I VINCITORI DEL 30° – TORINO GAY & LESBIAN FILM FESTIVAL

Il premio Ottavio Mai per il miglior lungometraggio è stato vinto da “Gardenia – Bevor der letzte Vorhang fallt”

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4 MAGGIO 2015

Concorso lungometraggi

La giuria del Concorso lungometraggi, composta da, Lorenzo Balducci,Yair Hockner e Beatrice Merz, assegna il premio “Ottavio Mai” per il miglior lungometraggio a

Gardenia – Bevor der letzte Vorhang fallt(Before The Last Curtain Falls) di Thomas Wallner (Germania/Belgio, 2014)

Con la seguente motivazione: « Per la straordinaria abilità di sapere raccontare il coraggio di un gruppo di artisti gay e transessuali in età avanzata che portano in scena dolorose esperienze di vita, nutrite da un incondizionato amore per il teatro. La loro arte è un puro e potente messaggio di speranza per il pubblico che li osserva. I protagonisti di questa toccante vicenda non si accontentano di sopravvivere, ognuno di loro combatte la propria battaglia contro l’odio, l’indifferenza, il pregiudizio, conquistando la propria dignità sul palcoscenico e nella vita. Magistralmente realizzato, in una continua alternanza tra il documentario e la messa in scena, ogni movimento della macchina da presa si trasforma in una danza ».

La Giuria assegna inoltre una menzione speciale a

How to Win at Checkers (Every Time) di Josh Kim (Thailandia/Usa/Indonesia, 2015)

Con la seguente motivazione: « Per la ricchezza tematica e la riflessione intorno alla tragica realtà di quanto accade in Thailandia ai giovani alle porte del servizio militare costretti a sottoporsi a una sorta di lotteria. Un dramma raccontato attraverso gli occhi di un bambino che nello stesso tempo osserva la storia d’amore omosessuale tra teenagers con naturale freschezza. Inoltre si menziona il carattere particolarmente positivo di Kitty, il giovane transgender ».

Il Premio del pubblico TGLFF30 per il Miglior lungometraggio va a

Vestido de novia di Marilyn Solaya (Cuba/Spagna, 2014)

Premio Queer

La Giuria, guidata da Sebastiano Riso e composta dagli studenti del DAMS di Torino (Andrea Bruno, Elisa Maria Carbone, Andrea Guarino, Piotr Adam Jagiello e Edoardo Monteduro), assegna il Premio Queer a

A escondidas (Hidden Away) di Mikel Rueda (Spagna, 2014)

Con la seguente motivazione: «Dopo un’intensa riunione, la nostra attenzione si è focalizzata su due film in particolare. "Je suis à toi" è un film ricco e innovativo nei contenuti, scandaloso a tratti, nel complesso leggero nella sua profondità. Di "A escondidas" ci ha colpiti il tema dell’immigrazione, che ha molte facce, esattamente come l’amore. Ed è proprio questo sentimento a farci superare ogni diversità. Il film vincitore, grazie alla struttura narrativa a puzzle e il montaggio a incastro, riesce a risolversi in un cerchio perfetto. Una delle motivazioni principali che ci ha portato alla scelta del film vincitore è stata la presenza di attori non professionisti ben diretti, che introducono freschezza, bellezza e giovinezza in un film che racconta d’amicizia e amore, indistinti, puri e profondi. Speriamo che il film vincitore del Premio Queer trovi una distribuzione italiana e che la dimensione universale di una storia carica di speranza possa così approdare anche nelle scuole».

Pertanto la Giuria assegna inoltre una menzione speciale a

Je suis à toi (All Yours) di David Lambert (Belgio/Canada, 2014)

Concorso cortometraggi

La Giuria, guidata da Antony Hickling e composta dagli studenti dell’Accademia Albertina di Belle Arti (Carlotta Beck Peccoz, Bobo Bogliani, Daniela Cetani, Jean-Claude Chincherè e Nina Giardini), assegna il premio per il miglior cortometraggio a

Tom in America di Flavio Alves (Usa/Brasile, 2014)

Con la seguente motivazione: « " Tom in America " è una tragicommedia su una coppia che, dopo 50 anni di matrimonio, si trova ad affrontare il problema della reale sessualità del marito. Mostra come la natura di un uomo, nonostante il lavoro interiore di una vita per nasconderla, riporti prima o poi a chiudere un cerchio e alla resa dei conti con essa. Con una storia originale e la forza espressiva dei personaggi, rivela la necessità, nel trovare se stessi, di rompere le etichette e riconoscere le vicinanze affettive di una vita» .

La Giuria assegna inoltre una menzione speciale a

Aban + Khorshid di Darwin Sernik (Usa, 2014)

Con la seguente motivazione: «Abbiamo deciso di sostenere il progetto, dedicato alle persone che lottano e muoiono per amore, per la forza e l’importanza del messaggio espresso nel contesto sociopolitico attuale».

Il Premio del pubblico per il Miglior cortometraggio va a

Aban + Khorshid di Darwin Sernik (Usa, 2014)

Il Torino Gay & Lesbian Film Festival è online su: www.tglff.it


3 MAGGIO 2015

LE NOSTRE RECENSIONI

SAND DOLLARS (Dòlares de arena) di Laura Amelia Guzman e Israel Cardenas

Dolares de arena – diretto da Laura Amelia Guzman e Israel Cardenas – è un film coraggioso e degno di tanta considerazione. Anche perché mai era stato trattato in maniera così diretta un argomento raro al cinema: la prostituzione femminile, legata al turismo sessuale. Anni fa il francese Laurent Cantet in Verso il sud ci aveva mostrato Charlotte Rampling alle prese con amori prezzolati con aitanti giovani haitiani. Stavolta però è diverso. Siamo nella Repubblica Dominicana. Anne, un’anziana francese, vive lì da un po’ di tempo e da tre anni intrattiene una relazione con una bellissima giovane del posto, Noeli. Anne è innamorata e vorrebbe portarla con sé in Francia, riuscendo anche a procurarle il passaporto. La ragazza però è indecisa. Innamorata di un giovane dominicano, spacciato ad Anne per il fratello, dal quale aspetta anche un figlio, da un lato vorrebbe andarsene (sperando che un giorno lui la raggiunga), dall’altro ha paura di quel futuro. Le cose portano naturalmente a un finale drammatico.
Asciutto, essenziale, tenero e calzante nelle scene di sesso, il film coglie efficacemente i temi fondamentali: l’incanto di una donna anziana per un corpo giovane e sensuale, il denaro attorno a cui gira tutta la storia, la ricchezza dell’occidentale contro la miseria degli indigeni, la speranza contro la consapevolezza che poi le cose quasi sempre non sono poi come si vorrebbero. Un bel film, insomma, con una grande Geraldine Chaplin, splendida anche per avere accettato un ruolo così insolito.

Vincenzo Patanè
**** (quattro stelle)

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PHILIPPINO STORY di Benji Garcia

Un altro film filippino, uno dei tanti, sulla prostituzione: Philippino Story, di Benji Garcia. Ma stavolta niente locali, go-go boys, scintillanti spettacoli con canzoni in lip synch e scene di sesso più o meno scatenate. Qui è diverso, tutto è più raccolto e concentrato sul protagonista: Philip, un gran bel ragazzo che – per vivere, nonché per aiutare la famiglia del fratello – ha una relazione col maturo pittore Bastian e poi con chi capita, battendo anche per strada. La storia è bella ed emozionante, con tanti risvolti delicati, ma purtroppo tutto viene poi vanificato da una logica melodrammatica che, in soli 78 minuti, accavalla situazioni francamente esagerate, che sfiorano anche il ridicolo. Peccato perché il film ha anche lati positivi, dalla visione insistita del corpo proporzionato e sensuale del protagonista al personaggio profondo e contrastato di Bastian, interpretato dal grande attore Mark Gil, purtroppo scomparso lo scorso settembre.

Vincenzo Patanè
** (due stelle)

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BEFORE THE LAST CURTAIN FALLS (Gardenia – Bevor der letxte Vorhang fällt) di Thomas Wallner

Quest’anno a Torino i documentari sono stati inglobati nei lungometraggi e quindi ecco in concorso Gardenia – Bevor der letxte Vorhang fällt (Prima che l’ultimo sipario cali), diretto da Thomas Wallner, tedesco-canadese. Gardenia è stato un musical che ha fatto epoca, con più di 200 repliche in 25 paesi. Protagonisti 9 persone belghe anziane: trans, drag queen e omosessuali. Il doc alterna spezzoni del musical con interviste a 6 dei protagonisti. Ciascuno di questi racconta la propria storia, ovviamente fatta della ricerca del sé autentico, dei rapporti complicati con le proprie famiglie, delle malversazioni sociali subite, della solitudine, del sapersi bastare da solo.
La loro vita però cambia anni fa quando il coreografo belga Alain Patel, assieme al regista Frank van Laecke, ideò Gardenia, mostrata prima a teatro a Gand e poi in giro per il mondo. Un musical straordinario, toccante e originale, che fonde musica, teatro, danza, mimica e altro ancora. Il film, spruzzato di un camp frizzante e divertente, è magnifico. L’unica pecca, semmai, è di non aver fatto vedere un po’ di spettacolo in più, a scapito delle interviste. Momenti alti sono quelli di un interminabile, ipnotico Bolero di Ravel e la versione straziante di Cuccurucucù di Battiato.

Vincenzo Patanè
**** (quattro stelle)


2 MAGGIO 2015

Giornata centrale del Festival con film di rilevanza internazionale come l’ultimo di Larry Clark “The Smell of us”, il primo da lui girato fuori dagli USA, e “Boulevard” di Dito Montiel, l’ultimo film interpretato da compianto Robin Williams, presentato qui in anteprima europea (negli USA è uscito solo in qualche festival). Ci ha amareggiati vedere circolare volantini, davanti al cinema, che minacciano di boicottare il festival per la rassegna dedicata all’israeliano Amos Guttman, un regista rivoluzionario che si riteneva marginalizzato dalla retorica sionista imperante in quegli anni e che ha diretto film con contenuti talmente disturbanti per il governo israeliano che infatti ne proibì la distribuzione, proprio perché non rispecchiavano i valori nazionali. Ennesima dimostrazione dell’ignoranza madre dei pregiudizi.

A ESCONDIDAS di Mikel Rueda

Vorrei ma non posso o (forse) potrei ma non voglio… Questa la storia di un bacio più volte sfiorato ma sfortunatamente mai portato a termine in “A escondidas” (Hidden away), dello spagnolo Mikel Rueda. Siamo nei paesi baschi. Rafa e Ibra sono due quattordicenni, ciascuno alle prese con i propri problemi. Il primo è circondato da amici aggressivi e invadenti, ai quali – neanche al fedele Guille – non può certo rivelare come le ragazze non gli piacciano; il secondo è un marocchino che vive in un istituto, deve sottostare alle regole del suo gruppo di conterranei (che spaccia droghe) e vive col terrore di essere rimpatriato in Africa.
Ibra, bellissimo, piace molto a Rafa. In una maniera o nell’altra, quest’ultimo riesce a diventargli amico inseparabile, aiutandolo anche quando deve fuggire dalla Spagna per non essere arrestato. Ibra capisce bene di piacere molto all’altro, ma ogni volta scatta qualcosa – l’irruzione di altre persone, il contesto poco adatto o le remore culturali di Ibra – che blocca l’azione. Peccato, certo sarebbe stato più bello se qualcosa fosse accaduto ma fa niente, comunque il forte legame erotico tra i due traspare chiaramente ed emoziona lo spettatore. Ben raccontato, pieno di momenti intensi e coinvolgenti, il film è fresco e delicato, sicuramente uno dei più belli visti quest’anno a Torino. Bella anche la colonna sonora.

Vincenzo Patanè
**** (quattro stelle)

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FULBOY di Martín Farina

Il regista di Fulboy, l’argentino Mario Farina, ha un fratello che gioca in una importante squadra di calcio argentina ed è stato egli stesso un giocatore dilettante. Questo gli ha permesso di poter girare un documentario sulla vita in comune degli atleti, compagni di squadra del fratello, durante un campionato, potendosi aggirare liberamente nel loro ritiro, comprese le loro camere da letto e le loro docce, e potendo riprendere le loro conversazioni di tutti i giorni e i momenti di intimità cameratesca. La voce narrante del regista ci accompagna in tutto il film. Dai dialoghi tra i giocatori emergono alcuni temi interessanti, come la loro preoccupazione di piacere anche esteticamente al pubblico e la ricerca di buoni investimenti economici per poter garantire il benessere delle loro famiglie anche a carriera finita, passati i trentacinque anni. Nel complesso però il film ci appare piuttosto noioso. In sala, complice anche l’ora (14,30), qualche spettatore dormiva. Alcune scene sembrano di troppo, come quella in cui la cameriera pulisce le camere dell’albergo o l’altra che riprende l’idraulico che ripara la doccia. Alcuni dialoghi poi, sono dei parlottii tra i giocatori davvero banali. Il film ha chiaramente un taglio estetico gay: i giocatori, alcuni bellissimi, sono ripresi per la maggior parte del tempo mentre si pettinano, si vestono, fanno la lotta sul letto, si confrontano e si guardano tra di loro, però l’argomento dell’omosessualità non è mai affrontato, a parte che con delle battutine del tipo ‘tu glielo succhieresti per 200 pesos ?’ . Certo, le scene sotto la doccia suscitano un certo interesse, diciamo estetico, ma non bastano a risollevare le sorti di un film forse più adatto a soddisfare il voyeurismo dei tifosi che l’interesse del pubblico di un festival di cinema LGBT.

R. Mariella
** (due stelle)

Alle 18, si è svolto l’atteso omaggio al regista milanese Max Croci. Sono stati proiettati dieci dei suoi cortometraggi e nell’intervallo tra un gruppo e l’altro, Angelo Acerbi ha invitato a salire sul palco il regista, tre delle attrici protagoniste dei film proiettati, Alessandra Faiella, Justine Mattera e Carla Signoris, e lo scrittore Matteo B. Bianchi. Justine Mattera, sempre biondissima, è poi stata raggiunta dal suo cocker nero, mentre i suoi due bellissimi bambini si sono limitati a fare un po’ di chiasso seduti in prima fila. E’ poi arrivato per un saluto anche il Direttore Giovanni Minerba.
Matteo Bianchi ha ricordato come i corti di Max abbiano sempre un’ottima qualità, nonostante siano quasi sempre girati in un giorno e le attrici si siano prestate gratis. Poi ha raccontato un aneddoto: dopo una proiezione di ‘Golden Hays’ con protagonista Justine Mattera, uno spettatore gli aveva chiesto: “Ma questi filmati degli anni trenta, sono stati girati da voi o li avete trovati così ?” e lui : “No, sono degli anni trenta e lei si è conservata così sino ad oggi!”.
Sul discorso del lavorare gratis, Carla Signoris ha aggiunto che quando Croci telefona per offrire una parte, la parola gratis viene sempre dopo: ‘prima ti fa innamorare della storia, poi all’ultimo aggiunge che ci sarebbe poco budget e a quel punto gli dici: beh, Max pur di lavorare con te, lavoro anche gratis’. La Faiella conferma poi che Croci è bravissimo a lusingare e convincere le attrici a lavorare con lui.
Acerbi ha poi chiesto ad Alessandra Faiella come mai Max Croci sia interessato soprattutto ai personaggi femminili. Lei ha risposto, scherzando, che tutti i registi, soprattutto se grandi cultori della storia del cinema, sono attratti dalle grandi dive del cinema degli anni quaranta, e solo lei, Justine Mattera e Carla Signorini potevano incarnarle. Croci ha aggiunto che le figure femminili sono spesso più divertenti da analizzare e da mettere in scena. E la Faiella ha concluso che ‘gli uomini, esclusi i presenti, sono noiosi, i film solo sui maschi ci avrebbero abbioccato’.
Matteo Bianchi ha anche aggiunto che caratteristica tipica dei corti di Croci è che, nonostante siano girati in un solo giorno, hanno scene molto complesse che prevedono numerose varianti, per cui ogni scena deve essere girata molte volte. Inoltre per ogni corto Croci prepara una specie di libro dove ogni foglio contiene illustrazioni colorate che descrivono minuziosamente ogni scena.

R. Mariella

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THE SMELL OF US di Larry Clark

Un film che ha sconcertato e scandalizzato diversi tipi di pubblico, ma non certo il pubblico del festival TGLFF, che lo ha applaudito calorosamente, anche se alcuni commenti dicevano di non averne compreso appieno il messaggio. Eppure a noi è sembrato un film di denuncia, quasi moralistico, nel fotografare una gioventù perduta e abbandonata a se stessa, chiusa verso il mondo (famiglia compresa) ma anche divisa al suo interno, incontrollata, irrispettosa e senza idealità al di fuori del proprio egocentrismo. Il sesso, più del denaro (visto come un mezzo e non certo come un fine), sembra essere la loro unica valvola di sfogo, il modo più facile per relazionarsi, a due, a tre e via numerando. Etero o gay non sembra fare differenza, anche se il giovane protagonista che si prostituisce ci tiene a precisare di non essere gay. La violenza non sembra essere un fine od uno scopo, ma solo un passaggio a volte obbligato, a volte incidentale. Senza dirci grosse novità il regista sembra dare la colpa di questo abbandono e di questa anarchia un po’ alla società consumistica (che ci vuole tutti pronti a spendere) e un po’ alla generazione che li ha solo partoriti, anch’essa senza ideali e a volte degenerata (come la madre del protagonista che sembra voglia concupirlo). In mezzo a tanta superficialità ed abbandono non trova salvezza nemmeno un amore vero, come quello dell’amico gay innamorato del bel protagonista, ma mai ricambiato ed alla fine rifiutato. Il film si dilunga sulle scene con gli skater davanti al Dome di Parigi, che sono probabilmente il principale momento di creatività ed indipendenza per questi ragazzi, ed ancora di più sulle scene di sesso, specialmente con vecchi omosessuali che si comprano qualche momento di felicità fuori tempo (pagandolo a volte a caro prezzo). Ottimo il montaggio dinamico che ci restituisce la schizofrenia di questi ambienti, ottima la fotografia che sembra cercare l’anima di ciascuno (ma è difficile trovarla dove manca), manca solamente qualche intuizione originale alle quali il regista ci aveva abituati.

G. Mangiarotti
*** (tre stelle)

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KASAL di Joselito Altarejos

Come ha sottolineato Fabio Bo presentando il film, si tratta di uno dei primi film filippini, generosi con opere a contenuto LGBT, che affronta le problematiche della coppia gay. Quindi niente prostituzione e niente ambienti poveri e degradati delle periferie ma avvocati e registi in carriera, figli della piccola borghesia locale. Il film ci regala all’inizio la scena di un amplesso (a tutto schermo), coi due protagonisti nudi e prestanti, che dura quasi un quarto d’ora. Questo per farci capire quanto si amino e disiderino ancora dopo tre anni di convivenza. Anzi sono pure gelosissimi come dimostrano i ripetuti litigi per un piccolo tradimento (di solo sesso) avvenuto un anno prima. Parlano con gli amici (etero e gay) della possibilità di adottare figli, ma prima devono comprarsi una casa, essendo che sono sfrattati da dove sono in affitto. Tutte cose degne della migliore coppia omo od etero del mondo. Ma il regista, dopo questa necessaria presentazione dei due protagonisti, vuole raccontarci come sta evolvendo la società filippina, presentandoci lunghe ma interssanti scenette di vita famigliare, prima a casa dei genitori di uno, poi a casa dei genitori dell’altro, dove si sta celebrando il matrimonio della figlia più giovane (rimasta incinta giovanissima). Sì, la società si sta evolvendo, infatti entrambe le famiglie sono a conoscenza della relazione gay dei figli e la accettano (per un motivo o per l’altro), ma per gli estranei devono essere solo amici ed in chiesa sentiamo il prete, che sta celebrando il matrimonio, inveire contro i matrimoni omosessuali e ricordare i versetti della Bibbia che condannano l’omosessualità. Purtroppo la dinamica del film sembra incerta tra l’approfondimento di una relazione gay e l’analisi sociale, con momenti prettamente didattici, saltando ad un finale inatteso e contradditorio che non dà sufficienti spiegazioni. Peccato perché il film, se mantenva un giusto equilibrio e ci portava ad un finale più coerente, aveva ottime carte da giocare.

G. Mangiarotti
** (due stelle)

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L’ART DE LA FUGUE di Brice Cauvin

Piacevolissima commedia, tipicamente francese, con tanti personaggi, quasi tutti approfonditi quanto basta a farci godere delle varie controversie, dei discreti litigi con riappicificazione immediata, delle ansie e delle trepidazione dei genitori verso i figli, dei fratelli tra loro, e degli altri personaggi coinvolti nelle vicende più intime. Proprio una bella famiglia, vitale e problematica come tante altre. L’opera è derivata da un romanzo americano ma ambienta a Parigi, ed il regista, presente in sala, ci ha tenuto a specificare di aver lasciata intatta la trama ma di avere trasformato i caratteri e le sensibilità dei protagonisti, avvicinandoli al sentire dei parigini contemporanei. Operazione, secondo noi, perfettamente riuscita (anche se però non abbiamo letto il romanzo). Abbiamo così un godibile ritratto della piccola borghesia francese, dove i matrimoni gay sono normalità, le famiglie, sia originarie che acquisite, sono molto unite e solidali, i tradimenti sono all’ordine del giorno (marchio tipicamente francese), così come le riappicificazioni o le nuove conquiste amorose. Questo vale per tutti, tranne purtroppo per la nostra coppia gay (unita da dieci anni), che ci appare tra le meno coese, la meno sincera, la più superficiale. Noi abbiamo fatto questa obiezione al regista, chiedendogli se dietro a tutto questo, ci fosse una mancanza di fiducia verso la serietà e la solidità della coppia gay. Purtroppo la risposta non ci ha soddisfatti completamente. Secondo il regista i due gay stanno vivendo un momento difficile, che però è una evoluzione, e anche l’abbandono finale deve essere visto come una possibile futura riunificazione. Beata innocenza, ci viene da pensare, mentre ci vien voglia di dire: speriamo che questa riunificazione non accada mai. A parte questa nostra partigianeria, il film è godibile, divertente ed interssante per le tante problematiche relazionali che affronta.

G. Mangiarotti
**** (quattro stelle)

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BOULEVARD di Dito Montiel

Siamo arrivati al film più atteso della giornata, una vera primizia. Una delicata commedia made in Usa, degna del miglior cinema indipendente sia americano che europeo, per l’accurata introspezione di un personaggio, Nolan, interpretato da Robin Williams, un omosessuale velato per tutta una vita che, raggiunti i 63 anni, coglie l’occasione per un ribaltamento totale. Diciamo subito che, fatto del tutto personale, questa figura di anziano omosessuale represso, non ci ha per niente esaltato (come invece era accaduto per il vecchio di Cuatro Lunas). Sessantenne che sembra un ottantenne. Con una personalità da pesce lesso, senza nessuna vivacità né esteriore che interiore. La persona che potresti avere vicina da tanto tempo senza quasi accorgerti della sua presenza. Cose che anche la moglie gli rinfaccerà, ma spiegando che per lei andava bene così, che lo aveva sposato proprio per questo, perché (anche lei) aveva scelto di vivere fuori dalla realtà (mettendoci il sospetto che pure lei fosse omosessuale ed avesse preferito di vivere nella finzione anziché nella realtà). L’incontro di Nolan con un prostituto gay ci rivela da subito quanto sia stata pesante, nella sua vita, la repressione, meglio dire castrazione sessuale, da lui subita. Tanto da avere eliminato il sesso (mai esercitato) ed avere stabilito una completa separazione tra sesso e sentimenti. Adesso può gestire solo i secondi, solo un fortissimo bisogno d’affetto, d’amore puro. Sicuramente l’unica cosa che il tipo di marchetta incontrato (ma forse qualsiasi) non potrebbe dargli. Ma il suo bisogno d’amore è così imponente che non può accorgersene, e fraintende dei piccoli gesti, come il regalo di una cassetta video o qualche confideza, come fossero una risposta al suo bisogno d’amore. Le cose poi si complicano con l’intromissione di uno sfruttatore del giovane prostituto, cosa che ci porterà ad una situazione più grottesca che drammatica. Posticcio e poco credibile il finale tutto positivo del film, che sembra venire da un’altra storia e soprattutto da un’altra figura di protagonista. Comunque bravissimo Williams a trasformarsi in questo personaggio, quasi un alieno, vittima della società ma anche di se stesso.

G. Mangiarotti
*** (tre stelle)

IMMAGINI DAL FESTIVAL

Max Croci e Angelo Acerbi
Max Croci
Carla Signoris
Alessandra Faiella
Matteo B. Bianchi
Giovanni Minerba e Carla Signoris
Alessandra Faiella, Giovanni Minerba e Max Croci
Justine Mattera
Angelo Acerbi e Carla Signoris
Justine Mattera
Brice Cauvin

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