• R. Schinardi (Gay.it)

Freeheld

Ci sono film la cui grandezza è abitata, alimentata, solidificata dalle interpretazioni degli attori. È il caso del forte, importante, commovente Freeheld: amore giustizia uguaglianza di Peter Sollett che non solo è il migliore film queer dell’anno ma anche il più politico dai tempi di Milk, ed esce nel momento giusto per riaccendere la discussione sulle unioni civili in Italia. Basato sull’omonimo cortometraggio documentario di Cynthia Wade, premio Oscar nel 2008, ricostruisce la storia vera del pluridecorato detective Laurel Hester che è riuscita a ottenere la reversibilità della sua pensione per la compagna Stacie Andree grazie a una mobilitazione popolare. Dopo vari tentativi, supportati dall’organizzazione politica gay Garden State Equality, Laurel e Stacie riuscirono a convincere i funzionari della contea di Ocean County, i cosiddetti Freeholders, ottenendo la maggioranza favorevole dei cinque membri in carica. La battaglia vinta di Laurel e Stacie suggerì alla legislatura del New Jersey di modificare il decreto sulle coppie di fatto e di garantire i benefici pensionistici ai dipendenti conviventi di tutti gli uffici pubblici del New Jersey: nel 2013, sette anni dopo la morte di Laurel, il New Jersey ha cominciato a rilasciare licenze di matrimonio a coppie dello stesso sesso (come sapete il 26 giugno 2015 la Corte Suprema americana ha decretato che tutti gli americani hanno uguale diritto al matrimonio). Freeheld non ha nulla del patetismo compiaciuto tipico di molti film sulle malattie terminali grazie anche all’asciutta e incisiva sceneggiatura di Ron Nyswaner, apertamente gay e candidato all’Oscar per la sceneggiatura di Philadelphia nel 1993, in grado di infondere ritmo e tensione, incentrando la prima parte del film sul lavoro di entrambe (Laurel poliziotta, Stacie meccanica) e la ‘costruzione’ della quotidianità della coppia di donne che mettono su casa insieme col cane. E dedicando invece la seconda alla battaglia politica senza insistere sul progressivo decadimento fisico di Laurel: Julianne Moore è bravissima, come sempre (ma dopo l’Oscar l’anno scorso per Still Alice, che nel complesso era qualitativamente inferiore, in cui interpretava ancora una malata, ma di Alzheimer precoce, una seconda statuetta consecutiva sarà difficile agguantarla). E fa piuttosto impressione vederla perdere i capelli fino a diventare completamente calva. Ellen Page, candidata all’Academy Award per Juno – nella vita dichiaratamente gay e felicemente fidanzata con la pittrice Samantha Thomas – è sobriamente contenuta nel personaggio dell’abile meccanica Stacie unita alla sua Laurel da un amore limpido e cristallino (Laurel “si sente meglio se guarda l’acqua”).
Ma la vera sorpresa sono un dolente Michael Shannon, nominato all’Oscar per Revolutionary Road (scommettiamo che si accaparrerà una seconda candidatura?), nel gran bel ruolo del collega poliziotto Dane Wells innamorato di Laurel che si batte in prima persona perché vengano riconosciuti i diritti alla coppia lesbica e un inedito Steve Carell con kippah, il tipico copricapo ebraico, nei panni dell’attivista gay Steven Goldstein, fondamentale nella protesta popolare al grido di ‘you have the power’ per conquistare il favore dei cinque Freeholders.
La potenza del messaggio di Freeheld sta anche nel fatto che chiarisce in maniera esemplare l’importanza del coming out: la paura sotterranea di dichiararsi nell’ambiente della polizia è vinta non solo da Laurel che inizialmente ha il terrore che i colleghi scoprano della sua omosessualità ma anche da un collega omosessuale che inizialmente vede Laurel in un locale lesbogay e ha il terrore che qualcun altro lo venga a sapere ma poi manifesta pubblicamente per lei.
Azzeccata e non invadente la colonna sonora del compositore Hans Zimmer (anche lui premio Oscar) che ha collaborato col chitarrista degli Smiths, Johnny Marr, e con Miley Cyrus che esegue il brano di chiusura scritto da Linda Perry.
Freeheld esce oggi in Italia grazie alla distribuzione Videa di Sandro Parenzo.
Da vedere assolutamente.
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autore: G. Mangiarotti voto:

Dopo il premiato documentario su una vicenda che ha commosso l’America e mezzo mondo, quella di una poliziotta che ha dedicato la sua vita al servizio della Nazione e che per ricompensa si vede negare il diritto alla reversibilità della pensione, diritto ammesso per le coppie etero ma non per quelle gay, arriva nelle sale “Freeheld” il film di Peter Sollett (Nick & Norah – Tutto accadde in una notte ) sceneggiato da Ron Nyswaner (lo stesso di Philadelphia). Diciamo subito che il film non aggiunge quasi nulla alla vicenda già conosciuta, limitandosi ad un resoconto cronachistico che mette in primo piano, oltre alle due protagoniste, anche il poliziotto Dane Wells (Michael Shannon), partner sul lavoro di Laurel Hester (Julianne Moore), probabilmente di lei innamorato, che si mette in prima fila, praticamente da solo, nella battaglia di sostegno alla due donne. Laurel gli confesserà di averlo in passato usato per simulare una specie di relazione etero che la mettesse al riparo dai pettegolezzi nell’ambiente reazionario della polizia. Laurel infatti è stata per 23 anni una poliziotta lesbica velata, che per proteggersi frequenta ambienti gay molto lontani dal suo dipartimento, dove all’inizio del film la vediamo incontrare la giovane Stacie Andree (Ellen Page). Fino a quel momento non ha mai avuto delle vere storie, scegliendo sempre di mettere al primo posto il lavoro. Sarebbe stato interessante approfondire questi elementi, che però ci avrebbero forse allontanati dalla vicenda principale. Anche il suo cambiamento di prospettiva, cioè il coming out ufficiale con l’accettazione del nuovo ruolo di poliziotta lesbica con compagna, ci viene presentato senza troppe spiegazioni, con poche improvvise parole rivolte alla sua compagna. Anche il personaggio di Stacie si mantiene quasi riservato. Il problema della differenza di età tra le due donne è ben giustificato e superato (l’amore non ha età) ma la figura di Stacie stenta a trovare una dimensione reale. Dovrebbe rappresentare il nuovo, una consapevolezza serena ed orgogliosa, ed in effetti la vediamo sicura di sè sul lavoro, ma nel rapporto con Laurel è timorosa, non chiede o pretende nulla (salvo un cane di taglia maggiore), non vuole imporsi, rimane sullo sfondo. Difficile comprendere da dove e come le due donne abbiano trovato la forza per una battaglia così importante e globalizzante. Al contrario il personaggio dell’attivista gay Steven Goldstein (un esilarante Steve Carell) è tutto fuori dalla righe, una vera e propria caricatura. Sicuramente nelle intenzioni degli autori c’era la necessità di alleggerire il dramma, ma si poteva fare anche senza cadere negli stereotipi, nella pantomima, nel ridicolo. Segnalati questi limiti soggettivi, tutti cinematografici, resta il valore sociale di un film che in Italia sembra arrivare al momento giusto, sicuramente in grado di sollecitare riflessioni sulla battaglia della parità dei diritti e dei matrimoni gay (sebbene la protagonista ci tenga a separare le due cose), grazie anche a due bravissime attrici e ad una storia vera che non può lasciare indifferenti.

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