotidianità del ragazzo, riesce a trascinarci senza filtri all’interno di una giovane umanità aspra e incompiuta, figlia di una generazione che troppo poco comunica del suo vissuto e della sua storia. E il suo rimosso rischia di creare mostri.


Recensione di Fabien Lemercierda su Cineuropa.org

Vincitore del premio del miglior film della sezione Nuovi Registi a San Sebastian nel 2012 con il suo primo lungometraggio di finzione, il tenebroso Carne de Perro, il cineasta cileno Fernando Guzzoni è passato quest’anno al livello superiore del festival basco con Jesús [+], presentato in competizione ufficiale dopo la sua prima mondiale a Toronto. Ma questa ascesa non ha alterato il mordente del cineasta che firma una nuova opera cupa quanto la precedente, trattando questa volta la questione del “peccato” e del senso di colpa dall’angolo della gioventù e del presente – dopo averlo fatto attraverso il filtro del passato – ed esplorando il dilemma morale di un personaggio centrale sull’orlo del baratro e al limite estremo dell’empatia dello spettatore. Il film, stilisticamente riuscito dietro l’apparenza realistico-documentaria che analizza le derive di adolescenti abbandonati a se stessi nelle notti di Santiago, sviluppa la sua parabola in due tempi piuttosto distinti. La sceneggiatura scritta dal regista dapprima esplora minuziosamente il quotidiano del suo protagonista, Jesús (Nicolás Durán), un ragazzo di 18 anni in procinto di abbandonare la scuola, che vive con suo padre vedovo (Alejandro Goic), molto poco presente in casa, con cui la comunicazione è minima e l’incomprensione reciproca è massima (cene silenziose davanti alla tv, battibecchi ripetuti su occhiali da riparare o un cellulare da acquistare, ordini meccanici ad andare a scuola). A parte la passione per la danza K-pop e qualche avventura fugace (segretamente bisessuale), l’influenzabile Jesús sembra venir inghiottito da una banda di amici al limite della delinquenza, tra bevute notturne di Piscola in un parco (in realtà è un cimitero) e la visione, accompagnata da risate, di un video del Cartello del Golfo messicano in cui si sgozza un Zeta. Un vagabondare che sfocerà in dramma, quando una notte il quartetto si accanirà contro un giovane sconosciuto picchiandolo fino a mandarlo in coma. Un evento che porta la narrazione a un faccia a faccia padre-figlio, con Jesús che deve affrontare le conseguenze del suo atto (il senso di colpa, le minacce dei suoi complici) e suo padre che deve decidere fino a che punto proteggere suo figlio. Impregnato di straordinario realismo, il film deve molto alla fotografia eccezionale di Barbara Alvarez (già al lavoro in Carne de Perro e apprezzata anche per La mujer sin cabeza [+] e E’ arrivata mia figlia!) che gioca abilmente con le ombre della notte e offre al regista gli ingredienti perfetti per dispiegare la sua consumata arte delle atmosfere deleterie e fare il ritratto di una società cilena brutale e tormentata. Un quadro senza concessioni tracciato con una serie di sequenze shock e crude in linea con una certa tendenza del cinema latinoamericano contemporaneo (Reygadas, Escalante, Franco) che ama mischiare il controllo puntuale della messa in scena e del tempo con lo scoppio delle pulsioni e le brusche virate del racconto. Questa inclinazione allo scoppio improvviso, specialmente carnale, la cui sovrabbondanza è discutibile e urterà un po’ le anime più sensibili, illustra con giustezza la spirale oscura che trascina Jesús verso la catarsi del suo giudizio. E sarà interessante vedere quale direzione prenderà in futuro Fernando Guzzoni, un cinesta chiaramente molto dotato, dopo questi due film che sondano con ostinazione il cuore delle tenebre.

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