Il film vuole essere un dietro le quinte della pellicola, girata il 3 dicembre 1966 da Shirley Clarke nel suo appartamento (nel giro di sole 12 ore), “Portrait of Jason”, forse l’unico ritratto di un prostituto e tossicodipendente gay in epoca pre-Stonewall. Jason intervistato sulla sua vita, inizia a parlare di se stesso con una certa gioia e serenità che però man mano, conseguenza anche dell’alcol che gli viene fatto bere, si trasforma in qualcosa di triste e tragico. Il documentario fu acclamato e premiato per la libertà con cui parlava di sesso, droga e omosessualità. Tuttavia si chiacchierò molto su come Shirley e il suo compagno Carl Lee, un brillante attore eroinomane afro-americano, sfruttarono Jason Holliday, coinvolgendolo anche in un triangolo amoroso, portandolo al limite di un crollo psicologico. Il film vuole essere la ricostruzione romanzata di quanto potrebbe esere accaduto in quella giornata. Soprattutto viene messa in rilievo la manipolazione programmata della Shirley, che si dimostra cinica, quasi machiavellica, al fine di ottenere quello che voleva, con l’intento di rendere il film più interessante, senza curarsi delle conseguenze su Jason. Jason a sua volta sembra disposto a tutto pur di ottenere il compenso che gli è stato promesso. Il film valorizza bene l’interpretazione di Jack Waters nel ruolo di Jason e pure Sarah Schulman è alquanto efficace come Clarke (nonostante un copione per niente gentile nei suoi confronti), ma complessivamente rimane ad un livello poco approfondito, senza aggiungere molto alle impressioni che si possono avere guardando il documentario originale.
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