Dimmi che destino avrò

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Dimmi che destino avrò

A Cagliari, il commissario di polizia Giampaolo Esposito (Salvatore Cantalupo) deve occuparsi del caso della presunta scomparsa di una ragazza rom di un centro di accoglienza in periferia. Di fronte ad un apparente rapimento, Giampaolo si addentra nella comunità rom, conoscendo una realtà e una cultura diverse da quelle che immaginava. Ha anche modo di stringere amicizia con Alina (Luli Bitri), un ragazza rom emigrata a Parigi che si batte contro i pregiudizi sulla sua gente. Ritornata in Sardegna nel suo villaggio natale, Alina si vedrà costretta a confrontarsi con se stessa, rivedendo la sua vita, le sue aspirazioni e la sua vera identità. Questo passaggio segnerà la fine di una stagione della sua vita e l’inizio di una maturità che la renderà più consapevole delle sue debolezze. Tutto il cinema di Peter Marcias, sardo di nascita e romano d’adozione, testimonia un forte interesse per le tematiche sociali e politiche. Nel film, il commissario di polizia Giampaolo Esposito, deve vedersela anche con il figlio gay che frequenta un locale di drag queen.

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NOTE DI REGIA:

«Dimmi che destino avrò è il punto di partenza di un “viaggio”, prima personale e poi da condividere. Prima di cominciare, ignoravo quasi tutto della cultura rom. A poco a poco, grazie a Gianni Loy, scrittore e sceneggiatore che è stato il vero ispiratore di tutto, sono entrato in sintonia con un’opera veramente complessa, sia per l’aspetto narrativo che per i signifIcati ed i sottintesi della storia.
Una storia che fa riferimento a situazioni che mi sono care, come la diversità, l’integrazione, il dramma sociale, affrontate poi con un tocco di realismo magico.
Tra le scelte caratterizzanti e signifcative nello sviluppo del progetto, ho condiviso il netto rifuto della facile tentazione di una scrittura in chiave antropologica o sociologica e la scelta di affrontare il tema del rapporto tra le due culture, quella dei rom e quella dei “gaggè”, in forma diretta, priva di ogni velo o condizionamento che potesse alterare l’essenza del problema.
La storia ha un luogo ed un tempo, necessario ed indispensabile, che si colloca nel mezzo di episodi, qualche volta drammatici, che offrono l’occasione per soffermarsi sulla problematica della convivenza di differenti culture ed etnie.
Ma il film parla soprattutto, ed essenzialmente, di amore. Della possibilità di ascoltarci senza tener conto dell’etnia, della religione, del colore pelle e di altro ancora…. È una strada lunga, a volte diffcile, ma è il mio viaggio».
Peter Marcias

IL SOSTEGNO DELL’UNICEF

Con le musiche di Éric Neveux e con un cast artistico composto in parte da attori non professionisti di origine rom, Dimmi che destino avrò ha ricevuto il sostegno del Comitato Italiano dell’Unicef «per l’alto valore del messaggio contenuto nel flm. Il tema della discriminazione dei gruppi più emarginati di bambini e adolescenti viene raccontato con grande sensibilità e delicatezza. La conoscenza reciproca si rivela ancora una volta chiave d’ingresso alla libertà, all’inclusione e a una crescita serena».

CRITICA:

Aina è una ragazza di origini rom che vive da anni a Parigi. Rientrata nel campo dei genitori, nei pressi di Cagliari, incontra il commissario di polizia della città, a cui è stata affidata l’indagine su un caso di rapimento interno al campo. Tra i due nasce un’amicizia dapprima guardinga poi sempre più stretta. In cambio della sua collaborazione alle indagini, Alina chiede al commissario di non limitarsi a stare ai bordi della sua comunità ma di conoscerla dall’interno, allenando un gruppo di piccoli calciatori.
Si potrebbe credere che il regista si nasconda dietro il personaggio di Alina, a suo agio tra due culture al punto da conoscere i limiti e i pregiudizi di entrambe, invece, per sua stessa ammissione, Peter Marcias è più simile al personaggio interpretato da Salvatore Cantalupo, non avendo mai messo piede in un campo rom prima dell’inizio di questa avventura cinematografica.
In fondo, però, il discorso del film è molto più in generale un discorso sul grande tema del nostro tempo, quell’integrazione che l’etica auspica e la realtà allontana. Con Dimmi che destino avrò Marcias trasforma letteralmente il messaggio in mezzo, realizzando l’integrazione a livello della costruzione filmica, ovvero ibridando finzione e realtà. Anziché, però, mutuare il procedimento della docufiction, che integra i documenti relativi al reale con delle ricostruzioni inventate ad hoc, qui accade l’inverso: è la realtà a supplire e completare la finzione. Dopo una partenza quasi di genere, che potrebbe tranquillamente essere l’ingresso di un giallo, l’oggetto dell’indagine si allarga dalla persona del ricercato ad un mondo intero e subisce una nuova e speculare trasformazione quando il poliziotto entra nella baracca della famiglia di Alina -che è una vera famiglia di nomadi- e finisce per diventare lui stesso l’oggetto della diffidenza e della curiosità dei presenti.
Il movimento che dalla finzione narrativa man mano procede verso un’immersione sempre più profonda nella realtà, fino a confondere i fattori (in una sorta di scambio finale ideale tra le figure di Alina e del commissario), è l’esperienza emotivamente più interessante che il film regala allo spettatore, oltre che la dimostrazione che il metodo usato dal regista per portare la vita nel cinema (e viceversa) è una strada ancora poco frequentata che può dare invece dei bei risultati.
Pur con qualche imperfezione e ingenuità (ci si chiede, per esempio, se c’era davvero bisogno della storia privata del commissario per insistere sul tema dell’accettazione della diversità), Dimmi che destino avrò è un film nel quale si respira una salubre aria di libertà creativa e si applaude alla prova di una giovane grande attrice quale è Luli Bitri. (Marianna Cappi, Mymovies.it)

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“Prendi un’idea e trattala male”. Un campo rom alla periferia di Cagliari. Una donna misteriosa che torna da Parigi per stare accanto alla famiglia. Un commissario di polizia gentile e un forse innamorato. Oscillando fra fiction e documentario, con Dimmi che destino avrò il regista sardo Peter Marcias (giunto al quinto film) apre uno spiraglio sul tema della difficile integrazione delle comunità rom in una terra troppo spesso dimenticata. Una Sardegna brulla e ancora rurale, insolitamente invernale, sospesa fra accoglienza e timore. Il fratello di Alina rapisce la giovane di cui è innamorato. Come prescrive la tradizione, alla fuga seguirà il matrimonio, una festa campestre celebrata in compagnia. Ma la denuncia per rapimento innesca un’indagine che porterà Alina e il commissario ad avvicinarsi in modo inaspettato. Nel frattempo le limitazioni alla libertà personale incombono sull’esistenza degli abitanti del campo, costringendo tutti a prendere posizione. Se le buone intenzioni costellano il progetto di Marcias, che coraggiosamente entra nei campi rom (un mese e mezzo trascorso fra Monserrato e Selargius), coinvolgendo attori non professionisti sulla base di una sceneggiatura scritta da Gianni Loy, il risultato lascia interdetti. Gli spunti di riflessione, intendiamoci, non mancano: l’interazione che non riesce mai trasformarsi in integrazione; la ricerca di un’identità nella trasformazione (il figlio del poliziotto che lavora in un locale frequentato da transessuali, la figura di Alina, figura indipendente e coraggiosa, ma indissolubilmente legata a una tradizione rivendicata con fermezza) nello scenario apparentemente immoto dell’isola; la dialettica fra chi rifiuta l’accoglienza e chi si oppone a ogni intervento discriminatorio. Eppure gli ingredienti non si amalgamo, complice una certa tendenza al didascalismo e l’incapacità di trasporre le idee in pregnante immagine filmica. Le buone intenzioni rimangono accenni mentre il punto di vista degli autori, sempre esibito nei dialoghi, pare assente da immagini che si susseguono senza centro e senza spessore. Televisivo e raffazzonato, il progetto di Marcias rimane un’occasione sprecata. (Sofia Bonicalzi, Indie-Eye.it)

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Ambientato e girato interamente tra le spiagge e il campo nomadi di una Cagliari invernale, il nuovo film di Peter Marcias racconta la storia di Alina e Giampaolo, una ragazza di origini rom che da anni vive a Parigi per lavoro che torna nel suo villaggio natale per passare un po’ di tempo con la sua famiglia e un commissario di polizia di mezza età, vedovo e padre di un ragazzo adolescente, cui viene affidata un’indagine che coinvolge la sparizione di una ragazza nel campo rom nella periferia della città. Durante le indagini i due stringono un legame amichevole ma quando scatta l’emergenza nazionale per il monitoraggio, il censimento ed eventuale espulsione dei rom senza permesso di soggiorno e documento d’identità, la rabbia di Alina si sfogherà tutta nei confronti di Giampaolo che dal canto suo è in disaccordo con i metodi istituzionali che impongono le impronte digitali anche ai bambini. Da questa nuova prospettiva la donna dovrà confrontarsi con se stessa, con le sue origini, e con le speranze per il futuro dei suoi fratelli attraverso un viaggio dell’anima che la condurrà a rivedere la sua vita, le sue aspirazioni e a riflettere sulla sua vera identità. Ma anche Giampaolo sarà costretto ad affrontare per la prima volta un mondo che non aveva mai conosciuto se non da lontano e presto al suo ruolo di commissario di polizia si sostituirà quello dell’uomo, l’allenatore-padre che con un pallone di calcio, il dialogo e la disciplina riesce a stabilire una connessione con i ragazzi del campo rom e a regalare loro il sogno di un futuro migliore. “Prendi questa mano, zingara, e dimmi pure che destino avrò” recitava una celebre canzone di Iva Zanicchi, ma in questo film, il quinto tra documentari e lungometraggi di finzione diretto dal regista di origini sarde classe ’77, è la zingara a chiedere lumi sul suo futuro, anzi gli zingari tutti. Dimmi che destino avrò è una strana commistione tra fiction e documentario, con qualche escursione nel dramma sentimentale, che affronta l’annosa problematica dell’emarginazione del popolo rom e della ricerca dell’identità in un paese come l’Italia che non concede la cittadinanza ai figli di stranieri nati sul territorio, un paese ‘evoluto’ che in base alla razza emette norme speciali e che decide sulla base della razza se una persona è più italiana di un’altra o è più pericolosa di un’altra o se ha più diritti di un’altra. Ma per i rom la situazione è ancora più complicata perché a caratterizzare questo popolo è la devastante sensazione dell’assenza di una patria, di un luogo da cui non essere cacciati via, un posto da chiamare casa in cui tornare quando ci si sente perduti.
Dimmi che destino avrò è in definitiva un’opera che va divisa ed analizzata in due parti. Ad una parte documentaristica molto interessante ed accurata, girata in una Cagliari non certo da cartolina all’interno e tra le baracche di un vero campo rom, fa da contraltare una parte di finzione non di certo all’altezza per quel che riguarda i dialoghi, la scrittura dei personaggi e l’interpretazione degli attori, sicuramente più adatti ad un prodotto televisivo. E’ in questa seconda parte che la regia di Marcias risulta piuttosto anonima, priva di uno sguardo capace di andare in profondità sia nel rapporto speciale che si instaura tra i due protagonisti sia nelle delicate tematiche sociali che la storia si propone di affrontare. Il risultato è purtroppo un film incompleto, coraggioso e inconsueto nel panorama italiano che rimane però troppo in superficie ed incapace sia di offrire una chiave di lettura interessante sia di catturare l’attenzione e il cuore dello spettatore nonostante l’attualità dell’argomento e l’urgenza morale e sociale di trovare una soluzione che metta fine alla sofferenza di un popolo ingiustamente e immeritatamente trattato come reietto. Un vero peccato che i due attori protagonisti non riescano ad instaurare la giusta alchimia sulla scena perché sia Luli Bitri, la bellissima attrice di origine albanese che interpreta il ruolo di Alina, che il bravissimo Salvatore Cantalupo, attore di teatro napoletano apprezzato sul grande schermo nella Gomorra di Matteo Garrone, di talento ne hanno davvero da vendere.(Luciana Morelli, Movieplayer.it)

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