Un mese in campagna

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Un mese in campagna

Traumatizzati dalla prima guerra mondiale, due reduci passano un mese nelle campagne dello Yorkshire: Birkin vuole portare alla luce un affresco medievale, Moon una tomba antica. Birkin si innamora della figlia del vicario. Moon si innamora di Birkin. Il film cerca l’introspezione senza calcare troppo la mano, lasciando molto all’intuizione dello spettatore. Film di poesia, di paesaggi, sia interni che esterni, cioè sia dell’animo umano che della campagna inglese, tocca l’anima delle persone sensibili e lascia un bellisssimo ricordo. Peccato che i film successivi di questo regista siano stati di livello qualitativo molto inferiore.

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Yorkshire, 1920. Birkin, un londinese reduce di guerra (è diviso dalla moglie) si installa in una casetta in mezzo al verde, ingaggiato dal vicario Keack del vicino paese per ritrovare sotto l’intonaco un antico affresco. Introverso com’è, oltre che traumatizzato da durissime esperienze belliche, egli si adatta alla meglio – presi accordi con il vicario suddetto, uomo brusco e glaciale – a vivere all’interno del campanile e presto si impegna nel recupero dell’opera, mentre poco a poco si innamora – sia pure in incontri rarissimi, quanto occasionali – della graziosa moglie del reverendo. Contemporaneamente, sul prato vicino alla chiesa pianta la sua tenda Moon, un altro reduce, un archeologo incaricato di trovare nel terreno un’antichissima tomba (e lui confida di scoprire anche i resti di una chiesa arcaica). Anche Moon (un omosessuale) ha riportato dalla guerra impressioni e immagini di morte, ma si è salvato per essere stato condannato a sei mesi di carcere, avendo violato la sua ordinanza. Birkin fa qualche conoscenza (il capostazione e i suoi bambini, affascinati dal suo lavoro di restauratore; il maniscalco del paese) e vive di lontano il suo timido sogno d’amore; Moon soffre da solitario la sua omosessualità (di cui Birkin viene informato da uno sconosciuto, ex-combattente anche lui), finché un giorno scopre la tomba ricercata e, dentro, lo scheletro di un uomo che reca al collo una mezzaluna di metallo. ” questi il pittore – forse un prigioniero, condotto un tempo in Inghilterra – autore di quel “Giudizio Universale” che Birkin è ormai riuscito a riportare integralmente alla luce, seppellito in quanto infedele fuori del cimitero e tuttavia presente nell’affresco. Un mese è trascorso: Moon smonta la propria tenda e pare deciso ad emigrare assai lontano. Anche Birkin, sbrigativamente pagato, dovrà partire e della donna con la quale null’altro vi è stato se non uno scambio di sguardi, non resterà che il ricordo, legato a quello del “Giudizio”, dove beati e dannati appaiono uniti e divisi allo stesso tempo. Tutti gli esseri umani sono inchiodati alla loro solitudine, compresi quel vicario di campagna, deluso e amareggiato tra gente pigra e ipocrita e la giovane signora Keack, poco amata e destinata ad invecchiare coltivando rose e frutta.

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