Varie
Accusato di omosessualità per l’amicizia che lo legava al figlio del marchese di Queensbury, Oscar Wilde (1854-1900) fu condannato ai lavori forzati. Scontata la pena e abbandonato da tutti si ritirò a Parigi in un volontario esilio. È uno dei due film contemporanei sul processo al famoso scrittore irlandese. P. Finch è eccellente nel mettere in risalto le componenti infantili dell’imputato. Impeccabile ricostruzione d’epoca. (Il Morandini)
… Un film come questo Garofano verde di Ken Hughes affronta in fondo una questione che ancora oggi “non” può essere trattata sullo schermo se non in senso umoristico oppure obliquamente. Parliamo dell’omosessualità che, nonostante qualsiasi accurata ricostruzione ambientale, non può non essere il vero e il solo argomento di un film su Oscar Wilde. Come è noto, infatti, la fama di Oscar Wilde è legata molto più al personaggio che alle opere. E il personaggio, a sua volta, è rimasto nella memoria soprattutto per la sfida che lanciò alla società del suo tempo e per la sconfitta che fu la conclusione imprevista della sfida. Ma perché Wilde lanciò la sfida e perché fu sconfitto? Diremmo che il motivo principale dell’intera vicenda va ricercato nel fatto che Wilde, nel campo in cui avrebbe potuto essere il più forte, cioè la letteratura, era in fondo un conformista, appartenendo in realtà pienamente alla società del tempo che, invece, nel campo tanto più insidioso per lui del costume, aveva sfiorato quasi la rivolta. Scrittore tutt’altro che d’avanguardia, volgarizzatore elegante di temi e modi del decadentismo francese, Wilde fu sconfitto proprio a causa del suo snobismo che lo spingeva ad attribuire più importanza alla società che alla letteratura, di modo che una volta espulso dalla società, non gli riuscì di essere quel puro letterato che aveva sempre preteso di essere e non era invece mai stato. Era insomma una “public figure”, un personaggio pubblico e il suo dramma si inserisce non tanto nella storia della letteratura quanto in quella del costume. Stando così le cose, pensiamo che, come abbiamo già notato, un film su Wilde non dovrebbe fare a meno di affrontare frontalmente la questione dell’omosessualità. Bisognava, insomma, far capire che la sfida di Wilde non era stata volontaria e letteraria (come quella di un Rimbaud o di un Genét) bensì involontaria e sessuale. E mostrare che la debolezza di Wilde stava non tanto nell’essersi rivoltato contro la società dell’epoca quanto di non averlo fatto con il mezzo di cui disponeva, cioè la letteratura. Ken Hughes ha fatto invece l’operazione inversa. Per quanto riguarda l’omosessualità ha accettato il punto di vista della morale corrente non tanto diverso da quello vittoriano, evitando di descriverla e arrivando persino a suggerire che i rapporti di Wiide con i suoi amanti erano davvero platonici, come Wilde stesso pretendeva. E d’altro canto ha avallato l’idea di un grande poeta perseguitato da una società bigotta. In altri termini ha tentato di farci credere che Wilde non era l’omosessuale che era e era invece il grande scrittore che non era. Donde una diffusa falsificazione e convenzionalità da cui si salvano soltanto gli interrogatori in tribunale appunto perché, probabilmente, ricostruiti sui verbali dei processi. Lo sappiamo, l’omosessualità ancora oggi, non può essere mostrata “come tale” sullo schermo. Ma soltanto mostrandola nella sua verità si poteva parlare con verità del caso Wilde… (Alberto Moravia, 1975 – vedi RASS. ST.)
Visto ieri su Cult. Fatto bene sopratutto nel narrare il bigottismo della società. Presente anche in questo secolo.
Veramente bello!