Hannah Gadsby: Nanette

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Hannah Gadsby: Nanette

Provate a immaginare un paese dove fino al 1997 l’omosessualità è stata considerata un reato. Ci siete riusciti?
Ebbene, è la Tasmania, stato a sud dell’Australia.
Solo dopo 20 anni dalla decriminalizzazione dell’omosessualità, nel 2017, il premier Will Hodgman è stato il primo leader del continente oceanico a chiedere scusa a tutti coloro che hanno sofferto a causa di quelle leggi: l’omosessualità era punibile con 21 anni di reclusione in carcere. Ventuno.
Hannah Gadsby è una donna lesbica nata in una piccola città della Tasmania, ha 40 anni. Ha cominciato nel 2017 a portare il suo monologo nei teatri, con numerosi successi, ora è arrivata su Netflix.
Con la sua stand-up comedy, registrata niente meno che alla Sydney Opera House, ci parla della sua storia, che è la nostra storia. Sì, perché questo monologo di circa un’ora riguarda anche noi, da vicino.
Hannah è una lesbica mascolina, come ce ne sono tante, coi capelli corti, una faccia pulita, a volte furbetta, due piccoli occhi azzurri. Con il sorriso ci dice cose che una lesbica pensa, sente e vive tutti i giorni.
Ci racconta con tanta ironia di quando in un negozio ci sentiamo dire “Signore, desidera?” (Can I help you, sir?) invece che “Signora, desidera?” (Can I help you, madame?), con un certo imbarazzo dell’interlocutore quando si accorge che ha di fronte una donna. Dai, quante volte ci è capitato? Tante.
Ci racconta con simpatia come siamo riuscite a fare autoironia sulla nostra condizione di lesbiche, sulla nostra vita, ci fa ridere e ci ammansisce, ci delizia con le sue battute, è proprio brava.
Ma è anche capace di raccontarci di una società maschilista e sessista nella quale la vergogna di essere diversa ti viene inculcata sin da bambina, nella quale ti vergogni di quello che sei e quindi ti odi. Di un mondo nel quale le lesbiche devono essere raddrizzate da “un bell’uccello”, ma in un bagno di dolore, un mondo nel quale un uomo che ti trova a parlare con la sua ragazza alla fermata dell’autobus, non ti picchia, perché una donna non si picchia mai, ma ti pesta perché sei lesbica.
E non succede solo in Tasmania.
Hannah mette in discussione il suo mestiere, ci dice che c’è un punto della nostra vita in cui si fanno valutazioni, rivalutazioni. Vero.
“Ho fatto dell’autoironia il mio cavallo di battaglia. Ma non voglio più farlo. Perché cos’è l’autoironia per qualcuno che già di suo è marginalizzato? Non è umiltà, è umiliazione. Ironizzo su me stessa allo scopo di chiedere il permesso di parlare.” Questo ci racconta.
Ci racconta di come sarebbe fare la parte dell’uomo bianco e etero, quando ci scambiano per “Signore”, colui che ha il potere, che decide per noi e per il corpo delle donne. Per narrarci questo ci porta un pochino nella storia dell’arte, nelle vite dei grandi (Van Gogh, Picasso), così come le ha studiate a scuola nel suo academic degree in storia dell’arte. Nei quadri, il corpo delle donne è rappresentato come un vaso floscio, misoginia e distruzione sistematica della donna permeano la vita di artisti che le hanno rappresentate in più modi. La storia l’hanno decisa gli uomini.
Si fa silenzio nella sala quando ci ricorda che “chi viene reso impotente non perde la propria umanità. Gli unici che perdono l’umanità sono coloro che si azzardano il diritto di rendere un altro essere umano impotente. Sono loro i deboli.”
La diversità è una forza. E “arrendersi senza farsi distruggere richiede una forza incredibile”.
Hannah Gadsby è capace di tenerci incollati alla poltrona con il giusto equilibrio di tensione e risata, profondità di introspezione e battuta.
Il suo lavoro è rivoluzionario, dà l’idea che per arrivare lì abbia fatto tanta strada e un grande lavoro su di sé.

Direi che, infine, non si capisce bene perché lo spettacolo si chiami Nanette, ma ciò che si capisce bene è che la risata non è la nostra cura. “La battuta non è sufficientemente sofisticata da riparare il danno di cui sei stata vittima nella realtà.” Quante volte ci siamo sentite così? Quante volte ci siamo sentite così danneggiate da capire che da quel punto non si torna più indietro?
La rabbia non è la nostra cura, no, nemmeno quella.
E allora? Allora alla fine Hannah ce la dà una soluzione. Ma questo non lo rivelo.
Perché dovete vedere il monologo di Hannah Gadsby?
Per questa rivelazione. Guardatelo fino alla fine, non vi deluderà.

È proprio brava Hannah Gadsby, bravissima. Voto: 10/10

Roberta Bellora

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