Gravity

L’assenza di peso, la mancanza di aderenza al suolo. L’essere preda degli eventi e dei cataclismi atmosferici, tentare disperatamente di aggrapparsi a qualcosa che sembra stabile, ma in realta’ non lo e’. Combattere, ancora combattere e poi arrendersi, cercare di restare vivi e infine aver voglia di morire.
“Gravity” di Alfonso Cuaron e’ un percorso esistenziale vestito da pirotecnico film di fantascienza. Sfida direttamente l'”Odissea” di Kubrick mezzo secolo e mille tecnologie dopo. Per il 3D se la fa invece con “Avatar”, forse fregandolo per il semplice fatto che lo spazio e’ un terreno di esplorazione piu’ affascinante persino di Pandora. L’effetto e’ talmente sorprendente da non lasciare spazio ad alcuna riflessione razionale, solo i sensi vengono divorati ed e’ inutile tentare di sottrarsi. Tempo per riprendere fiato ce n’e’ pochissimo, e quando Cuaron ce lo concede, regala alcuni momenti di sincera poesia (il cane, il pianto del neonato).
Sandra Bullock e’ quasi sempre sola sulla scena, Clooney e’ un comprimario nella prima mezz’ora del film e non e’ la relazione tra i due il tema portante. Il viaggio e’ tutto suo, della scienziata Ryan Stone che dopo un grave lutto ha perso il senso della vita. Con piglio tutto americano, Cuaron (che pure e’ messicano) la fornisce di quella grinta tipica dell'”uomo fai da te” che e’ cardine del riscatto di questo continente. Ed ecco dunque l’astronauta Stone stringere i denti e giocarsi il tutto per tutto. Sandra Bullock si rifa’ completamente il look dando decisamente la migliore prova della sua carriera (e pensare che e’ stata scelta in fondo a una lunga lista di candidate).
Con “Gravity” sentiamo odore di capolavoro ma non lo sfioriamo se non qua e la’ per qualche secondo. Anche Cuaron, come i suoi protagonisti, sembra sballottato da diverse tendenze. Finisce per prevalere il giocattolone spettacolare, anche se per un soffio, proprio per la grandiosita’ dell’effetto che letteralmente leva il fiato. Tutto il resto arriva dopo, se pure arriva. Lo stordimento in realta’ rischia di lasciare lo spettatore un po’ “suonato” anche oltre la visione.
Comunque, Cuaron lo aspettiamo al varco. Dopo “Y tu mama tambien”, ” I figli degli uomini” e “Gravity” e’ solo questione di – poco – tempo.

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