James Bond bisex? È possibile. Nel festeggiare mezzo secolo di carriera cinematografica, l’agente segreto più celebre della storia del cinema, grande seduttore un po’ misogino, già valletto-spia per nientemeno che Her Majesty alle Olimpiadi londinesi, insinua il dubbio che potrebbe aprire interessanti varchi narrativi nel nuovo capitolo “Skyfall”, un buon action altamente spettacolare diretto per la prima volta – ha già firmato per altri due seguiti – da un vero autore qual è il britannico Sam Mendes (“American Beauty”). Un’altra prima volta consiste nella scelta di un villain, il cattivo di turno, manifestamente gay, il mefistofelico e platinato Silva, giocosamente interpretato da Javier Bardem e rinchiuso in una cella cilindrica trasparente da cui riesce a fuggire come un novello Hannibal the Cannibal. In una scena già ampiamente pubblicizzata, Silva accarezza una cicatrice sul costato di Bond legato a una sedia, palpandogli malizioso le cosce mentre 007 gli sussurra sorprendentemente: “Che cosa ti fa pensare che sarebbe la mia prima volta?”.
In realtà non ci sono altri spunti nel film che avallino la presunta bisessualità a parte la scena in cui, in un museo, sembra che un giovane voglia sedurlo ma si svela essere il giovane addetto agli approvvigionamenti “Q” (Ben Whishaw). Visto che uno dei tre sceneggiatori, John Logan, è dichiaratamente gay – gli altri sono Neal Purvis e Robert Wade – ci aspettavamo un sottotesto queer più corposo che però non abbiamo ravvisato. Riteniamo che il duetto con Silva sia stato abilmente ‘pompato’ per ragioni di marketing – catturare la fetta di pubblico lgbt che finora ha ignorato i machismi di 007 – mentre lo stesso regista alimenta (più a parole che con le immagini) questa tesi: “In tutti i film di Bond c’è un’enorme carica omoerotica – spiega Mendes -. E c’è anche molto camp. E ho voluto includere proprio questo. Poi è arrivato Javier e ha portato tutto su un altro livello quando abbiamo girato la scena. Il modo con cui sbottona la camicia di Bond, sono stato molto attento affinché desse un’impressione di disagio”.
Teniamo anche presente che 007 è incarnato per la terza volta dal ferino Daniel Craig, che non ha la compostezza signorile di un Roger Moore, un Pierce Brosnan o uno Sean Connery ma funziona proprio grazie alla sua fisicità nervosa e animalesca: Craig ha interpretato almeno un gay sul grande schermo, l’amante del pittore Francis Bacon in “Love is the Devil” – ma pensiamo anche al bacio omosex con Toby Jones in “Infamous” – e pare che qualche anno fa abbia insistito con i produttori per inserire scene queer nella saga di James Bond al fine di accontentare i suoi ammiratori gay, dando vita alla scena di tortura sado-maso quasi porno ad opera del cattivissimo Le Chiffre in “Casinò Royale” (“Oggi i fan lo accetterebbero senza problemi – dichiarò allora. – Anche la serie “Doctor Who” ha avuto scene gay e nessuno si è scandalizzato per questo”). Sicuramente questo è comunque un primo passo per approfondire un lato della personalità di Bond che potrebbe ingegnosamente essere sviluppato nei prossimi cine-capitoli.
Questo nuovo, riuscito 23esimo episodio della storica saga mantiene quello che promette: inseguimenti mozzafiato dai tetti di Istanbul fino al Grand Bazaar, una suggestiva Shanghai tecno-glam tutta in cristallo, splendide scenografie del premio Oscar Dennis Gassner, ritmi adrenalinici e dialoghi ironici (i 143 minuti scorrono fluidamente), personaggi strutturati e – sorpresa – una sceneggiatura incalzante.
La vera protagonista femminile non è la Bond Girl di turno, tale Eve (Naomie Harris), piuttosto in ombra, bensì la veterana Judi Dench nei panni di ‘M’, storica direttrice del Secret Intelligence Service MI6, che Silva vuole eliminare possibilmente dall’interno (si vede persino esplodere la sede reale a Vauxhall Cross) e con cui ha un curioso rapporto di pseudo-maternità negata al pari dell’orfano Bond. E proprio i sottotoni crepuscolari della vicenda danno profondità al racconto, con Bond che non supera i test per limiti fisici ma viene avallato proprio da ‘M’ a continuare la sua missione e scopre insieme a lei la tetra dimora di famiglia nella radura scozzese, raggiunta a bordo della leggendaria Aston Martin DB5, facendogli così rielaborare i traumi infantili che lo proiettarono istantaneamente nelle responsabilità della vita adulta. Il cast lussuoso comprende anche i superlativi Ralph Fiennes (Gareth Mallory) e Albert Finney (il custode Kincade).
Il main theme che dà il titolo al film è una bella e solenne canzone di Adele, sublime epitaffio a futura memoria di un James Bond che ha più vite degli episodi della saga in cui è protagonista. Curioso, infine, il product placement talmente sfrenato che “Skyfall” inizia prima del film stesso, con una serie di pubblicità a nastro (orologi, smartphones, computers) in cui è evidente il potere commerciale della ‘brandizzazione’ di 007, così da far credere agli spettatori ancora intenti a occupare le poltrone che lo spettacolo sia in realtà già iniziato.
Sfracelli al botteghino: in soli cinque giorni di programmazione, “Skyfall” ha già sfondato il muro dei sei milioni di euro d’incasso.