Hunky Dory

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Hunky Dory

Dopo “Tangerine” un altro bellissimo film che colpisce per la freschezza e la spontaneità di una storia ai margini. Il critico musicale Stephen Thomas Erlewine ha descritto il film con le stesse parole con cui presnetò l’omonimo album di David Bowie del 1971: “un mix travolgente di arte cinematografica alta e bassa, di ambigua sessualità, di kitsch e classe”. Protagonista, Sidney (Tomas Pais), un bisessuale che di notte lavora come drag queen, un personaggio assolutamente privo degli abituali cliché del genere. Di notte dorme in giro nella speranza di raccimolare qualche soldo. Ha un ottimo rapporto con il figlio undicenne George (Edouard Holdener) che vive con la madre. Sidney è consapevole della sua condizione, anche se magari non è la migliore che avrebbe desiderato. A complicare le cose bussa alla sua porta, senza nessuna spiegazione, il piccolo George. Adesso il suo modo di guadagnarsi da vivere diventa una necessità primaria (sarà costretto a rubare le pillole all’amico malato di cancro per rivenderle ad uno spacciatore). Li seguiamo per una settimana, quattro giorni segnati dalle didascalie, nei vari appuntamenti di Sidney con vecchie fiamme (uomini e donne) e nuovi incontri, mentre cerca di stringere amicizia con la prostituta Bunny (Nora Rothman). Sono tutte figure presentate senza melodrammi, anche la drag queen Diomede malato terminale, ritratti in modo gentile ed ampiamente positivi. Se lo spettatore può forse avere da ridere sullo stile di vita di Sidney, nulla potrà obiettare sulle sue capacità di padre verso il giovane figlio, un affetto che ci ruba il cuore sia quando li vediamo fare la spesa insieme o imitare il gioco del baseball o assistere ad uno spettacolo hardcore, o quando ascoltiamo le perle di saggezze di Sidney (“Dove dobbiamo sempre guardare? Sempre in alto , verso le stelle, e mai verso il basso dei nostri piedi”). Quando però Sidney si rende conto che la madre di suo figlio non tornerà più a riprenderselo, comprende che qualcosa deve cambiare nella sua vita. Ma non sarà facile…
Possiamo lamentarci della evidente restrizione del budget ma non certo della superlativa bravura degli interpreti (da tenere d’occhio il protagonista, sceneggiatore ed autore del soggetto Tomas Pais) unita ad una trama energica ed a dialoghi sempre suggestivi. Uno dei migliori film della stagione, giustamente premiato in diversi festival come Atlanta Film Festival 2016 (miglior film), BendFilm Festival 2016 (miglior attore), Nashville Film Festival 2016 (miglior film LGBT), Oak Cliff Film Festival 2016 e Slamdance Film Festival 2016 (premio speciale della Giuria). Scelto come film di chiusura del Florence Queer Festival 2016.

synopsis

Taking the David Bowie song as his drag name, narcissistic, bisexual Sidney (the film’s co-writer, Tomas Pais) is stuck in a glam rock-informed state of arrested development, still harboring aspirations of becoming a successful musician. But his hedonistic Silverlake, Calif., lifestyle is somewhat cramped when his sweet son, Georgie (Edouard Holdener) is dumped at his doorstep by his paranoid-schizophrenic ex, forcing him to enlist the babysitting services of a jaundiced hooker (Nora Rothman) in order to perform a low-tipping gig.

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