• G. Mangiarotti

Ci vediamo a casa

Ci aspettavamo molto di più da “Ci vediamo a casa”, film diretto e in parte sceneggiato da Maurizio Ponzi, autore oggi 74enne, che ha iniziato la sua carriera cinematografica lavorando con Pier Paolo Pasolini, ha vinto al festival di Locarno con il suo primo film “I visionari” e in seguito ha trovato il successo nei film con Francesco Nuti degli anni ’80. Oggi, da critico esperto, compare spesso in programmi radio-televisivi, dove s’impegna coraggiosamente a raccontare e indagare sulla storia del cinema gay (ha raccontato i primi film italiani con personaggi gay, più o meno velati, presenti in alcune opere del neorealismo italiano, nella trasmissione di Rai 3 Hollywood Party ed ha partecipato a speciali tv dedicati allo sviluppo del cinema gay contemporaneo).
Il film “Ci vediamo a casa”“, che vanta un ottimo cast e ottime firme, era già pronto per la distribuzione da quasi un anno, ma esce solo ora grazie all’impegno di Microcinema. La motivazione addotta da Ponzi è che ci sono stati problemi con la canzone di Dolcenera che dà il titolo al film e che è stata presentata a Sanremo, ma noi, dopo aver visto il film, pensiamo che siano stati causati anche da un’opera non perfettamente riuscita, che tenta di rinverdire la commedia italiana impegnata nel sociale, risultando però poco efficace sia come commedia (si ride poco) che come denucia sociale (le problematiche non vengono approfondite). Ad esempio nella storia gay, che offriva interessanti spunti, non si parla minimamente delle difficoltà che un poliziotto gay può incontrare nel suo ambiente di lavoro. Così come si accenna blandamente alle difficoltà che un ex detenuto deve affrontare per reinserirsi nella società. Per non parlare degli immigrati clandestini, inseriti nella vicenda più come elemento folcloristico che altro. Anche se bisogna dire che il film vuole essere prima di tutto una commedia sull’amore, sul primo incontro e su come questo possa crescere e svilupparsi, nell’Italia di oggi, in tre ambienti differenti.
Anche se sono tre storie completamente diverse, che si sfiorano solamente nel finale, il film non è composto da tre episodi separati, ma, alla maniera dei serial tv, intreccia casualmente i tre racconti, uniti solo dallo stesso sviluppo temporale. Abbiamo la storia di Vilma (una bravissima Ambra Angiolini che da sola vale la visione del film) e Francesco, un giovane appena uscito di prigione, che si porta involontariamente dietro i soliti sospetti di delinquente potenziale, perfino nella esplosiva storia d’amore che gli capita d’avere con Vilma. La convivenza forzata della giovane coppia con un pensionato cardiopatico, non insensibile al fascino di Vilma, viene presentata in modo incerto tra il risibile e il drammatico, col risultato di non essere convincente in nessuno dei due casi. In ogni caso questa è la storia più sanguigna, grazie soprattutto agli interpreti, che si sforzano di essere credibili, riuscendoci.
La storia d’amore tra Gaia e Stefano è la più disarticolata, con un finale così posticcio, che sembra incollato lì per caso. Si capisce che è la storia che ha meno di tutte coinvolto l’autore, con gli attori costretti a battute che lasciano perplesso anche lo spettatore più bendisposto (vi sfido a non rimanere attoniti quando Gaia dice qual’è la sua laurea). Noi ci siamo consolati coi bei nudi di Stefano (Giulio Forges Davanzati) che coprono una poco ansimante Gaia (Myriam Catania). Anche in questa storia s’inseriscono problematiche che vengono appena accennate, come la ricchezza che genera vacuità e superficialità, e la corruzione che non si capisce se distrugge o unisce una famiglia.
Naturalmente la storia da noi più attesa era quella dei due personaggi gay, che essendo stata scritta da Ponzi e da Stefano Tummolini (regista di quel piccolo capolavoro che è “Un altro pianeta“), sembrava avere tutte le premesse giuste. Ottima la scelta di farli interpretare da due attori emergenti italiani, idoli delle adolescenti, come Primo Reggiani (Andrea) e Nicolas Vaporidis (Enzo), col primo decisamente migliore del secondo. Ponzi si era detto entusiasta di Vaporidis, nel suo primo ruolo gay, raccontando che “Volevo che facesse quello che di solito fa con le ragazze, ma guardando un ragazzo. Non ha avuto nessun problema con il ruolo. Sin dal primo giorno ho notato che Nicolas osservava sempre la bocca di Primo. Una cosa bellissima. Si è calato nel ruolo con una partecipazione esemplare“. Peccato che poi nelle uniche due scene d’intimità, ci mostrino, sempre vestiti, un bacio (il primo addirittura nascosto dalle teste) che sembra fatto da due condannati ai lavori forzati. Sul fatto che queste loro scene siano così morigerate, Ponzi ci spiega che è stata una sua scelta precisa: “Volevo che la storia dei due ragazzi gay fosse quella più tenera, una sorta di idillio amoroso. Rendere il loro amore troppo esplicito mi avrebbe guastato questa atmosfera di tenerezza“. Più che atmosfera di tenerezza a noi sembra un’atmosfera senile. Comunque, a parte le scene del bacio, i due attori s’impegnano e creano due gay completamente fuori dagli stereotipi.
Nicolas/Enzo è un disoccupato che tira avanti con qualche lezione privata, partecipa con passione al coro della parrocchia, e vive con una madre (Giuliana De Sio) rimasta fricchettona più che hippy, che sfrutta immigrati clandestini affittando loro un locale, comprensiva verso il figlio gay dichiarato e sereno con se stesso, senza però qualche motivo d’interesse economico. La madre dovrebbe essere il personaggio più comico di tutto il film, e in effetti qualche risata la strappa (specie quando fa una battuta su Brokeback Mountain), ma alla fine risulta invece più patetico che altro, tanto da meritarsi anche il disprezzo del figlio.
Primo/Andrea invece fa il poliziotto, e dorme nella caserma dove lavora. Il suo unico problema sembra quello di trovare una casa indipendente, chiaro capire perchè. Sarà un gay velato ma in strada non ha nessuna difficoltà a seguire un ragazzo quando gli piace, in questo caso Andrea, che incrocia nei pressi della stazione e segue, con sguardi appassionati, fino a stringergli la mano e portarlo subito a consumare sul mare di Ostia, lontano da occhi indiscreti (nostri compresi). Non si tratta però di una toccata e fuga. Il loro è vero amore, tanto che presto Andrea invita a cena Enzo così da fargli conoscere sua madre, che però, chiave comica della vicenda, odia i poliziotti… A voi scoprire come prosegue questa storia d’amore gay, tra segreti, incomprensioni e rischiose rivelazioni, con un finale che vorrebbe essere esaltante (addirittura un ‘doppio’ matrimonio in chiesa) e chiarificatore, come spiagato da Ponzi: “Si può notare che la coppia gay, con il loro “matrimonio” va in Paradiso, la coppia popolare pur sposandosi convivrà con il sospetto sulla morte del personaggio di Antonello, e dunque in una sorte di Purgatorio, mentre la coppia borghese, non degna nemmeno di entrare in chiesa, andrà incontro ad Inferno legale“.

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