La Casa di bambù

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La Casa di bambù

Nel Giappone appena uscito dalla guerra un poliziotto americano (Stack) si infiltra nella banda di un ex soldato (Ryan) che è diventato un boss della malavita. I due codividono vari rischi, e tra loro nasce quasi un’amicizia (o un amore?) prima dell’ovvia vittoria della giustizia. Un film assolutamente classico nella struttura, remake della “Strada senza nome” sceneggiato da Harry Kleiner, che Fuller sa reinventare con un tocco personalissimo (per esempio nel modo con cui sono studiati i rapporti ambigui tra un gangster nevrotico e un poliziotto che uccide senza provare nessuna emozione). E così. al di là dell’esotismo di maniera, ne esce un noir sottilmente ambiguo con rapine studiate come manovre militari e personaggi non convenzionali, i cui temi saranno più volte riciclati (per esempio “Point Break”). Il poliziotto colpito ad una spalla nell’automobilina della giostra è lo stesso Fuller. Primo film americano girato in Giappone dopo il secondo conflitto mondiale. (Il Mereghetti)

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trailer: La Casa di bambù

https://youtube.com/watch?v=qNwewyPCORw

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CRITICA

«Film di una purezza stilistica impressionante, La casa di bambù riesce a scolpire con pochi tocchi anche il sotto-motivo “scandaloso” e inquietante, quel rapporto semiomossessuale fra un gangster nevrotico e un poliziotto che uccide senza alcuna emozione. Con questa ipnotica ballata dai contorni affilati e tersi, Samuel Fuller cerca di precisare ulteriormente il proprio “concetto” di delinquenza: Ryan gestisce la sua banda con criteri meticolosi, le rapine vengono studiate con l’aiuto di una mappa, i compiti sono sudddivisi per ordine gerarchico, i tempi calibrati quasi da “ordine di servizio”. Scavando nelle mascelle serrate di Robert Ryan, asciugando la fredda disumanità del poliziotto, usando il Cinemascope non per esornare ma per isolare tragicamente il “bellum omnium contra omnes”, si ottiene un’atmosfera di malessere degna del Fritz Lang americano e “poliziesco” al suo inimitabile modo.» (Valerio Caprara, Il Castoro Cinema)

Per sgominare una banda nippo-americana in Giappone, organizzata con metodi militari, s’infiltra un agente governativo USA che ha l’appoggio delle autorità locali. Ma la sua vita corre sul filo del rasoio. Aperto con una formidabile sequenza, la rapina al treno e l’omicidio all’ombra del Fujiyama, il racconto prosegue in discesa con un ritmo incalzante. Ottimo Ryan in un personaggio di latente omosessualità, e una suggestiva fotografia in Cinemascope. S. Fuller appare nella particina di un poliziotto giapponese ucciso da Ryan. È uno dei suoi 5 film legati in qualche modo all’Asia. (Morandini)

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