Il Ciclone

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Il Ciclone

In un paesino della Toscana vive la famiglia Quarini, il padre Osvaldo e i tre figli Levante, Libero e Selvaggia. Levante è ragioniere e tiene la contabilità di alcuni negozi. Osvaldo e Libero lavorano nei campi, Selvaggia è commessa nella farmacia. Levante, quando va in paese, si ferma nel casolare vicino e da lontano parla con Gino, un contadino che non si vede mai e di cui si sente solo la voce. Un giorno una compagnia spagnola di flamenco arriva al casolare, scambiandolo per l’albergo di agriturismo dove dovrebbe soggiornare per tre giorni in occasione della festa locale. La compagnia è formata da un amministratore, due tecnici e cinque bellissime ballerine. Non avendo altre possibilità, il gruppo si insedia in casa Quarini, portando lo scompiglio. Le ballerine fanno le prove in attesa dello spettacolo, e tutti guardano con grande ammirazione e interesse, non solo il vecchio Osvaldo che ritrova slanci giovanili, e Libero, un po’ matto e svitato che sogna l’avventura, ma anche Selvaggia che ha tendenze omosessuali, vive una storia con Isabella, altra commessa della farmacia, ed ora è attratta dalla ballerina Penelope. Levante è invece colpito e affascinato da Caterina e cerca di fare amicizia con lei, dovendo tenere a bada le insistenze di Carlina che vuole conquistarlo. Lo spettacolo, all’improvviso viene annullato. Naldone, l’amministratore, è disperato e senza soldi. Tenta il suicidio ma a salvarlo arriva Franca, la barista, che si innamora di lui ed è ricambiata. Levante e Caterina passano momenti insieme, e l’amore tra loro si consolida quando Caterina decide di lasciare il suo superficiale fidanzato che era venuto a trovarla. Alla fine il gruppo riesce a ripartire. Ma Levante segue Caterina in Spagna. Qui i due, sposati, sono in attesa di un figlio, e Levante ha ripreso il proprio mestiere di ragioniere in terra spagnola. Dopo il ciclone, poco, in conclusione è cambiato.

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3 commenti

  1. thediamondwink

    Sarò impopolare, ma a me Pieraccioni non ha mai fatto ridere, soprattutto nei suoi film e questo, per quanto si dica uno dei migliori, a me ha lasciato proprio un’evitabile noia!

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CRITICA:

“Si ride? Insomma. C’è qualche battuta (Madonna parabolica; Che vuol dire catalana? Sarà un modo di dire, una cosa che non esiste come l’Atalanta e la Sampdoria); il toscano è piacevole e disinvolto; dal casale vicino risuona la voce di Mario Monicelli, invisibile; Enrichi, Ceccherini, D’Aquino funzionano (ma per adeguarsi al tono ilare-esagitato l’ottimo Hendel è costretto a fare un macchiettone tremendo, mentre Haber è tenuto a briglia stretta). Meno appetibili il mix di dialoghi sboccati e buoni sentimenti, il paesino arcadico, la piattezza della regia (con una finezza: l’arrivo delle ballerine, anticipate dagli sguardi che si bloccano fissando un punto fuori campo), il familismo di fondo che esalta la languida Forteza e confina la Estrada, troppo sexy dunque destabilizzante, al ruolo di lesbica. Magari Pieraccioni poteva osare di più.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 15 dicembre 1996)

“Una gradevole, corale, opera seconda in cui l’autore trentenne non utilizza medazioni nè intellettualismi, va diritto, complice il sapore dialettale, allo scopo dello “scandalo” sentimentale con tutti i rischi dell’ovvio e del goliardico, pregi e limiti della semplicità con cui si presenta al pubblico. Allestendo, con una variopinta compagnia, la “fiaba” dell’arrivo di cinque ballerine di flamenco, olè, che scombinano i precari equilibri della famiglia e del paese. “(Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 24 dicembre 1996)

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