Forza maggiore

C’è un po’ di parmigiano? Basta chiedere, e una valanga intera di simil-reggiano ti sommergerà. La bambina che cerca il formaggio a tavola durante il pranzo prima che la famiglia venga travolta da una valanga è una delle scene chiave di “Forza Maggiore”, il film di Ruben Ostlund premiato lo scorso anno a Cannes (Un Certain Regard, Premio della Giuria) e candidato all’Oscar per la Svezia. La scena mette insieme, in pochi fotogrammi, gran parte della filosofia di questo regista molto amato in patria e poco conosciuto – sino ad oggi – nel resto del mondo. La quotidianità accanto all’evento eccezionale, la comicità inconsapevole e irrispettosa dell’esistenza, la fragilità di una famiglia, la centralità di un attimo in cui tutto può cambiare.

“Forza maggiore” è un film magico, in cui non succede praticamente nulla, ma in quel nulla ci sono migliaia di deflagrazioni. Siamo in un villaggio vacanza a cinque stelle sulle Alpi francesi. La famigliola dalla perfetta struttura (due adulti più figlio e figlia. Tutti belli e giovani e atletici) finalmente può passare una settimana unita e felice. Lui ha lavorato duro tutto l’anno, lei ha badato ai bambini, è tempo di meritato godimento. Ma basta un niente come un pericolo scampato senza apparenti conseguenze per mandare all’aria famiglia, relazione di coppia, gioco dei ruoli, equilibri infantili, rappresentatività sociale. Persino la natura, violentata a colpi di pallettoni di neve artificiale, approfitta dell’occasione per rivoltare tutte le carte in tavola. Giocando con lunghe riprese su apparentemente insignificanti particolari, Ostlund lascia che in noi spettatori cresca un disagio interiore quasi insostenibile, costringendoci inoltre a tornare ai peggiori momenti delle nostre storie di coppia. Davvero una botta allo stomaco, che non passa fuori della sala. Una bella lezione di cinema, di intrattenimento, di vita.

Consigli: Se stai attraversando una crisi di coppia, vai a vedere un altro film.

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