Un ricordo del soggiorno di Pasolini a Palermo nei primi anni Settanta. Un omaggio alla figura dell’intellettuale omosessuale, attraverso il racconto di chi lo incontrò durante quel viaggio.
“Che l’opera di Ciprì e Maresco non sia banalmente provocatoria, né vuotamente cinica, né squallidamente umoristica, lo si capisce meglio quando i due iniziano a lavorare sulla misura media e lunga. Nei documentari, ad esempio. Cioè quando ritraggono Palermo nella sua dimensione spettacolar-religiosa (Grazie Lia, dedicata alla santa patrona della città) e religiosa-spettacolare (il bellissimo Enzo, domani a Palermo! sull’equivoca ma vitalissima agenzia di spettacolo di Enzo Castagna, storico personaggio del settore […] ), o quando affrontano in maniera non riverente e per questo profonda uno dei loro fratelli maggiori, Pier Paolo Pasolini, ai cui abboccamenti palermitani durante la lavorazione de I racconti di Canterbury è dedicato Arruso (in italiano «omosessuale», ma rendono meglio i dispregiativi «frocio» o «ricchione»), nel corso del quale vengono intervistate diverse persone che testimoniano o millantano amicizie e collaborazioni con il poeta scrittore e regista emiliano, e che rispondono all’immancabile voce off come e meglio dei sottoproletari di Pasolini (uno per tutti Saverio D’Amico, collaboratore proprio di Enzo Castagna, il quale, di fronte alla volutamente banale, squallidamente novecentesca domanda sugli intrecci tra arte e inclinazione sessuale di Pier Paolo Pasolini, supera il problema a pié pari rispondendo con una massima involontariamente degna della «rosa senza perché» di Angelus Silesius: «Il regista è regista. L’arruso è arruso»).” (Nicola Lagioia, “In memoria di Ciprì e Maresco”, in “Lo Straniero”, febbraio 2010)
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