Sylvano Sylvano

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Da Patty Pravo a Moana Pozzi, passando per Carmelo Bene fino a Pier Paolo Pasolini, Sylvano Bussotti ha attraversato con le sue note sperimentali e d’avanguardia tutto il secolo scorso. Una serie di conversazioni senza veli a casa del celebre compositore, noto per il suo eclettismo, rievocando il bambino pieno di curiosità fino agli incontri con celeberrimi personaggi del mondo del teatro, della musica e del cinema, in un racconto impreziosito di aneddoti di una stagione irripetibile. (Mix)

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Conversazioni con il compositore, direttore d’orchestra, attore, regista e pittore. In alcune conversazioni a Milano riprese dal 2009 al 2011 la vita, le opere e i molteplici incontri di Bussotti con personaggi provenienti da tutti i campi: da John Cage a Luciano Berio; da Moana Pozzi a Patty Pravo; da Nureyev a Carmelo Bene; da Karlheinz Stockhausen a Luigi Nono.

Sylvano Sylvano – un documentario di Tiziano Sossi, che voleva girare un film su Giorgio Gaslini
Al Festival Mix di Milano, il documentario di Tiziano Sossi su Sylvano Bussotti

intervista di Chiara Zanini (su http://www.rapportoconfidenziale.org/?p=31762)

Chiara Zanini: Sylvano Bussotti è uno dei grandi compositori della nostra epoca, ma è anche pittore, poeta, romanziere, regista, attore, scenografo e costumista, cantante, organizzatore di eventi culturali. Prima del suo documentario non gli era ancora stato dato un giusto tributo, non trova?

Tiziano Sossi: Sì, soprattutto in Italia. All’estero si fa di più: al Moma di San Francisco c’è stato un omaggio e molti artisti internazionali lo stimano moltissimo. Luigi Esposito, suo allievo e collaboratore del Maestro, ha scritto la biografia “Un male incontenibile” (Bietti, 2013) intervistando anche me. Ho parlato della mia collaborazione con Bussotti, che non si ferma al solo documentario (di cui al Napoli Film Festival e al Mix di Milano si è vista una versione ridottain cui mancano i racconti di Morricone, Muti, La Monte Young, Sinopoli.. Per citarne solo alcuni.)
Inoltre ho restaurato il suo Apology, montato il suo inedito Rara Film 2 e realizzato un cortometraggio sul suo armadio-collage, che ho ribattezzato L’Art-madio.

CZ: Bussotti ha conosciuto i frequentatori di Fluxus e artisti di tutto il mondo. Ha ricevuto premi e riconoscimenti, ha vissuto a Parigi, a Firenze, a Milano, a Berlino, negli Stati Uniti. Nonostante ciò non è diventato una celebrità quanto l’amico John Cage. Forse non è nemmeno noto ai più giovani e al grande pubblico. Come mai?

TS: Il carattere col tempo si è smussato ma la severità, l’anticonformismo e il non voler scendere a compromessi sono rimasti. E in Italia tendiamo a dimenticare i nostri artisti. Ad esempio, dopo il documentario con Sylvano girai Salvatore Licitra – Una voce quasi per caso. Licitra negli Stati Uniti era considerato l’erede di Pavarotti. Ci lasciò dopo pochi mesi. Escludendo tre proiezioni (a Napoli, in Sicilia e a Vedano al Lambro) non sono riuscito a farlo ricordare a dovere. In televisone dopo la notizia della morte non è stato fatto nulla, tranne un piccolo tributo di mezz’ora alla domenica mattina su Canale 5, usando le mie riprese senza citarmi. Si potrebbero fare decine di altri esempi con artisti italiani.

CZ: Nel documentario Bussotti parla degli incontri con Pasolini, Moana Pozzi, Nureyev, Carmelo Bene, Stockhausen, Berio, Nono, John Cage. Alcuni di questi ricordi indicano l’importanza di ricordare chi come lui ha condotto una personale battaglia contro l’omofobia, non scontata anni fa e nemmeno oggi.

TS: È così che deve essere. Lei infatti ha citato nomi di celebrità etero e gay, perché questa è la chiave: nessun preconcetto, né da un lato che dall’altro. Frequentando gli Stati Uniti vedo anche con amici afro-americani questo problema: l’essere repressi. Si può parlare di donne, gay e lesbiche, di afro-americani, di indiani in Gran Bretagna, di nativi americani. L’antagonismo di rivalsa non porta buoni frutti.

A differenza della maggior parte dei documentari il mio non è incentrato su persone che parlano del protagonista, ma è attraverso il protagonista che riecheggiano gli altri. Faccio documentari che definisco “antropologici”, cioè sull’essere umano e la sua cultura. Ho girato documentari su musicisti, scrittori e poeti, contadini, in cui tutti sono sé stessi e non ci sono i filtri che troviamo nella maggior parte dei documentari. Io stesso non appaio che in fugaci comparsate, perché considero i miei documentari fatti dagli stessi protagonisti. Sono il loro tramite e loro sono sempre contenti dei risultati, alla fine si riconoscono.Un film che può essere vicino ai miei è quello di Schlöndorff su Wilder [Billy, ma come hai fatto?] anche se il regista tedesco è sempre presente davanti alla cinepresa con le sue domande a Wilder. Ma Wilder rimane sé stesso. Un capolavoro! Il mio Tinto Brass – Politicamente scorretto era tutto sul regista, al contrario di quello realizzato più recentemente da un suo collaboratore, che presenta il rischio dell’agiografia. Stimo chi intervisto, ma lascio che appaia com’è, con pro e contro, senza filtri o abbellimenti.

CZ: Molte persone GLBT non si dichiarano per paura che questo possa incidere negativamente sul loro lavoro. Le donne ancora più raramente.

TS: È il senso di colpa che deriva dal cattolicesimo. Una sorta di repressione dovuta all’educazione. Su alcuni gay dichiarati ho girato dei documentari: Paul Vecchiali, Vincent Dieutre, Edmund White. Con Edmund abbiamo fatto anche un discorso sull’educazione repressiva che lui stesso ha sperimentato. Pasolini e Lucio Dalla non hanno mai fatto trapelare molto. A volte accade per privacy, come gli etero famosi che non sbandierano le fidanzate.
Non dichiararsi è spesso letto dal movimento omosessuale come codardia, ma l’etichetta data agli esseri umani per l’orientamento sessuale e affettivo crea settori, quando invece bisognerebbe semplicemente essere tutti uniti, non ghettizzare o ghettizzarsi.

CZ: Gianni Amelio ha detto, rispetto al documentario sugli omosessuali da cui ha escluso le lesbiche: «[…] ritengo che il problema sia diverso, che sia diverso il loro rapporto con la società. Se due donne passeggiano tenendosi per mano nessuno ha niente da ridire e anche in famiglia non è così duro confessarlo. Per una società maschilista come la nostra, l’omosessualità femminile non è oggetto di sberleffo insultante, semmai è considerata qualcosa di eccitante. Comunque mi auguro che ci sia una donna che faccia “Felice chi è diverso” al femminile».

TS: Ammetto di non essermi chiesto della mancanza di una cinematografia a tematica lesbica, pensando ci fosse. Ma è vero. Ricordo, da storico del cinema quale sono, il bellissimo Immacolata e Concetta di Salvatore Piscicelli: è del 1981, quindi addirittura 33 anni fa. Probabilmente esistono film indipendenti italiani sul tema, ma non hanno avuto notorietà. Ci sono film con accenni al lesbismo, ma non storie incentrate solo sull’argomento. Recentemente in un rassegna che curo a Monza ho proiettato Lenny di Bob Fosse, che racconta in modo positivo l’omosessualità. Credo che negli anni Settanta e Ottanta ci fosse più libertà di espressione: ora è finta, a volte è provocazione Forse le donne hanno una naturalezza all’abbandono in quanto l’animo femminile è meno ipocrita rispetto a quello maschile. Sia etero, sia lesbiche – hanno dovuto affrontare molti ostacoli nei secoli e lo si vede anche nella filmografia. Ne ho scritto nel mio “Dizionario delle registe” del 2000 (edito da Gremese) dove avevo raccolto mille biografie di donne registe e interviste a Cavani, Wertmuller, Campion, Potter e Akermann.

CZ: Bussotti è nipote di Tono Zancanaro, da lui deriva la passione per la pittura.
Ha trovato nei lavori grafici di Bussotti in cui ricorre a testi poetici qualcosa che non aveva ancora espresso attraverso la musica?

Sylvano si esprime con ogni forma. Dai dipinti (nel film vediamo un disegno realizzato da lui a nove anni, strabiliante per dovizia di particolari) alla musica, alla comunicazione gestuale, alla recitazione, alla scrittura e alla poesia. Le sue partiture sono a loro volta quadri astratti. È sempre poetico, anche mentre parla o nella vita di tutti i giorni.

CZ: “Coppia di omosessuali anziani e litigiosi che hanno potuto adottare un bimbetto” è un’opera plastica di Bussotti del 1995. In un titolo racchiude l’obiettivo attuale di parte del movimento lgbt italiano, ovvero essere considerati coppie non diverse da quelle etero e perciò soggette a diritti, inclusa l’adozione di figli. Ancora una volta Bussotti in anticipo sui tempi, dato che negli anni novanta si parlava ancora poco di coppie omogenitoriali e di adozioni?

TS: Se ne parlava già. Ricordo ad esempio Una casa per Oliver, in cui il piccolo Oliver trova rifugio dalle angherie della madre in una coppia omosessuale.

CZ: Chi sarà il protagonista del suo prossimo lavoro?

TS: Tre anni fa avevo contattato l’agente di Steven Sondheim, il compositore di musical (celebre per Sweeney Todd, ma il mio preferito è Sunday in the Park with George). Ho ricevuto risposta dopo mesi e nel frattempo Steven aveva firmato un’esclusiva con l’HBO per un documentario mai portato a termine, che io sappia. E devono passare due anni dopo l’emissione televisiva. Ho perso le speranze, essendo Sondheim già molto anziano. Un amico che non vedo da un po’ e con cui voglio fare un documentario è il jazzista Giorgio Gaslini. Preferisce lavorare in primavera,ma cercherò di convincerlo prima dell’anno prossimo.

*nota: L’intervista è stata realizzata nel mese di maggio 2014, Gaslini è mancato il 30 luglio 2014

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