SERATA D'INAUGURAZIONE DEL 29° TGLFF

Interventi degli ospiti e proiezione del filmm d’apertura AZUL Y NO TAN ROSA di Miguel Ferrari

(resoconto a cura di R. Mariella)

La serata inaugurale del 29° TGFF è iniziata con un grintoso intervento di Fabio Canino, subito dopo il divertente spot del festival di Max Croci, che prende in giro le ossessioni omofobe della Russia di Putin. Canino si è esibito in un monologo in una improbabile lingua russa in cui ha proseguito nella critica ironica a di Putin. Quindi Angelo Acerbi, curatore della programmazione, ha invitato sul palco Giovanni Minerba, chiamandolo scherzosamente lo “zar” del Festival. Giovanni, che ha esibito un originale papillon fornito dallo sponsor ‘Born in Berlin’, ha cominciato con i tradizionali ringraziamenti: innanzi tutto al Museo Nazionale del Cinema, di cui erano presenti in sala il Presidente Ugo Nespolo, Angela Savoldi (coordinatrice del festival ) e il vicedirettore del Museo, Donata Pesenti; poi il Ministero delle attività Culturali, Direzione per il cinema, la Regione Piemonte, la città di Torino, rappresentata dal sindaco Piero Fassino che ha volentieri salutato il pubblico. Nel suo discorso Fassino ha ricordato di come questo Festival sia stato guardato agli inizi con molti pregiudizi e di come anno dopo anno, esso abbia superato i pregiudizi, sia cresciuto e sia diventato uno strumento fondamentale per la crescita civile, culturale e democratica della società italiana. Minerba ha poi proseguito nella lettura degli sponsor: la Provincia di Torino, l’ufficio culturale dell’Ambasciata di Israele, il Ministero delle relazioni esterne del Brasile che ha contribuito alle spese di viaggio di due registi, mentre Acerbi ha elencato tutti i partner commerciali.

Preceduta dalla proiezione dal cortometraggio ‘Countdown’ di Max Croci, che la vedeva protagonista, è salita sul palco Ambra Angiolini, madrina del festival. Ambra ha prima parlato della sua collaborazione con Max Croci, in due corti, il primo che abbiamo appena visto, ambientato in un ascensore e il secondo, ‘Ladiesroom’ ,dove il suo personaggio era in stato interessante, ambientato in un bagno. Quindi ha ricordato la sua partecipazione in ‘Saturno Contro’, e ha raccontato di come Özpetek l’abbia aiutata a superare le sue paure e a non nascondere le proprie fragilità. Ha infine raccontato della sua lunga amicizia con Vladimir Luxuria, di quando lei era molto più drag di Luxuria… ” la prima drag queen della storia eterosessuale”.

Acerbi e Minerba hanno quindi fatto l’elenco dei componenti delle tre giurie di quest’anno. Il premio DAMS ‘Sguardi sul Festival’ con una giuria esterna composta da studenti di cinema. Minerba ha parlato del premio Queer, sull’universo giovanile, la cui giuria è quest’anno composta da sei studenti, tre del DAMS e tre dello IED, capitanti dall’onnipresente Max Croci. Il premio al miglior cortrometraggio sarà assegnato da una giuria composta da Silvia Minnelli, Alessandro Fullin e Enrico Salvadori. La giuria dei lungometraggi è composta da Paola Pitagora, Presidente della Giuria, che viene invitata sul palco, oltre a Pippo Delbono, Gabriele Ferraris, Ron Peck e Gal Uchovsky (compagno e produttore di Eytan Fox).

E’ Intervenuto poi l’attore Carlo Gabardini preceduto dalla proiezione di un suo divertente e surreale monologo in cui l’attore si chiede perché se l’omosessualità è trattata come una malattia, non le sono riconosciuti tutti i vantaggi riconosciuti ad una malattia, come l’esenzione dal ticket sanitario o il posto riservato sull’autobus .
Quindi Acerbi introduce l’argomento del bullismo e dell’omofobia in Russia e invita sul palco Vladimir Luxuria, che ci appare in forma smagliante. Luxuria inizia il suo discorso con una serie di divertenti battute (‘io sono come la FIAT, con me potete usare Bravo e Brava, come preferite. Ma preferisco Brava che mi ricorda la canzone di Mina’, ‘ Diciamo la verità, noi vip siamo come le acciughe, quel qualcosa che da un po’ sapore alla pizza, nel senso di bobina, i film, i veri protagonisti’. ‘Sono andata in Russia, ma non è andata benissimo, i poliziotti non mi hanno nemmeno stuprata, ci sono rimasta male, scherzo ovviamente’.

Il problema dell’omofobia in Russia sarà ampiamente trattato da Luxuria insieme a Fabio Canino, nell’apposito focus, l’1 maggio alle 16. Focus reso possibile dal contributo anche economico di Francesco Pellegatta.
Vladimir Luxuria ci ha anche parlato del suo impegno nelle scuole contro il bullismo. ‘Il bullismo uccide, perché o uccide la tua voglia di andare a scuola, o uccide la tua fiducia nelle istituzioni, o ti uccide davvero istigandoti al suicidio, perché hai un colore diverso, o perchè sei balbuziente o perché sei obeso o perché sei effeminato. Parlarne a scuola non dovrebbe spaventare, tutti gli insegnanti dovrebbero sentire come un dovere parlare di bullismo‘.
Vladimir ha raccontato che a Modena era stata invitata dal Consiglio di istituto di una scuola, ma un gruppo di una ventina di genitori con una lettera ha cercato di bloccare questa iniziativa, appoggiato dal solito Carlo Giovanardi. Vladimir in questi incontri con gli studenti racconta tra l’altro alcuni episodi di bullismo omofobo da lei subiti durante la scuola dell’obbligo sempre accompagnati dalla parola ‘ricchione’. L’episodio citato da Vladimir ha fatto sbellicare la sala di risate. Luxuria ha poi commentato una recente manifestazione omofoba di Forza Nuova accaduta a Roma, dicendo che secondo lei gli striscioni li ha scritti Fabio Canino (‘Noi maschi selvatici, voi checche isteriche’) ‘tipica cosa che un gay scrive su Grinder.. Non vogliamo checche isteriche‘.
Luxuria ha poi ringraziato il festival per aver invitato due sue amiche, Ambra Angiolini, una sostenitrice della prima ora dei diritti dei gay in tanti gay pride, e Orietta Berti che, dai tempo del Maurizio Costanzo Show, ha sempre ha detto le parole contenute nelle recenti interviste, a dimostrazione che ‘si può cantare via dei ciclamini e al tempo stesso amare noi, girasoli della nuova libertà’.

A concludere la cerimonia di inaugurazione è arrivata sul palco Orietta Berti. Giovanni Minerba ha raccontato un suo aneddoto di tanti anni fa: Giovanni frequentava una discoteca di Torino che si chiamava il Gay Man. Una sera che era ancora presto e la sala era semivuota, il DJ mise per gioco alcuni valzer e mazurche e Giovanni per scherzo gli disse ‘Emilio, ci manca adesso che tutte le sere quando c’è poca gente, metti Orietta Berti e siamo a posto’ … e da quel giorno tutte le volte che entravo in sala l’annuncio era ‘Signore e signori arriva Orietta Berti’ .

Orietta Berti ha quindi detto a proposito della sua partecipazione al festival: “Io qui mi sento in famiglia, perché è da quando avevo quindici anni che i miei amici più cari, quelli veri, sono tutti gay. Io mi trovo bene con loro perché a loro posso dire tutte le cose che alle altre persone non riesco a dire. Siete i miei confessori “. Il 22 settembre scorso Orietta berti è andata negli Stati Uniti a fare da testimone al matrimonio di due suoi carissimi amici gay , Ezio e Sergio. Orietta Berti si quindi è augurata che i matrimoni gay arrivino presto anche in Italia e ha accetto di fare da testimone la matrimonio tra Giovanni Minerba e il suo compagno Damiano.
Una delle canzoni poi cantate da Orietta Berti è ‘Il nostro concerto’ di Umberto Bindi. Bindi è stato un carissimo amico per la Berti. Si sono conosciuti tramite Giorgio Calabrese, che aveva scritto le parole di ‘Il nostro concerto’ , oltre alle parole di tante altre belle canzoni di Bindi, come ‘Arrivederci’ e ‘La musica è finita’. Giorgio Calabrese è stato il pigmalione della Berti, l’aveva sentita cantare in un festival per voci nuove all’Ariosto di Reggio Emilia, era nella giuria e la invitò a Milano a fare dei provini. E così è nata la carriera, lunga quasi cinquant’anni della Berti. Tra le altre conoscenze gay, importanti nella carriera della Berti c’è anche Luciano Berretta, un poeta che ha scritto il testo di ‘Tu sei quello’, canzone che l’ha portata al successo. La Berti ha concluso ‘Tutte le persone intelligenti e sensibili sono gay. Non c’è nulla da fare’.
Prima di cantare ‘Quando l’amore diventa poesia’ la Berti ha commentato: ‘perché l’amore è la cosa più importante per tutti e quindi ve la dedico con tutto il mio cuore‘. Quindi ha cantato ‘L’altalena’ per concludere con sua interpretazione di ‘Il nostro concerto’ di Umberto Bindi’, dove ha sfoggiato la sua voce ancora bellissima e potente, forse però non aiutata da una base musicale non proprio perfetta.

AZUL Y NO TAN ROSA di Miguel Ferrari

“Azul y no tan rosa” è un film ‘militante’, opera prima del venezuelano Miguel Ferrari, un regista che ieri sera, presentando il film che inaugurava il Festival, ci ha impressionati per il suo entusiasmo e per la sua forza comunicativa, la stessa che traspare vivissima in tutto il suo film. Ferrari ha detto che gli viene ancora la pelle d’oca quando ricorda il momento in cui gli è stato assegnato il premio Goya (gli Oscar spagnoli) come miglior film straniero in lingua spagnola. E pensare che quando lo propose alla distribuzione in Venezuela gli venne detto che il film non poteva avere successo perchè trattava un tema, l’omosessualità, che i venezuelani non potevano accettare. Al massimo, gli dissero, sarebbero andati a vederlo non più di 60 mila persone, mentre poi gli spettatori superarono i 600 mila e quando ottiene il premio Goya, a febbraio 2014, il film viene rimesso contemporaneamente in 10 sale della capitale Caracas. Ferrari ha detto che il suo è il primo film del Venezuela che mostra un bacio tra due uomini (e pensiamo anche il primo che mostra una esplicita scena di battuage in un bagno pubblico) e che la cosa che lo rende più felice, al di là dei premi, sono le tante lettere che riceve da omosessuali venezuelani che, dopo aver visto il film, hanno trovato il coraggio di fare coming out in famiglia, magari dopo aver portato genitori e parenti a vedere il film.
Il film, più che nelle ambizioni artistiche (lo stile è quello di una buona telenovela), fa centro nella sua forza comunicativa, nella chiarezza dei messaggi che vuole mandare, nella rappresentazione di un variegato gruppo di personaggi che coprono le situazioni più eclatanti di una società in trasformazione, dove vecchio e nuovo ancora convivono. Abbiamo la coppia gay che non vuole più nascondersi (il bacio nel ristorante affollato spiazza clienti e pubblico, italiano compreso) e si sta preparando alla convivenza ufficiale; la trans operata che cerca il modo giusto per dare il suo contributo alla società; l’amica dei gay che si sente oppressa dalla violenza maschilista (il compagno la picchia); il figlio del gay che scopre l’omosessualità del padre mentre cerca di riavvicinarsi dopo anni di lontananza; i genitori omofobi che preferirebbero vedere morire il figlio vittima di un’aggressione piuttosto che vederlo vivere insieme ad un altro uomo; una famiglia con genitori più comprensivi ma che deve rispondere ad una nuora che dice di preferire un figlio delinquente ad un figlio gay; una banda di ‘veri’ delinquenti omofobi che vanno in giro ad ammazzare chiunque sospettino essere gay; il primo tenerissimo amore, etero, di due adolescenti che si conoscono su internet; ecc. Un film da guardare, come ha detto il regista, soprattutto col cuore (le lacrimucce sono spesso in agguato), che ci accompagna in diversi percorsi di emancipazione, tutti possibili solo grazie alla forza dell’amore, da quello dei genitori verso i figli (mai abbastanza), a quello dei legami di amicizie indistruttibili e costruttive (senza nessun limite di appartenenze), a quello dell’amore che vorrebbe unire due vite per sempre ma che spesso deve pagare il prezzo di una dura realtà. Un film dove in molti possono ritrovarsi, rivolto soprattutto a coloro che hanno ancora un cuore semplice e sincero oltre che battagliero. Il pubblico che gremiva la sala del cinema Massimo ieri sera, era senz’altro di questo tipo, visto i lunghissimi applausi che hanno accompagnato i titoli di coda del film. (g. mangiarotti)

GIUDIZIO ARTISTICO:

VIDEO DELL’INTERVENTO DEL REGISTA MIGUEL FERRARI AL TGLFF



1 MAGGIO 2014 – FOCUS RUSSIA E DUE OTTIMI FILM IN CONCORSO

INCONTRO CON VLADIMIR LUXURIA “DALLA RUSSIA CON AMORE” (resoconto a cura di R. Mariella)


Putin fa outing e chiede scusa

Alle 16,30 di giovedì primo maggio, nell’ambito del Focus “Dalla Russia con Amore” c’è stato un incontro con Vladimir Luxuria, in compagnia del direttore del TGLFF, Giovanni Minerba, di Fabio Canino, Francesco Pellegatta, e Annalisa Venturini.
In contemporanea al Forum, all’ingresso del cinema è stata esposta una scultura chiamata ‘Pouting: Putin fa outing e chiede scusa’, realizzata dall’artista Annalisa Venturini. Si tratta di Putin seduto con una posa molto effeminata ed una vistosa sbavatura di rossetto.
Fabio Canino: “Se volete potete farvi la foto con la statua, anzi se vi fate la foto e la postate su Twitter, o su Facebook, è anche questo un modo per protestare. Perché nonostante i social network siano controllati dal potere in Russia, in Turchia, in qualche modo qualcuno riesce sempre a svicolare, e fare arrivare dall’Italia un semplice messaggio. Un ragazzo che si mette accanto a una statua, è un segnale per chi sta male e può dire ‘vabbè siamo isolati ma qualcuno pensa anche a noi’.”
L’installazione è stata resa possibile grazie al contributo economico di Francesco Pellegatta.
Francesco Pellegatta: “Avevo letto un articolo che parlava del ‘Pouting’ e delle cartoline che Annalisa aveva mandato alle Nazioni Unite e una mattina mi è venuto in mente, parlando del film festival e della Sezione Russia, che questa statua può rappresentare un messaggio importante: comunicare ciò che stà accadendo in Russia. Credo che oggi nessuno di noi debba fare zitto davanti a ciò che accade, anche se non è il nostro Paese, ed è importante fare qualcosa ora. Annalisa ha creato un messaggio veramente forte ed efficace ed era importante anche per me cercare di contribuire, per fare qualcosa anche nel piccolo per stare vicini alle persone che stanno in Russia e che stanno vivendo una situazione terribile, visto che sono state fatte delle leggi a mio parere contro l’umanità, non contro gli omosessuali o contro una preferenza sessuale in genere“.

Come ha raccontato Fabio Canino, Francesco Pellegatta è un giovane imprenditore, di 25 anni, dichiaratamente gay, che ha studiato all’estero ed è voluto tornare. Fabio Canino ha ricordato come dopo il Gay Pride del 2000 a Roma si pensava che dopo quell’evento tutto sarebbe cambiato e invece da allora siamo tornati indietro, c’è stato come un vuoto generazionale, per questo è sorprendente che un venticinquenne oggi decida non solo di investire in Italia, ma di mettere la sua faccia in un festival a tematica omosessuale e sponsorizzi una manifestazione sulla Russia, una questione internazionale, che quindi richiede una visione ancora più grande.

Fabio Canino: “Io vado a Roma nei licei a parlare di omofobia e di bullismo, e vi assicuro che molti di questi ragazzi, che non sanno molte cose, quando gli vai a spiegare cosa è successo aprono gli occhi. Su quanto succede in Russia, gioca l’ignoranza della gente. Molte persone pensano: non è vero che queste leggi contro i gay, è che non si vuole che i gay sfruttino i bambini. Quando agli studenti vai a spiegare quello che è successo, aprono gli occhi. Ma in Russia nessuno lo può fare. Per cui se non lo facciamo noi che siamo fuori… Sono fratelli e sorelle nostri, travestite amiche nostre, forse i nostri fidanzati di domani“.

Vladimir Luxuria.:“Vi dico quello che mi ha raccontato un ragazzo russo in lacrime nell’unica discoteca di Soci, una discoteca senza nessun segno visibile gay all’esterno. Lui era su di un sito di incontri gay, gli ha rsposto un ragazzo che gli ha dato un appuntamento in periferia. Lui è andato all’appuntamento e invece di incontrare un ragazzo ne ha incontrati cinque. Si tratta di una rete organizzata divisa sul territorio che addesca ragazzi in internet gli dà un appuntamento e quindi li picchiano, gli fanno la pipi adosso. Qualcuno è anche morto per le percosse. Da questo ragazzo si erano fatti dare il telefono di casa sua e hanno chiamato la madre dicendole: ’stiamo picchiando suo figlio perché è frocio’ e le facevano sentire i rumori dei calci e le urla. Questo ragazzo non può andare a raccontare questo in una trasmissione televisiva o in una radio, o in una piazza, non può denunciarlo pubblicamente, perché c’è questa legge approvata all’unanimità in un parlamento dove il dissenso non esiste, per cui non si può parlare di qualsiasi argomento legato alla omosessualità, in qualsiasi contesto in cui ci può essere un minore che ascolta, secondo quella teoria assurda per cui parlando di omosessualità, fai diventare omosessuali gli altri, come se fosse un virus.
Questi gruppi poi filmano tutto e mettono in rete. Quando ho visto quei filmati, non ho sentito la lontananza geografica, ho sentito la vicinanza della comunità, perché io queste cose le ho vissute nella mia vita. Io so cosa significa essere insultato prima della mia popolarità e essere picchiato. Quindi ero gìà incazzata nera per questa legge, ma a questa incazzatura se ne è aggiunta un’altra, perché ai Giochi di Soci, che dovevano essere una sorta di beatificazione di Putin, Barack Obama non c’è andato, Francois Holland non c’è andato, anche la Merkel, che tutti sono bravi a criticare per fare campagna elettorale, non c’è andata, ci è andato Letta, promettendo che avrebbe parlato di discriminazioni sessuali. E invece è andato lì e non ha detto nulla, perché è più importante il gas dei diritti civili. Io avevo questo rodimento interno, e io la Russia la conosco perché nel 2007 quando ero parlamentare, ero già stata a Mosca a prendere un po’ di botte al Pride, invitata da Nicolae Alexiev, un altro eroe della resistenza russo, che viene puntualmente arrestato ogni due o tre mesi. Dunque mentre avevo questo rodimento, mi è arrivata la telefonata delle Iene e mi hanno detto ‘noi manderemo due inviati a parlare di Soci, perché non vai anche tu e racconti cosa succede ?’ Io non potevo dire di no, per cui ci sono andata, ma forse mi sono anche fatta prendere la mano. Mi sono detta ‘devo far casino’. Ho aperto un armadio vecchio con i vecchi vestiti del Mucca Assassina che puzzavano di naftalina e ho tirato fuori un vestito con tutti i colori del Rainbow, e una bandiera con scritto ‘è ok essere gay’ in russo. E quindi siamo andati lì a provocare e a far casino. Sono andata in giro con questa bandiera e vedevo gli sguardi delle persone. I russi per la maggiorparte avevano un atteggiamento ostile, ma qualcuno anche di solidarietà. In Russia purtroppo sono abituati a dare molto credito al loro Premier, quindi se Putin è omofobo anche i russi sono omofobi. Quindi io la prima volta avevo questa bandiera e mi fermano tre individui e mi prendono la bandiera. Mi fanno vedere il distintivo della polizia, mi caricano in una macchina e mi portano via, in un questura. Mi hanno messo da sola in una stanza con la luce al neon. Riesco a telefonare a Imma, dopo di che mi portano via il telefono. Mi hanno lasciato lì cinque ore, ogni tanto entrava qualcuno e usciva. Loro poi hanno giustificato il fermo dicendo che aspettavano qualcuno che parlasse inglese. Dopo mi hanno rilasciata dicendo però ‘questa volta ti rilasciamo, ma non portare più la bandiera’, praticamente non far casino e io avevo detto ‘si, si, certamente’. Il giorno dopo peggio di prima. Io avevo promesso solo che non avrei portato la bandiera con la scritta gay, per cui mi sono messa un vestito tutto rainbow, sembravo una matrioska, una fatina. Quando sono entrata nel parco olimpico i bambini russi piangevano, chiedendo alle mamme di farsì una foto con me, per cui mi sono ritrovata circondata da tutti i bambini russi (‘proprio quello che voleva Putin’ commenta Canino) e mentre mi facevano le foto io urlavo ‘è ok essere gay’ in russo. Vedevo che non succedeva niente, mi sono cosi detta ’è andata bene’. Dovevo andare a vedere una partita di Hockey, lo sport preferito di Putin, faccio per entrare nei tornelli, con una certa difficoltà, perché il vestito era ingombrante, e li ho visti spuntare come funghi, almeno dieci, in un secondo mi prendono, mi strappano il pass, davanti ai fotografi, mi portano nel parcheggio. Li ho avuto paura, perché ad un certo punto la polizia ha mandato via tutte le persone nel parcheggio. Mi hanno messo in macchina e cominciano ad andare a tutta velocità verso la campagna. Dopo di che arriviamo nel bel mezzo della campagna, e mi buttano giù dalla macchina per terra, allora io ho pensato ‘mi picchiano’. Mi sono messa sdraiata con le mani sul volto per proteggere la faccia, e pensavo ‘speriamo che il tulle attutisca i colpi’. Sentivo queste voci di telefonate concitate in russo, dopo di che sento allontanarsi la macchina. Dopo un po’ è arrivata un’altra macchina con i due inviati delle Iene, in piena crisi di panico. Un po’ noi invece siamo abituati. Io con tutto il vestito raimbow insieme a loro due, cominciamo a vagare per la campagna russa, dicendoci ‘che cazzo stiamo a fare qua’, neanche in un film di Almodovar. Iniziamo a telefonare alla Farnesina. Dopo un bel po’ tempo abbiamo trovato delle indicazioni e ci sono venuti a prendere. Poi dalla Farnesina mi comunicano che sono stata definita persona non gradita e sono dovuta partire il giorno dopo. Ma sono contenta di averlo fatto, perché quando sono poi andata in questo locale, mi hanno fatto la cosa più bella i gay e le lesbiche russe: mi hanno fatta salire sul palco e per ringraziarmi di essere andata li, mi hanno cantato l’inno russo. Questa scena in cui trans, drag queen, gay e lesbiche mi cantavano l’inno russo per ringraziarmi è stato uno dei momenti più belli della mia vita”.

Fabio Canino: “Un mio amico che lavora all’ambasciata russa mi ha detto: se non fosse stata Vladimir Luxuria, ma un qualunque cittadino che voleva dimostrare, non sarebbe tornato”.
Vladimir Luxuria: “Queste iniziative mettono in luce un problema enorme, la Russia non è San Marino, è una nazione enorme. Noi dobbiamo essere vicini a tutti i luoghi dove l’omosessualità è ancora un crimine e dove anche parlare di omosessualità è un crimine. Credo che sia un dovere per tutti noi”.

“Campaign of Hate: Russia and Gay Propaganda” di Michael Lucas

Dopo l’incrontro con Vladimir Luxuria abbiamo assistito alla proiezione in anteprima mondiale del documentario ‘Campaign of Hate: Russia and Gay Propaganda’ diretto da Michael Lucas.
Nel film si confrontano te testimonianze di diversi attivisti LGBT, con quelle della gente comune e personaggi politici tutti nemici degli omosessuali.
Gran parte degli intervistati gay hanno avuto esperienze di aggressioni omofobe alle spalle, ma per molti di loro la voglia di continuare a lottare per i propri diritti non è venuta meno. Qualcuno, come una coppia di lesbiche con figli e una coppia di gay, seppure molto preoccupati per il futuro, riesce a vivere quasi bene nel privato.
Le immagini davvero schioccanti del film non sono tanto quelle riguardanti le aggressioni omofobe o le repressioni poliziesche ai Pride, o le affermazioni omofobe dei politici, ma le frasi della gente comune fermata per strada e ancora peggio le affermazioni omofobe di insegnanti e presidi.
Poiché Lucas è anche il noto regista e produttore porno, ci aspettavamo forse un’opera più stravagante, un po’ più fuori dagli schemi. Si tratta invece di un documentario dallo stile classico, rigoroso, molto serio. L’esperienza passata è servita al regista soprattutto per dare al film un’immagine estetica praticamente perfetta. (RM)

Giudizio artistico:

LES RENCONTRES D’APRES MINUIT di Yann Gonzalez

“Les rencontres d’après minuit” del trentenne regista francese Yann Gonzalez, che la rivista Variety ci presenta come il nome più promettente del futuro cinema queer (in sostituzione dei vari Almodovar, Ozon o Araki), è uno dei film che ha fatto più discutere a Cannes 2013, poi premiato al Milano Film Festival come miglior film. Sicuramente interessante, totalmente teatrale (le scene, alcune assai poetiche, sono costruite in rilevante economia, con pareti spogli ed esterni disegnati su cartongesso, tranne la scena finale sulla spiaggia), ha goduto di una campagna pubblicitaria basata principalmente sul sesso e sulle dimenzioni (non così eccezionali, visto che sfrutta una palese semi turgidità) del pene dell’ex calciatore Eric Cantona. In realtà il sesso nel film, etero, omo, trans, orgiastico, ecc. è soprattutto parlato e lasciato all’intuizione dello spettatore che deve accontentarsi di languidi baci. La storia che il film racconta è quella di un gruppo di personaggi, emblematici di una vasta fetta di umanità, tutti alla ricerca dell’amore e della felicità, con il sesso che si prende una gran parte di responsabilità nell’ottenimento di entrambe. Tutti i personaggi ci offrono una visione della vita che sicuramente appartiene alla cultura gay più che a quella etero, anche se quasi tutti sembrano aver raccolto più frustrazioni o delusioni che felicità. La ‘cagna’, assatanata di sesso, si ritrova sempre a dover ricominciare da capo; la ‘diva’ è un’attrice avanti con gli anni che adesso vorrebbe solo nascondersi; l’adolescente (il carino Alain Fabien, figlio di Alain Delon, ma lontanissimo dal fascino paterno, almeno per ora), per cercare se stesso è costretto a fuggire dalla famiglia e da tutti; Matthias (un bellissimo Niels Schneider, attore prediletto dal regista canadese Xavier Dolan e molto somigliante a Louis Garrel), ucciso in guerra e resuscito dall’amore della sua compagna e del trans è ormai il fantasma di se stesso e dei desideri altrui; il trans, sicuramente il personaggio dalle idee e dagli obiettivi più chiari ed espliciti (con un tocco di leggerezza che spesso ci solleva dall’oppressione che tutti si portano addosso), è l’unico disponibile alle urgenze di tutti ma sempre come seconda scelta; lo ‘stallone’ (un bravo Erci Cantona) è solo apparentemente un felice schiavo della sua esuberanza sessuale (che lo porta in prigione da dove però anche lo libera dopo aver esaudito la libidine dei carcerieri, tra i quali l’icona gay francese Beatrice Dalle) e alla fine lo vedremo cambiare stile di vita; Ali (Kate Moran), la padrona di casa che organizza le orge notturne, è quella forse più bisognosa d’amore, che ormai trova solo nei ricordi del passato (rappresentati dal redivivo Matthias), alla fine del film e della storia si aggrappa ad un nostalgico ritorno ai tempi antichi con la rivalorizzazione della famiglia (anche se onnicomprensiva). L’ambientazione del film ci ricorda un po’ quella delle 120 giornate di Sodoma, con gli ospiti rinchiusi in un castello e qui in un appartemento, mentre la potenza espressiva del film è tutta nei primissimi piani dei protagonisti, tutti all’altezza della situazione. Un film difficile da amare, in alcuni momenti troppo cerebrale, ma sicuramente interessante ed aperto alla discussione. (GM)

Giudizio artistico:

OF GIRLS AND HORSES di Monika Treut

“Of Girls and Horses” di Monika Treut (in concorso), qui alla sua prima internazionale, è il film che ci è piaciuto più di tutti in questa giornata del festival pur ricca i ottimi film. La regista, presente in sala, ci ha spiegato che il film rappresenta una pausa distensiva nella sua prolifica carriera, quasi un momento di rifugio dallo stress della vita cittadina, oltre che essere basato su un momento particolare della sua adolescenza che la portò all’incontro con il suo primo amore lesbo. Il film, a bassissimo budget grazie all’ambientazione prevalente in una bella fattoria dove, tra l’altro, si allevano stupendi cavalli, mette a confronto l’amore lesbico di due generazioni, una coppia di donne mature ed affermate (entrambe soddisfatte del proprio lavoro e della Merkel) e una coppia di adolescenti quindicenni, una ribelle e tossica, figlia adottiva, e l’altra, giovane rampolla di una famiglia ricca e benestante, in vacanza premio col suo cavallo personale, regalo paterno. La regista ha detto di aver girato il film in una fattoria senza dire ai proprietari, di cultura tradizionalista ed omofoba, che la trama era completamente lesbica. La Treut ha affermato che l’ambiente agricolo è quasi sempre omofobo (probabilmente perchè essendo basato su aziende famigliari è sempre bisognose di nuove bracce lavorative), ma con sua gradita sorpresa, quando alla fine del film lo ha mostrato, dietro richiesta, agli abitanti del piccolo paese agricolo, questi si sono dimostrati tutti soddisfatti e comprensivi. Merito probabilmente dell’ottimo lavoro svolto dalla Treut, che, oltre a mostrare amore e sesso lesbo, ha saputo valorizzare in modo encomiabile, la bellezza della natura, degli animali (i cavalli sono sicuramente tra i principali protagonisti del film) e del lavoro agricolo. Un film lento, semplice, tutto basato sulla quotidianità di un lavoro millenario, quello agricolo, capace di affascinare le ragazze neofite che arrivano in fattoria così come lo spettatore che si trova immerso da subito in un ambiente ricco di poesia e calore umano e animale, dove questi ultimi, in questo caso i cavalli, sono un’estensione naturale del proprio corpo e della propria anima, coi quali si può e si deve parlare, coi quali si può dormire (toccante la sequenza della ragazza che si addormenta accanto al cavallo perchè lo sentiva troppo nervoso), e che si deve accarezzare e nutrire come se fosse la stessa cosa. Oltre a tutto questo il film ci regala anche due bellissime storie d’amore, diverse nella concretezza del sesso, assai castigata quella adolescenziale, dove il sesso è ancora sotto forma di gioco (rincorrersi, gettarsi addosso il fieno, rotolarsi nel fango, ubriacrasi, disubbidire insieme alle regole, ecc.), mentre piena di passione e desiderio quella delle due donne mature, unite nel letto ma anche e soprattutto dai progetti per la loro vita futura insieme. Un film liberatorio, forse un po’ troppo ottimista, ma così dentro all’ambiente, alla natura, agli animali ed ai personaggi, da imprimersi profondamente nello spettatore come più reale del reale, come un’esperienza nuova ed ammaliante. (GM)

Giudizio artistico:

TEST di Chris Mason Johnson

“Test” di Chris Mason Johnson, secondo film in concorso della giornata, ci porta indietro nel tempo, nella San Francisco del 1985 quando si è appena trovato il modo di fare il test per rivelare la sieropositività (i primi non erano però sempre sicuri, e spesso un positivo diventavanegativo al secondo esame, così come il contrario). Il film si concentra tutto sull’ambiente della danza, raccontando di un piccolo gruppo di ballerini professionisti che devono andare in scena quasi tutte le sere. Conosciamo così le diverse problematiche connesse a quest’ambiente, grazie anche al fatto che la regia è di un ex ballerino. Le invidie, la competizione per il primo ruolo, ma soprattutto i problemi legati alla mascolinità necessaria per esibirsi, facile per gli etero e non sempre per gli omosessuali (che sembrano la maggioranza in questo settore), e quindi il tentivo di rimanere nascosti come omosessuali (difficile da mantenere quando le colleghe ballerine ti puntano). Poi c’è la vita sessuale dei ballerini gay, libera e apertissima, dove la promiscuità è la regola e la monogamia una cosa che appartiene solo agli etero. Molto esplicativa la scena dove i due ragazzi devono mettersi per la prima volta un preservativo, oggetto fino ad allora sconosciuto (preferirevvero farci dei palloncini volanti). Altrettanto sconosciuta, vista come una negazione di se stessi e della propria libertà, la coppia stabile e l’affettività. Il film ci racconta proprio la scoperta di questa necessità, attraverso la lunga storia dei due protagonisti e colleghi ballerini, entrambi gay, entrambi soli anche se con una ricca vita sessuale (uno dei due ha scoperto che i partner – spesso più maturi – lo pagano anche senza che lui lo chieda, cosa che lo induce a pensare che potrebbe cambiare vita e lavoro). Ma l’essenza della loro vita rimane la danza, e quando per l’insorgere dell’Aids, con la conseguente isteria collettiva, anche nella danza c’è chi non vuole più toccare il sudore del collega, tutto diventa drammatico: il proprio lavoro di ballerino, il proprio futuro, la propria vita stessa. Tutto si aggarbuglia e diventa complicato (come i fili dei vecchi telefoni analagici sempre intrecciati, anche se il regista insiste un po’ troppo nel mostrarceli). Il dramma esplode quando si attende l’esito del primo test… Il film è per la metà composto da splendidi balletti, insistenza che ha la sua motivazione nel farci comprendere come la danza fosse la vera vita e passione dei protagonisti e, pure il primo sacrificio che l’aids richiederebbe loro. Accuratissima l’ambientazione d’epoca, bellissimi i corpi che danzano sia sul palco che nella vita, tenerissimo il modo in cui la sceneggiatura porta i due protagonisti a scoprire l’amore e l’affettività che li lega e che cambierà la loro vita (in questo senso potremmo aggiungere che non tutto il male viene per nuocere), il tutto accompagnato da bellissime musiche del tempo (per due volte ci viene proposta l’indimenticabile “Smalltown Boy” dei Bronski Beat). Il film ha vinto due premi, miglior film e sceneggiatura, all’Outfest di Los Angeles. (GM)

Giudizio artistico:

BURNING BLUE di D. M. W. Greer

“Burning Blue” di D.M.W. Greer è un bel film di denuncia, ad alto budget e che quindi ci aspettiamo di vedere nelle nostre sale, che ci racconta una storia vera raccontata dal regista prima sulle scene (acclamata a Londra nel 1995 e poi in giro per il mondo) ed ora in questa accurata ricostruzione filmica, ambientata su una vera portaerei, con ottimi attori e accattivanti riprese ambientali. L’ambiente è quello della marina militare, delle loro feste e dei rigidi rapporti che collegano i vari gradi, dove quelli superiori sono tenuti ad un controllo completo, anche privato, degli inferiori. La vita privata degli ufficiali è parte integrante della loro carriera. L’omosessualità è bandita (viene perdonato, con qualche prezzo, solo un unico ed irripetibile contatto omo). La cosa allucinante (siamo negli anni antecedenti al Don’t Ask, Don’t Tell) è come viene considerata la scoperta (ma anche solo il sospetto) di una cellula (così viene chiamata) omosessuale, cioè di un gruppo di omosessuali che si ritrovano insieme nelle ore libere: sarebbero più pericolosi di un gruppo sovversivo o spionistico. Il film comunque non ha nulla di documentaristico (o teatrale), è costruito con un abile sceneggiatura che pian piano ci fa scoprire i diversi protagonisti (anche lo spettatore, come gli indagatori della polizia militare, fatica inizialmente a comprendere chi è gay e chi no). Il sesso gay, che sicuramente c’è stato in una libera uscita in quel di New York, noi non lo vediamo (solo una dolce carezza sui capelli), ma viene intuito da un militare che in una discoteca vede ballare i due protagonisti insieme, senza camicia e con qualche strusciata. Apriti cielo, tutti gli alti gradi della marina entreranno in azione e a nulla varrà l’intervento dell’ammiraglio padre di uno degli indagati. Il film ci fa comprendere bene la durezza, la crudeltà e il sacrificio di tanti omosessuali che nell’esercito USA sono stati perseguitati per anni. Grazie a loro si arriverà al compromesso del Don’t Ask, Don’t Tell nel 2001 e poi nella liberazione completa voluta da Obama (che però nella realtà trova ancora molte opposizioni). (GM)

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