IL FESTIVAL MIX DI MILANO DAY BY DAY

I principali interventi e i film più interessanti visti dalla redazione – TUTTI I PREMI

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24 giugno 2013 – PREMIAZIONE

Giampalolo Marzi ha iniziato la serata dicendo:”Benvenuti a questa ultima serata del 27° Festival Mix, in questo teatro meraviglioso. Siamo qui per annunciare i vincitori, per ringraziare chi ha lavorato con noi, per dirvi delle cose che non siamo riusciti a dirvi in questi giorni e per augurarci di essere qui ancora per tanti anni, perché abbiamo tante cose da dire.
Quindi Eleonora Dall’Ovo ha chiamato sul palco i componenti delle Giurie del Concorso che hanno letto i vincitori per ogni categoria con le motivazioni.

Finita la premiazione Giampaolo Marzi invita sul palco Marco Mori Presidente di Arcigay Milano, che oltre a ricordare gli stretti legami, personali e dell’associazione che rappresenta, con il Festival Mix, ci ha parlato della Pride week che parte dal prossimo mercoledì, e del Gay Pride il prossimo sabato.

Giampaolo Marzi e Eleonora Dall’Ovo hanno quindi fatto la lunghissima lista di ringraziamenti: ai Media Partners tematici, ai Community Partners, ai Partners Tecnici e cosi via. Speciali ringraziamenti sono andati a Radio Popolare, Citroen, Comune di Milano, Arcilesbica e inoltre a La Pina e Diego, Paolo Rumi, Gianni Rossi Barilli e tanti altri.
E’ quindi salito sul palco tutto lo Staff del Festival MIX.
Tra gli altri membri dello staff che hanno parlato, Francesco Tirinato ci ha spiegato che cos’è il CROWDFUNDING e come è stato utilizzato per finanziare il Festival Mix di quest’anno. Ci ha quindi introdotto un nuovo cortometraggio, poi proiettato prima del lungometraggio, un omaggio al festival e al cinema, prodotto da un gruppo di giovani indipendenti, tra cui Ivan Casagrande e Domenico Onorato, tratto da un racconto di Alcide Pierantozzi.

Giampaolo Marzi ha voluto concludere la serata rendendo un omaggio a Franca Rame, con la lettura del monologo ‘Chiamatemi strega‘ scritto da Barbara Giorgi per l’attrice da poco scomparsa. (R.M.)

TUTTI I PREMI DEL 27° FESTIVAL MIX

Concorso Lungometraggi
La Giuria del 27° Festival MIX Milano – Concorso Lungometraggi, composta da Ida Bozzi, Mattia Carzaniga, Giuseppe Isgrò, Elena Russo Arman, Luca Scarlini, assegna i premi:

Miglior Film a

IN THE NAME OF di Malgorzata Szumowska / Polonia 2013 / 102′
Con la seguente motivazione:
Perché affronta un paesaggio umano e naturale ostile, fortemente segnato dalle stimmate di un cattolicesimo antico, illuminando una fisionomia umana schiacciata fra desiderio e ubbidienza. Balla coi papi!

Menzione Speciale (per il contributo artistico) a:
NOOR di Guillaume Giovanetti, Cagla Zencirci / Francia-Pakistan 2012 / 79′
Con la seguente motivazione:
Un viaggio tra antropologia e misticismo ai confini del gender. Quando i sessi non bastano, l’anarchia del sogno trionfa.

Menzione Speciale (per la migliore interpretazione delle due attrici) a:
FACING MIRRORS di Negar Azarbayjani / Iran 2011 / 102′
Con la seguente motivazione:
Perché incarnano nella naturalezza del quotidiano, l’avventura senza scampo del proprio destino.

Concorso Documentari
La Giuria del 27° Festival MIX Milano – Concorso Documentari, composta da Valeria Muscolino, Alcide Pierantozzi, Sara Sagrati, Matteo Scarduelli, Paolo Soravia, assegna i premi:

Miglior Documentario a

LES INVISIBLES di Sébastien Lifshitz / Francia, 2012 / 115?
Con la seguente motivazione:
Ci sono film che precorrono i tempi, altri che restituiscono una parziale visione della Storia. Con LES INVISIBLES, Sébastien Lifshitz costruisce un toccante mosaico di storie riportandoci in una natura, ambientale ma anche di identità, che punta i riflettori della memoria su un passato, oggi più che mai necessario conoscere e ricordare.

Menzioni speciali a
LE COCCINELLE – SCENEGGIATA TRANSESSUALE di Emanuela Pirelli / Italia 2011 / 60?
Con la seguente motivazione:
Per la naturalità con cui Emanuela Pirelli racconta le sue protagoniste.

LE LESBICHE NON ESISTONO di Giovanna Selis e Laura Landi / Italia 2013 / 60′
Con la seguente motivazione: Film necessario per conoscere una realtà troppo spesso ignorata ricercando allo stesso tempo le parole giuste per darle voce.

Concorso Cortometraggi

La Giuria del 27° Festival MIX Milano – Concorso Cortometraggi, composta da Lucia Andreucci, Luca Donnini, Pasquale Marrazzo, Giulia Sbernini, assegna i premi:

Miglior Cortometraggio a

IT’S NOT A COWBOY MOVIE di Benjamin Parent / Francia 2011 / 12′
Con la seguente motivazione:
Squisita fotografia di adolescenti chiusi in bagno durante l’intervallo a scambiarsi impressioni sul film “Brokeback mountain” passato in tv la sera prima. Con ironia e delicatezza lentamente emergono emozioni fuori dagli schemi in quell’età in cui tutto è ancora da scoprire.

Menzione speciale “Sguardi italiani” a

RE(L)AZIONI A CATENA di Silvia Novelli – Badhole Video / Italia 2012-2013 / 27′
Con la seguente motivazione:
Perchè è una sit com originale, che ci ha offerto uno sguardo fresco e inedito. Scritto, girato e interpretato bene, Relazioni A Catena è bello da guardare, perché riesce a elevare il linguaggio e gli standard qualitativi di genere. Ed è un progetto di respiro internazionale, che porta finalmente sullo schermo un immaginario profondamente italiano.

Menzione speciale a

UNDRESS ME di Victor Lindgren / Svezia 2013 / 9′
Con la seguente motivazione:
Un incontro che racconta con delicatezza e ironia la difficoltà di conoscere e accettare un corpo sconosciuto. Un gioco di provocazioni che porta in scena la sofferenza, ma anche la naturalezza, di chi fa un percorso per cambiare e finalmente riconoscersi nel proprio corpo. Anche quando, negli occhi degli altri, c’è più curiosità che interesse.

23 giugno 2013

Anche quest’anno, nonostante le difficoltà, il Festival Mix ha deciso di continuare la tradizione del premio Queen of Commedy.
Giampaolo Marzi invita a salire sul palco Antonio Carbi, direttore del Settore Spettacolo Moda e Design dell’ Assessorato alla cultura del Comune di Milano, che ci ricorda come il premio Queen of Commedy, sia nato per premiare quelle attrici , che nella linea del festival, siano capaci di raccontare i sentimenti, le passioni, le commedie e le tragedie. Quest’anno si è deciso di premiare Valentina Cortese. L’attrice doveva essere presente, ma le si è bloccata la cervicale e non c’è stato modo di accompagnarla in sala questa sera.
Valentina Cortese è stata una delle poche ‘Divine’ italiane, che ha fatto l’esperienza di Hollywood. Di questa esperienza, piuttosto difficile, Valentina ha raccontato oggi a Carbi qualche aneddoto. Come di quando, durante un party ad Hollywood, il padrone di casa, piuttosto alticcio ed eccitato, le si era appoggiato dietro, e Valentina sentendosi toccata, si gira e gli versa addosso il suo cocktail. Successe poi un gran casino, e lei dovette prendere un avvocato per sciogliere i suoi contratti con Hollywood.
Sono stati quindi proiettati due spezzoni, il primo tratto da Giulietta degli spiriti di Fellini, mentre nel secondo la Cortese spiega come Fellini le abbia insegnato a recitare pronunciando dei numeri al posto delle battute.
Antonio Carbi continua raccontando degli episodi presi dal libro di Valentina Cortese “Quanti sono i domani passati ‘ ed. Mondadori, uscito l’hanno scorso. Alla presentazione a Parigi di ‘Giulietta degli spiriti‘ Valentina Cortese scopre che le due sue scene migliori sono state tagliate, questo perché , Fellini le dice, lui non poteva oscurare la Masina, sua moglie.
E’ stato poi presentato uno spezzone del 1973 riguardante le riprese di Effetto Notte di François Truffaut , in cui la Cortese fa arrabbiare il regista, proponendogli di recitare con i numeri come con Fellini. Quell’anno la Cortese ottenne una nomination all’Oscar come migliore attrice non protagonista, ma vinse Ingrid Bergman, che quando ritirò il premio, si scusò con Valentina Cortese, dicendo che questo premio doveva andare a lei.
Valentina Cortese ha avuto legami con grandi uomini, tra cui una lunga e travagliata relazione con Giorgio Strehler. La Cortese è stata anche una grande attrice di teatro, l’ultimo spezzone riguarda una delle sue più grandi interpretazioni, ‘Il giardino dei ciliegi‘ di Cechov.

L’altro premio Queen of Comedy è stato dedicato alla memoria a Mariangela Melato. Un’altra grandissima interprete, forse ancora più Queen of Comedy della Cortese, un’attrice che ha attraversato i vari generi con una facilità straordinaria. Un’attrice, si potrebbe dire, operaia, non solo perché era espressione della Milano migliore. Figlia di una sarta e di un vigile urbano, aveva frequentato Brera, faceva la vetrinista in Rinascente, nel 1964 debutta giovanissima con Dario Fo, nel 1969 recita con Ronconi l’Orlando Furioso. Già consacrata attrice di teatro, nel 1971 reciterà in una commedia musicale all’italiana di Garinei e Giovannini. La Melato ha poi lavorato con tutti, Monicelli, Comencini, Antonioni. A teatro ha lavorato molto con Ronconi. Veramente le è piaciuto fare di tutto.

Antonio Carbi invita quindi sul palco Giovanna Guida, che è stata assistente di Mariangela Melato e Elio De Capitani, il regista che l’ha diretta in due spettacoli importanti “Un tram che si chiama desiderio” e “Tango Barbaro” di Copì.
Per Giovanna Guida , la Melato avrebbe accolto questo premio con una fragorosissima risata e con grande gioia. Spesso lei si lamentava del fatto che la gente pensasse che fosse antipatica. Diceva ‘Vengono in camerino dopo aver visto Medea o Fedra e mi dicono: “ma Signora, lei è simpaticissima”, “eh non ho capito, perché faccio Medea devo anche essere una stronza ?”. Probabilmente, aggiunge De Capitani, lei avrebbe anche replicato a Carbi: “attrice operaia sarai te!” .
Abbiamo quindi visto degli spezzoni dalla trilogia dei film che lei ha recitato con Lina Wertmuller, dove si vede come la Melato fosse straordinaria nel dipingere personaggi donne di tutti i tipi.
Elio De Capitani ha ricordato infine come Mariangela Melato in ‘Un tram che si chiama desiderio‘ fosse completamente assorbita dal personaggio di Blanche. Subito dopo quell’esperienza, hanno lavorato assieme in un testo giovanile di Copì, ‘Tango Barbaro‘ dove la Melato interpretava un transessuale, Raulito, mentre nel ruolo del suo protettore c’era Toni Servillo. Alla prima a Genova, dopo una canzone piuttosto spinta di Raulito, dalla platea una signora le ha detto ‘Si vergogni’ allora Mariangela le si è avvicinata e le ha risposto ‘Si vergogni lei..’ (R.M.)

LUNGOMETRAGGI

“It’s All So Quiet” di Nanouk Leopold – VOTO: 8/10

“It’s All So Quiet”, del regista olandese Nanouk Leopold, sembra racchiudere tutta l’atmosfera del film nel titolo, “tutto così tranquillo”. Film lento, adatto ad un pubblico di cinefili, dove succede pochissimo ma dove viene mirabilmente raccontata, con pochissime parole, l’intera vita di un uomo. Una vita non esaltante, quella di Helmer, tutta trascorsa nella piccola azienda agricola di famiglia, e adesso composta solo da lui, cinquantenne, e l’anziano padre che attende la morte nell’immobilità del suo letto. Helmer è omosessuale ma non ha mai avuto il coraggio di dichiararsi, colpa probabilmente di un ambiente rurale tradizionale e di un padre padrone (‘usava le mani solo per picchiare’). Capiamo che qualcosa deve aver fatto con l’autista del camion del latte, ma nulla di più, se escludiamo qualche masturbazione davanti allo specchio. Adesso che il padre sta per morire, un padre che non l’ha mai amato preferendogli il fratello (‘quello giusto’), deceduto prematuramente, qualcosa potrebbe cambiare. Sta infatti preparando una nuova stanza da assegnare ad un aiutante fattore in arrivo. Si tratta di un bel giovane (l’amico del latte quando lo vede gli dice che è un ‘bel fusto’), Hank, per combinazione anch’esso gay. Hank intuisce subito come stanno le cose e con delicatezza ma con decisione cerca di attirare l’attenzione di Helmer, mostrandosi nudo alla prima occasione (la scenetta dell’asciugamano da lavare, l’unica cosa che indossa, è esilarante). Hank è comunque di una generazione più moderna e non aspetta molto per introffularsi nel suo letto… Scenografia ridotta all’essenziale, obiettivo che indugia spesso sui primissimi piani dei volti, pochissime parole, eppure il film riesce perfettamente ad introdurci in quell’ambiente rurale, dove sembra che gli animali abbiano lo stesso peso delle persone, dove ognuno è prigioniero di un ruolo semplice ma ben definito, dove nemmeno la morte sorprende. Il film è il mirabile ritratto di un uomo che arrivato ai cinquant’anni aspetta ancora di poter vivere la sua vita, in una comunità che non ha gli strumenti necessari per aiutarlo (tutto quello che gli può offrire è l’aiuto per accudire il padre, aiuto che comunque rifiuta). Il finale accende una piccola luce, che difficilmente porterà grandi cambiamenti. Nell’Olanda progressista e pioniera dell’emancipazione gay, esistono ancora degli spazi dove l’omosessualità non ha cittadinanza.

“Opium” di Arielle Dombasle – VOTO: 7,5/10

Possiamo definire “Opium” come uno spettacolo raffinato e assai barocco, che tenta di restituirci l’ambiente delle avanguardie poetiche e letterarie degli anni ’20 a Parigi. Incontriamo quasi tutti i nomi più illustri di quel periodo dai protagonisti Jean Cocteau e Raymond Radiguet, a Nijinski, Coco Chanel, Nyx, la marchesa Casati, Tristan Tzara, ecc. Il film non vuole essere una biografia di Cocteau, aspira a molto di più, vuole ricostruire sullo schermo un Cocteau vivente, col suo pensiero, le sue idee, le sue opere, i suoi stati d’animo, la sua genialità, usando quasi esclusivamente le sue parole (soprattutto il diario che ha scritto durante la disintossicazione) e i suoi disegni. Lo stile del film è però assai discontinuo, con momenti di vita reale, costruiti come dei tableaux vivants che vogliono farci respirare l’atmosfera dell’universo cocteauiano, altri momenti sono dei piacevoli brani da musical, altri sono ricostruzioni della grafica e delle opere di Cocteau (con anche il fischiatissimo spettacolo teatrale messo in scena da Cocteau). Il film dovrebbe essere centrato sulla storia d’amore tra Cocteau, trentenne, e l’adolescente Radiguet, da molti critici e biografi non riconosciuta. La regista non trascura comunque di mostrarci l’attività eterosessuale di Radiguet che lo vediamo sedurre addirittura la musa protettrice e benefattrice di Cocteau, l’aristocratica Marie-Laure de Noailles. Le scene d’amore tra Cocteau e Radiguet sono assai castigate e lasciano libero lo spettatore di pensare che Radiguet sfrutti l’attrazione che Cocteau prova per lui, per conquistarne i favori e l’aiuto ad entrare nel suo bel modo. Appare invece sincero e profondo il dolore del poeta per la perdita dell’amico. Il film ha ricevuto applausi assai timidi, probabilmente ha pesato una trama poco lineare, con troppi salti tra passato e presente, e tra i differenti stili dell’opera. Tra le cose migliori i momenti musicali e le ottime interpretazioni dei protagonisti. Film per un pubblico selezionato.

“Mosquita Y Mari” di Aurora Guerrero – VOTO: 7/10

Non ha invece deluso nessuno il piacevolissimo “Mosquita Y Mari” di Aurora Guerrero, che mette in scena la nascita dell’intima amicizia, a monte del primo bacio (che nel film non c’è), di due adolescenti nel mondo degli immigrati USA stabilizzati, con genitori che hanno faticato una vita per integrarsi ed essere accettati ed ora vorrebbero che per i loro figli fosse tutto più semplice. Molto ben rappresentate le dinamiche sociali di questa piccola comunità, dove tutti si controllano e vengono controllati, stando ben attenti a non deviari dai binari. Chi soffre maggiormente di questa situazione sono i figli, in questo caso due ragazze 15enni, che sono sorvegliate a vista 24 ore su 24. Fortunatamente si parla ancora poco di omosessualità e il pericolo a cui tutti sono allertati è quello eterosessuale, cosa che diventa un vantaggio per le sveglie Mosquita e Mari. Sveglie ma con ancora davanti a se tutto da scoprire, a partire dai propri sentimenti e dalle proprie incertezze. Il film è essenzialmente il diario di questa difficile scoperta, con i rispettivi turbamenti, le gelosie ancora senza spiegazioni, il bisogno della vicinanza che però non è ancora desiderio e che quindi non mette in conto nemmeno il primo bacio. Una bella rappresentazione di quei momenti delicati e incerti che precedono e preparano all’esperienza sessuale.

CORTOMETRAGGI

“VANITY N° 7” di Johnny Guim

All’interno del ciclo di corti ‘DRESSING GAMES’ è stato proiettato VANITY N° 7 di Johnny Guim. Protagonista Margot Minnelli, trasformista molto nota nei locali milanesi, attivista nel movimento gay ormai da molti anni, grande amante del cinema Hollywoodiano. Quest’anno abbiamo visto Margot fare da valletta sul palco del Festival MIX, sfoggiando ogni sera un diverso favoloso abito. Margot ovviamente è vanitosa e con questo film, non vincerà forse l’Oscar, ma si è fatta un bel regalo. La vanità, come tutti sappiamo è un vizio ed un peccato capitale, ma è anche un forte stimolo a superare le difficoltà, per ogni trasformista o artista in genere. Margot Minnelli e Johnny Guim avevano presentato a questo festival, ormai molti anni fa, un altro corto “Il male di questo secolo”, dedicato alla lotta all’AIDS, rintracciabile su internet, il cui le parti erano invertite, con Johnny protagonista e Margot regista.

“MIRO/MIRANDA!” di Frank LaLoggia

Nello stesso ciclo di corti è stato molto applaudito “MIRO / MIRANDA!” del regista americano Frank LaLoggia, autore nel 1988 di Lady in White, un noto film horror. MIRO / MIRANDA! , ambientato nello stesso splendido paesino toscano dove Frank ora vive, è una bellissima piccola commedia musicale, in cui Frank interpreta quasi tutti i personaggi principali. Il protagonista è Miro, un ragazzo che sin da bambino vuole diventare come Carmen Miranda. E alla fine ci riesce, nonostante l’opposizione di papà, del prete e di Freud, anche grazie all’amore della sua mamma. Il regista ci aveva spiegato che MIRO / MIRANDA! (che a noi sembra già perfetto così com’è), è in realtà solo il preambolo di un lungometraggio che non è ancora stato completato per carenza di fondi.

BRAIN & SEXY , il salotto più POP della letteratura italiana, ospita oggi i seguenti autori che presentano i loro ultimi titoli:

Luca Bianchini — Io che amo solo te
Moni Ovadia — Madre Dignità
Guia Soncini — I mariti delle altre

22 giugno 2013

La giornata del sabato è iniziata, come consuetudine, con la proiezione dei cortometraggi, genere molto amato dal pubblico del Festival. Purtroppo, per ragioni immaginiamo economiche, i corti stranieri sono stati trasmessi con i sottotitoli solo in inglese, questo non ha impedito di riempire quasi completamente sin dall’inizio la sala Scatola Magica del teatro Strehler. Nonostante le difficoltà suddette, la qualità dei cortometraggi sembra addirittura aumentata, rispetto alle passate edizioni. Dall’intelligente e tenero “Ce n’est pas un film de cowboy“, sui dialoghi di alcuni studenti, nel bagno della scuola, dopo aver visto Brokeback Mountains, a “Hel Hijo“, un pugno nello stomaco, in tutti i sensi, che tratta di bullismo omofonico e rapporti padre e figlio molto problematici; a “Pacote” su di una dolce love story adolescenziale che resiste all’HIV.

Il pomeriggio dei corti di oggi è stato però dominato dal ‘focus’ Dykes on Line, che ci ha permesso di vedere, riunite tutte assieme sul palco, le autrici delle più fortunate serie lesbiche su web del momento. Dalle livornesi dell’acclamato DHE’ LELL WORLD – COZZE E LESBICHE VERACI, rappresentate dalla regista Sirka Capone, alle ragazze romane della serie LSB – LE RAGAZZE NON DORMONO, della quale Floriana Buonomo ci ha presentato un montaggio di spezzoni. Infine, le ormai famosissime ragazze torinesi, le Badhole, che hanno presentato la prima serie (4 episodi) di RE(L)AZIONI A CATENA. Altri quattro episodi sono in arrivo.

Nella saletta Extramix abbiamo visto nel primo pomeriggio il documentario canadese OVER MY DEAD BODY di Brigitte Poupart, un film allo stesso tempo affascinante e angosciante, sul ballerino e coreografo canadese Dave St-Pierre. Film nel quale si alternano continuamente le immagini dei suoi lavori, balletti moderni carichi di eros, dai titoli evocativi come “a Pornographie des âmes” , nei quali i ballerini soni quasi sempre nudi, al resoconto delle tappe della via crucis che David ha dovuto percorrere, da quando si è ammalato di una gravissima malattia polmonare, sino ad arrivare al sospirato trapianto dei polmoni (dopo due tentativi falliti). Nonostante l’aggravarsi della malattia David non ha mai smesso di lavorare.

Nel film CHERRY di Stephen Elliot, una bellissima diciottenne, Angelina, dalla situazione familiare molto problematica, trova la sua strada quando lascia la città natale e va a cercare lavoro a San Francisco, insieme al suo miglior amico Andrew (il protagonista di The Millioner, Dev Patel). Passando da un lavoro all’altro, Angelina scopre che il mondo del porno è la sua vera vocazione. Speriamo che in questi tempi di crisi, il film non faccia venire qualche idea alle persone del pubblico con lavoro precario. Durante la sua scalata lavorativa, Angelina incontra un ricco, affascinante e un po’ perverso avvocato, che la introduce nel bel mondo, interpretato da un James Franco, a dire il vero un po’ fuori parte.

Prima dell’inizio della programmazione serale, Giampaolo Marzi, ha ringraziato Antonio Calbi, del Settore Spettacolo Moda Design del Comune di Milano, presente in sala, e ha chiamato sul palco Gianni Rossi Barilli, Paolo Rumi e Eleonora Dall’Ovo dell’Altro Martedì, che hanno collaborato attivamente all’organizzazione degli eventi del Festival di quest’anno, tra cui un importantissimo tributo a Mario Mieli, cittadino milanese, evento organizzato da “L’AltroMarteMIX” insieme a Radio Popolare. Eleonora ha ricordato come quest’anno abbia assunto un ruolo importante il coinvolgimento delle associazioni, che hanno adottato alcuni film , e in particolare il maggior coinvolgimento delle associazioni lesbiche, in altri anni meno presenti. Eleonora ha anche ringraziato per il suo aiuto al festival, la consigliera Comunale Anita Sonego, consigliere al comune di Milano. Paolo Rumi ci ha poi dato un commosso ricordo dell’importanza che questo Festival ha sempre avuto nella sua vita di gay e di cittadino milanese. Infine Mauro, dell’associazione Renzo e Lucio di Lecco, ci ha presentato la sua associazione. (R.M.)

“Out in the Dark” di Michael Mayer – VOTO: 7/10

Il regista Michael Mayer, nativo di Haifa ma formatosi in California, qui al suo debutto nel lungometraggio, ci offre una panoramica del medio oriente assai diversa da quella vista nell’ultimo film dell’israeliano Eytan Fox, “Yossi“. “Yossi” ci raccontava di un Israele permissivo e benevolo verso gli omosessuali, persino nell’esercito. In questo film, che entra nel vivo della perenne lotta tra Israele e Palestina, gli omosessuali tornano ad essere le più facile vittime sacrificali di una assurda guerra dell’odio tra due popoli. I protagonisti del film sono infatti due giovani gay, Nimr (l’esordiente Nicholas Jacob), palestinese, studente di psicologia con l’ambizione di proseguire negli studi, che si reca spesso clandestinamente a Tel Aviv dove frequenta un locale gay e dove conosce Roy (Michael Aloni), giovane avvocato che lavora nel prestigioso studio legale del padre. Per Nimr e Roy si tratta di un colpo di fulmine. La politica non è al centro delle loro preoccupazioni. Come gli omosessuali di mezzo mondo sono anzitutto preoccupati di potere esprimere e realizzare la loro affettività. Per Roy, la cosa è più facile: si è già dichiarato in famiglia (ma vedremo che i genitori non ne sono entusiasti) e vive apertamente la sua gayezza frequentando i tanti locali gay di Tel Aviv. Per Nimr tutto è assai più complicato: deve nascondere la sua omosessualità a tutti, in primis alla famiglia, in un paese, la Palestina, dove uccidere un gay è ancora un delitto d’onore. Questa situazione viene sfruttata molto bene dalla polizia israeliana, disposta ad accogliere temporaneamente i rifugiati gay palestinesi in fuga o cacciati dalle famiglie solo in cambio di collaborazione. La storia di Mustafa (Loai Nofi), amico di Nimr, è esemplare: gay effeminato fuggito dalla Palestina, vive clandestinamente a Tel Aviv, ma quando le autorità decidono di riportarlo in Palestina, per lui è come una condanna a morte, che infatti verrà eseguita proprio sotto gli occhi terrorizzati di Nimr. I Palestinesi sanno bene che i gay vengono usati come informatori dai servizi segreti d’Israele e per questo si trovano nella necessità di eliminarli. Il film, che abilmente evita il rischio della didattica, si trasforma presto in thriller, con il protagonista Nimr condannato a morte sia dai palestinesi, informati della sua omosessualità dai servizi segreti, e quindi in odore di spia, che dagli israeliani dopo il suo rifiuto di collaborare e dopo che vengono trovate le armi nascoste dal fratello (appartenente ad una organizzazione di lotta clandestina). L’impegno di Roy, che cerca inutilmente aiuto presso il padre, dimostrerà quanto forte e irriducibile sia l’amore che lo lega a Nimr. Film che ha ricevuto una miriade di premi, soprattutto da parte del pubblico come al Togay 2012 e al Miami Gay and Lesbian Film Festival, che fa vanto di un’ottima fotografia, spesso in notturna, e di due bei, ma anche bravi (se pure non eccelsi), protagonisti.

“Facing Mirrors” di Negar Azarbayjani – VOTO: 8/10

Sempre in tema di Medio Oriente abbiamo visto il giustamente apprezzato “Facing Mirrors“, primo film iraniano a mettere come protagonista un transessuale. Anche questo film ha già raccolto numerosi premi, oltre che per l’originalità del tema, anche per la bravura delle due protagoniste. Pregio principale del film ci è sembrato anche quello di avere evitato gli stereotipi, molto facili visto la tematica transgender, e di aver reso in modo divertente ed intelligente lo scontro-incontro tra due culture, quella tradizionalista e quella liberale che pian piano sta prendendo piede anche nei paesi mussulmani. La nascita dell’amicizia tra due donne agli antipodi, una, tradizionalista, che fa la taxista per raccogliere soldi e pagare i debiti del marito, e l’altra una ragazza che si sente uomo e vuole fuggire in occidente per operarsi e per sfuggire alla mafia paterna che vuole obbligarla a sposarsi, è sviluppata insieme all’evoluzione dei due personaggi, la donna macho che riscopre la tenerezza e la donna paurosa e timida che risopre la forza e il coraggio. Spledide testimonianze di umanità in un Paese dominato da integralismi e contraddizioni.

“Five Dances” di Alan Brown – VOTO: 9/10

Il film che ha però ha attirato maggiormente l’attenzione del pubblico, riempiendo sia la platea che la galleria del teatro, è stato il bellissimo “Five Dances” di Alan Brown. Esemplare tipologia di film che parte come opera destinata ad un pubblico selezionato, quello che ama il teatro e la danza, e che invece ottiene un meritatissimo successo presso ogni tipo di pubblico. Merito di bravissimi e giovanissimi interpreti, di una storia semplice ed essenziale, di un accurato montaggio che usa il balletto come premessa e compendio a quanto sta avvenendo nell’animo dei personaggi. I protagonisti sono un ristretto gruppo di ballerini, due donne, due ragazzi e un giovane maestro, che devono preparsi per una esibizione. All’inizio del film ciascuno sta sulle sue, parlano pochissimo, sono molto tesi e scuri in viso. Poi imparano pian piano a conoscersi, a interagire sia nella danza che nella vita, a lavorare con divertimento e col sorriso sulle labbra. Il protagonista principale è Chip, un 18enne abbandonato a se stesso da una famiglia separata e disfunzionale, che scopre l’omosessualità e l’amore nello stesso tempo. Un film assolutamente romantico, abilissimo nel mescolare scenografia e primissimi piani dei protagonisti, tutti con splendidi e sudati corpi destinati a fondersi sia nella danza che nella vita. Una festa per gli occhi e per le orecchie (facili e incantevoli musiche contemporanee), una messinscena che fa vibrare le corde dei sentimenti e del desiderio (la scena dell’amplesso coi corpi nudi dei due ragazzi che si attorcigliano è essa stessa un balletto). Un film che scorre veloce e non annoia mai, leggero e profondo nello stesso tempo, con una trama raccontata dagli sguardi e dai movimenti artistici dei protagonisti. Dove cinema e arte (del balletto) sono inscindibili.

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La prima puntata di BRAIN & SEXY – il salotto più POP della letteratura italiana con La Pina e Diego Passoni di Radio Deejay, che hanno presentato i libri: “Il ragazzo a quattro zampe” di Simone Bizantino e “Goditi il problema” di Sebastiano Mauri, insieme agli autori

21 giugno 2013

Oggi due bellissimi film che hanno alzato di molto il livello qualitativo della manifestazione. Uno era l’atteso e lodatissimo “In the name of…”, l’altro, la vera sorpresa che tutti sperano sempre di trovare in un Festival, “Unconditional” dell’esordiente Bryn Higgins. Iniziamo a parlarvi di quest’ultimo.


I due protagonisti di “Unconditional”

“Unconditional” di Bryn Higgins – VOTO: 9/10

Difficile definire la tipologia di questo film: un thriller psicologico, un viaggio verso la scoperta di se stessi, verso la maturità, una sorprendente storia d’amore, un dramma sociale, quasi classista. Probabilmente tutte queste cose insieme, ma gestite con un’abilità ed una sincronia stupefacenti, da lasciarle tutte sull’ordinato sfondo di una storia che mette al centro l’incontro-scontro di un’umanità solo apparentemente differente, tutta ugualmente sofferente per desideri all’apparenza irragiungibili. Il film inizia offrendoci il quadro poco edificante di una famiglia sottoproletaria dei sobborghi londinesi, composta da una madre disabile accudita dai due figli gemelli 17enni, Kristen (Madeleine Clark) e Owen (Harry McEntire). Il contrasto tra una vita difficile e le loro aspirazioni è subito evidente, così quando si concretizza la possibilità di ottenere un prestito la loro vita sembra illuminarsi. Impossibile quindi non affezionarsi al bel giovanotto, di nome Liam (Christian Cooke), che ha garantito questo prestito. Kristen fa di tutto per essere ammirata, ma Liam sembra più interessato al fratello Owen. Owen è un ragazzo solitario, tutta la sua vita è concentrata sulla sorella e sulla madre, che accompagna ogni giorno al parco. Non ha problemi di identità sessuale, si sente assolutamente normale. Grandissimo il suo stupore quando, vestito da donna, subirà il primo bacio di Liam. Sceneggiatura e regia giocano con sicurezza sulle dinamiche psicologiche e sentimentali di questo ragazzo, assolutamente ingenuo e impreparato, che si trova precipitato dentro una problematica più grande di lui, che sicuramente non aveva mai nemmeno immaginato. Rarissimo trovare nel cinema queer una situazione transgender imposta e non desiderata, quando solitamente è il risultato di anni di pulsioni sofferte e ostacolate. La grande abilità dell’ottima sceneggiatura è quella di lasciarci, praticamente per tutto il film, col fiato sospeso sull’evoluzione interiore ( ed esteriore) dei due protagonisti principali, sempre sull’orlo della tragedia, con un umorismo dark che non scivola mai nel ridicolo o nell’assurdo. Anche perchè scopriamo sempre meglio che al centro della vicenda non c’è tanto la paura della diversità, quanto il bisogno d’amore dei due protagonisti, avviati inconsapevolmente sulla strada sbagliata per realizzarlo. Comprendiamo meglio Liam, motore di tutta la storia, quando assistiamo all’incontro dei due giovani ‘fidanzatini’ coi suoi genitori. Una madre che ha capito tutto, disposta a qualsiasi cosa per aiutarlo, e un padre che invece continua a giudicarlo dall’alto della sua estranea ignoranza. Liam non riesce ad accettare di avere una vita fuori dalla norma, perchè la società (leggi suo padre) non glielo permetterebbe. Ripete continuamente all’amico: “Io non bacio ragazzi, non sono quel tipo di deviati”. Liam è ricco, ha un buon lavoro, una bella casa, una bella auto, ma per essere felice dovrebbe abbandonare tutta questa ‘normalità’. Più semplice adottare il trucco di travestire la persona che ami. Se si fosse innamorato di un vero trans avrebbe risolto, ma solo apparentemente, il suo problema. Avrebbe continuato a vivere una vita divisa tra l’essere e il voler essere (sono gay ma voglio apparire come un etero).
Il problema di Owen è invece differente, ha scoperto di amare un uomo, ma questo non può avvenire a qualsiasi condizione, soprattutto al prezzo di un cambiamento di facciata, il travestimento, che non gli appartiene. L’amore incondizionato può essere una contraddizione nei termini. Un imperdonabile imbroglio.


Una immagine da “In the Name of…”

“In the name of…” di Malgorzata Szumowska – VOTO: 8/10

“In the name of…” è un film che ormai non ha più bisogno di presentazioni, forte del premio Teddy vinto alla Berinale 2013. Racconta la storia d’amore gay che coinvolge un prete e un giovane affidato alla sua comunità di recupero. Storia scandalosa, anche se fuori dal tema della pedofilia (esplicativa la scena in cui il prete confessa la sua omosessualità alla sorella, specificando che non è un pedofilo, “I bambini non mi interessano”), che vuole mostrare quanto male (e morte) possa portare l’omofobia della Chiesa. Il film, diretto da una donna, ha i suoi punti forti nella delicatezza con cui affronta il problema. L’amore tra il prete ed il ragazzo viene mostrato fisicamente solo alla fine del film, come segno di resurrezione e liberazione, assolutamente non estraneo alla fede, tanto che nella scena successiva vediamo che il ragazzo entrerà in seminario. All’inizio del film capiamo che i due uomini si amano quando, soli, giocano a rincorrersi in un campo di granoturco usando grida di animali per localizzarsi. Nel film non lo vediamo ma probabilmente il gioco finisce con il loro incontro fisico, come suggeriscono gli sguardi ormai complici che si scambiano in seguito. Nella comunità dei giovani gestita dal prete, le storie di omosessualità si susseguono, tra segreti, ricatti e violenza, fino al suicidio di un giovane omosessuale costretto a subire lo stupro del più arrogante del gruppo. Un ritratto crudele ma efficace di cosa può produrre l’omofobia sociale e religiosa. Anche se nel film la società esterna al gruppo sembra più comprensiva, o almeno meno omofobocentrica. Il protagonista, un bravissimo Andrzej Chyra, attore molto conosciuto ed apprezzato in Polonia, non è tormentato tanto dalla sua omosessualità, che sa gestire con riservatezza, quanto dalle punizioni a cui la Chiesa lo sottopone con continui trasferimenti, che gli impediscono di coltivare rapporti umani e di affezionarsi al suo lavoro che ama e che produce ovunque ottimi risultati. Alla fine si troverà costretto ad una difficile scelta, con la perdita in ogni caso di tutto quello che ama e in cui crede, fede compresa. Un film denuncia, pieno di poesia e umanità, un atto d’accusa contro chi predica l’amore mentre lo sta distruggendo.

OMAGGIO A MARIO MIELI

Sintesi dell’incontro con proiezioni nella Scatola Magica del Teatro Strehler organizzato da Mix Milano Factory

Questo lungo e articolato tributo a Mario Mieli è iniziato con il contributo di Lia Cigarini, grande amica di Mario, avvocato, intellettuale femminista, esponente storica del circolo Mario Mieli e tra le fondatrici “La libreria delle donne”. Lia Cigarini ha ricordato come Mario Mieli rendesse il suo vivere anche quotidiano, come un atto di un’opera d’arte e di teatro. Ogni momento della sua vita era un fatto politico. In ogni momento Mario sbatteva in faccia ai presenti il fatto che le esperienze nella sessualità potevano essere le più differenti. In questo modo aboliva la separazione tra privato e pubblico. Questo Mario l’aveva anche imparato dal movimento femminista che aveva creato i gruppi di autocoscienza. Mario considerava la sessualità, cosi come la considerano le femministe, come il substrato, la base, del dominio sessista ma anche capitalista… Leggi il seguito a questa pagina. (R. Mariella)

20 giugno 2013

Giornata dedicata alla liberazione del porno nel cinema mainstream. Iniziata con la proiezione dei corti di Travis Mathews, della serie “In their Room”, dove vengono filmati, nell’intimità delle loro stanze, dei giovani gay single alle prese con le normali attività quotidiane, dalla pulizia personale, alle sollecitazioni sessuali di internet, alle speranze di un nuovo incontro, ecc. Peccato che questi corti non avessero i sottotitoli (per risparmiare, ci è stato detto) per cui ci siamo persi alcune battute, ma in compenso abbiamo potuto concentrarci maggiormente su immagini assai accattivanti. Il regista Travis, presentando i corti, ha voluto sottolineare come queste realtà, queste storie di giovani gay che spesso vivono in solitudine, siano assai trascurate dai media, cinema compreso. Filmando questi corti in diverse città (San Francisco, Londra, Berlino, seguiranno altre) il regista vuole anche documentare, in modo autentico e senza censure, la somiglianza degli stili di vita gay. Abbiamo rivisto anche il corto “I Want Your Love”, seguito dal primo lungometraggio del regista con lo stesso titolo, film che, ha detto Travis, è stato l’ispiratore di James Franco per “Interior. Leather Bar”.

“I Want Your Love” non ha una storia vera e propria, tutto si concentra su un giovane gay che si prepara a tornare al paese d’origine perchè non può più mantenersi da vivere a San Francisco. E’ l’occasione per un saluto agli amici ed un riesame dei suoi rapporti. Il film è stato rifiutato anche da molti festival perchè, affermano, contiene scene di sesso ‘gratuite’ cioè slegate da una vicenda precisa. Mentre sono proprio queste scene di sesso, con coiti veri e non simulati, che offrono allo spettatore una nuova e più completa visione dei rapporti amorosi e sessuali, indagati anche negli aspetti più intimi del rapporto. La sessualità, vuole dirci il regista, non è un corollario o un lieto fine scontato delle storie interpersonali. Il sesso ha una parte fondamentale nella nostra vita, non può essere lasciato all’immaginazione dello spettatore. Come ci si tocca, come e quanto si scopa, come si entra in questa sfera intima, come si reagisce alle richieste del partner, come si raggiunge e come si esce da un coito, ecc. sono parte integrante di una relazione, della sua evoluzione o della sua fine. Mostrare questa sessualità non è fare della pornografia, il cui scopo è solo quello di eccitare lo spettatore, ma entrare nel vivo di una storia, catturarne la profondità e complessità. Da questo punto di vista “I Want Your Love” è esemplare, più ancora di “Weekend” di Andrew Haigh. Il film ci permette di conoscere le dinamiche interpersonali di un gruppo di amici gay. Il rapporto tra il protagonista Jesse (Jesse Metzger) e il suo compagno di appartamento Wayne (Wayne Bumb) coi suoi dubbi sul fidanzato Ferrin (Ferrin Solano), le confidenze fatte al vicino di casa Keith (Keith McDonald), un uomo maturo, artista di professione, visto come un mentore od un padre da Jesse (ma col quale fa uno splendido sesso), il dolore a lasciare il suo ex-fidanzato Ben (Ben Jasper), rimasto un punto fermo della sua vita. I personaggi del film hanno tutti lo stesso nome dell’attore, come dire nome vero e sesso vero. Certo, non essendo abituati a vedere al cinema tanti organi genitali in piena azione, c’è il rischio di rimanerne soggiogati alla maniera del porno, ma la loro bellezza visiva (grazie ad un’ottima fotografia) magnetizza più i nostri occhi che altro.

Un discorso un po’ diverso va fatto per il film “Interior. Leather Bar”, codiretto da Travis Mathews e James Franco, che ha chiuso la giornata, visto da una sala affollatissima ed attentissima. Coloro che si aspettavano una storia che ricalcasse “Cruising” saranno rimasti un po’ delusi, in quanto il film assomiglia di più ad un finto-documentario, una specie di dietro le quinte non di “Cruising” ma del suo rifacimento limitato alle scene all’interno di un cruising bar. Qui il problema principale è quello della rappresentazione del sesso gay nel cinema, al di là del fatto che sia vero o simulato. Nel film viene spesso chiesto a James Franco perchè ha voluto affrontare questo problema, e Franco risponde semplicemente che è ora di sdoganare la sessualità gay, che è bella ed interessante, ed aggiunge che teme che la richiesta del matrimonio gay, che pure condivide, possa in qualche modo limitarla o trasformarla, assimilandola a quella etero. Franco ripete che anche il cinema di massa, quello mainstream, deve farla conoscere senza censure, perchè è una ricchezza, fa parte di una cultura che deve esere di tutti e non relegata o nascosta, come fosse qualcosa di sporco o abominevole. E’ molto più sporca la violenza o gli omicidi che vengono mostrati a valanga su tutti gli schermi. Nel film, girato con una piacevole ironia, assistiamo alle titubanze del protagonista Val Lauren, attore etero e sposato, che deve giustificare il suo impegno in questo film, accettato per l’amicizia che lo lega da molti anni a James Franco, sia al suo agente che alla moglie, timorosi di vedere danneggiata la sua carriera se non proprio i suoi istinti sessuali. Tutt’altra la reazione degli attori gay, che dicono di aver aderito al progetto nella speranza di vedere Franco nudo. Le scene di sesso all’interno del locale gay non durano più di dieci minuti in totale, non mancano sessi turgidi in primissimo piano, ma, anche qui, la bellezza visiva di queste composizioni lascia più estasiati che eccitati. Incredibile se pensiamo che il film è stato girato in una giornata e mezzo.

“I Want Your Love” di Travis Mathews – VOTO: 7,5/10
“Interior. Leather Bar” di Travis Mathews e James Franco – VOTO: 8/10

“25 ANNI FELICI INSIEME”

Eytan Fox e Gael Uchovsky ci hanno parlato del loro lavoro nel Workshop “25 anni happy together”, con particolare riferimento al loro ultimo film “Cupcakes”, giudicato da alcuni troppo leggero. Riportiamo dei brevi stralci dal Workshop.

Eytan Fox – Dovrei presentarmi ma penso mi conosciate già, io e Gael Uchovsky lavoriamo insieme e viviamo bene insieme da circa 25 anni. Abbiamo fatto assieme dei film, alcuni distribuiti in Italia, come ‘Camminando sull’acqua‘ e ‘Yossi & Jagger‘. Eravamo qui al MIX nel 2007 con il film ‘The Bubble‘. Siamo molto felici di essere qu. Abbiamo visto ieri ‘Yossi’ il film che abbiamo girato l’anno scorso, e che è il sequel dieci anni dopo, di ‘Yossi & Jagger‘ del 2003. Gael ci spiegherà ora l’oggetto di questo meeting.

Gael Uchovsky – Abbiamo un nuovo film dal titolo ‘Cupcakes‘ (che sono dei dolci decorati simili ai muffin americani), film che sinora è stato proiettato solo in Israele, ed è stato un successo, ma che non è stato ancora presentato ai vari festival in giro per il mondo. Abbiamo deciso con Giampaolo, di mostrarne ora alcuni frammenti. Si tratta di una commedia romantica, un film molto leggero. La trama del film riguarda le storie di cinque donne vicine di casa, che vivono nello stesso palazzo, c’è anche un vicino gay . Una delle ragazze è una blog-writer. La seconda era stata una Miss Israele e ora è un avvocato. La terza è una lesbica musicista, single, alternativa, molto carina, ma che non ha molto successo. La quarta è assistente del Ministro della cultura di Israele e vive con il padre. E l’ultima, Ana, è sposata, ha due bambini e ha una panetteria. Il vicino gay abita di sotto ed è insegnante in un asilo. Ogni anno si ritrovano tutti assieme per vedere in televisione l’EUROVISION Contest Festival, molto popolare in Israele.

Eytan Fox – Quando ho iniziato a lavorare a questo film, i distributori internazionali, in Francia e nel resto del mondo, sono rimasti sorpresi nel vedere che si trattava di una commedia romantica, senza i risvolti politici e seri presenti nei film precedenti. Quindi quando siamo andati alla ricerca di finanziamenti ad esempio presso i canali televisivi come Artè, Channel Plus, in molti ci hanno domandato perché abbiamo fatto un film cosi, qual’ è il messaggio politico e sociale di questo film. Avrei potuto anche replicare semplicemente con una sciocchezza qualsiasi, come il fatto che qualunque cosa è politica. Ho preferito questa volta fare un film più spontaneo, più genuino e personale. Una commedia romantica, nostalgica di quello che era il mondo e Israele qualche tempo fa. Il concorso Eurovision è stato per me una cosa importante, io sono cresciuto con la musica di Eurovision. Eurovision era un evento importante nella comunità gay internazionale, come potevano essere per molti le olimpiadi gay, i Gay Games. Qualche anno fa era anche un evento musicale molto significativo, con canzoni molto belle, con musicisti importanti come gli Abba, Celine Dion, Gigliola Cinquetti. Ora è un po’ una buffonata, un circo.

Gael Uchovsky – ‘Cupcakes‘ abbiamo cercato di mettere assieme degli elementi che sono gay, ma in cui tutti si possano trovare bene e riconoscersi. L’anno scorso è stato proiettato nei vari festival il nostro musical ‘Mary Lou’, basato sulle canzoni di una famosissima pop star israeliana degli anni ’70. Mary Lou parla di un ragazzo alla ricerca di sua madre, che diventa una drag queen. Una storia anche un po’ dark , triste. La cosa importante di Eurovision è che nel 1998 Israele manda al concorso come sua rappresentante Dana International, un transessuale, suscitando grandi polemiche. Dana, molto bella, simpatica e brava, vinse il concorso e questo ebbe un grandissimo eco nel Paese, tanto da ottenere riconoscimenti da parte del Presidente della repubblica e del Parlamento. Il sabato in cui Dana vinse l’Eurofestival molti gay scesero in strada a festeggiare. Lo stesso giorno vinse anche una squadra di calcio israeliana, e cosi gruppi di fans molto diversi tra loro si ritrovarono in strada insieme a festeggiare. Dana diventò cosi in Israele un simbolo delle conquiste nel campo dei diritti dei gay. Nel film Mary Lou il protagonista, va a Tel Aviv alla ricerca della madre e incontra un gruppo di drag queen, che lo spingono a travestirsi ed esibirsi proprio come Dana International nella canzone che ha vinto l’Eurofestival.

Qui sotto il video dell’incontro con lo scrittore Corrado Levi organizzato da L’altro MarteMix.

19 giugno 2013

Una inaugurazione del 27mo Festival Mix milanese un po’ sottotono, così come, quasi dissanguato, si è presentato sul palco il suo storico direttore Giampaolo Marzi. La sala che, per la prima volta in un’inaugurazione non era completamente piena, non deve averlo risollevato, per non dire del plateale rimprovero giuntogli dall’assessore alla cultura di Milano Filippo del Corno (mezz’ora di ritardo alla conferenza stampa con debole giustificazione).

Giampaolo Marzi ha introdotto la serata con “Benvenuti a questa 27-esima edizione del Mix. E’ un fatto miracoloso che siamo qui tutti insieme questa sera… E’ un fatto importante condividere che l’edizione di quest’anno, l’abbiamo realizzata, anziché un gruppo di diciotto persone, in quattro, di cui uno si è ammalato questa mattina, un altro è stato molto male l’altro giorno, per cui siamo in una situazione drammatica…

Filippo del Corno ha iniziato il suo intervento dicendo: “Per me è naturalmente un grandissimo piacere e un grandissimo onore portare i saluti dell’Amministrazione comunale alla 27esima edizione di questo Festival, perché è un Festival che è ormai radicato, come un’esperienza felice di questa città. Si colloca poi in una particolare situazione credo di trasformazione anche del panorama dei festival cinematografici di Milano. La caratteristica specifica di Milano è di avere questi sei festival, che in un certo senso costeggiano l’intera annata, ciascuno con le proprie specificità, ciascuno con la propria indipendenza e autonomia di programmazione . Ma stiamo anche realizzando un importante e fecondo dialogo tra questi sei festival, e ovviamente il MIX è parte determinante di questo dialogo, per lo sviluppo di una sorta di un grande e unico cartellone di festival cinematografico che caratterizza Milano…

Marzi ha concluso con un richiamo all’impegno sociale di tutti: “… Essere qui allo Strehler di Milano con una cosa che riguarda una questione tematica, quando in Italia si discute ancora su di una legge sulle unioni civili… È una cosa straordinaria… Indipendentemente dai bei film che vedrete o dai buoni drink che berrete, è un fatto culturale ma è primariamente un fatto politico, perché siamo qui al centro di Milano a dire a tutti che abbiamo delle cose da raccontare che non sono solo la nostra sessualità, ma che riguardano tutta la nostra complessità, perché siamo tutti uguali ma siamo anche tutti diversi. Buon Mix.”
Leggi gli interventi completi a questa pagina.


Il regista Eytan Fox bacia il direttore Giampaolo Marzi

Non è andata benissimo nemmeno la proiezione del film scelto per l’apertura del Festival, non per colpa della sua qualità, senz’altro buona, ma per un fastidioso disguido tecnico che, se ha involontariamente divertito gli spettatori, ha sicuramente nuociuto per una fruizione lineare del film. E’ successo infatti che verso la fine del film, in uno dei momenti chiave di tutta la vicenda, ai sottotitoli italiani si sono sovrapposti sottotitoli in inglese completamente sfasati, attribuendo ai personaggi sullo schermo frasi che li rendevano ridicoli. Nonostante tutto questo il film ha avuto un lunghissimo e caloroso applauso finale, con evidente soddisfazione del regista Eytan Fox che, dopo la proiezione, ha risposto dal palco ad alcune domande del pubblico.

“YOSSI” di Eytan Fox – VOTO 7/10

Il film “Yossi” vuole mostrarci come stanno le cose dieci anni dopo quanto accaduto nel film “Yossi & Jagger”, esaltante opera d’esordio del regista israeliano Eytan Fox. Se nel primo film potevamo assistere alla nascita di un grande amore gay in un’ambiente, quello militare, ancora omofobo e repressivo, in questo, come ha dichirato dal palco lo stesso regista, il nemico non è più quello esterno ma quello interiore al protagonista. Bellissima l’affermazione di Fox che, rispondendo ad una domanda, ha detto che per poter vincere il nemico esterno bisogna prima combattere e vincere quello interno a noi stessi, come dire che solo quando gli Israeliani avranno risolto i problemi e le contraddizioni interne potranno risolvere anche le guerre esterne.
Yossi appare ancora distrutto, soprattutto nello spirito (lo leggiamo sul suo volto sempre triste), dalla drammatica perdita del compagno dopo una storia d’amore durata due anni. Sono passati dieci anni da quel tragico evento ma per Yossi il tempo sembra essersi fermato, se non regredito. Uscito dall’esercito ha continuato gli studi fino a laurearsi in medicina ed ora è un apprezzato medico d’ospedale. Lavora moltissimo, anche perchè fuori dal lavoro la sua vita è praticamente inesistente. Con nostra grande delusione scopriamo che non si è ancora dichiarato, e che male sopporta le allusioni più o meno velate dei suoi colleghi (assai patetico il tentativo di sedurlo da parte di un’infermiera di lui innamorata).
Una gustosissima scenetta ci mostra un momento della povera vita sessuale di Yossi (abituato a masturbasi davanti al pc), che si reca a casa di un super bonazzo conosciuto in chat. L’incontro, dopo un formale rimprovero a Yossi per avere mostrato su internet una foto di qualche anno prima, si conclude con una fellatio concessa più per pietà che per piacere. Una sottile critica al mondo delle chat gay che vuole evidenziarne l’inadeguatezza. Un suo amico medico, appena divorziato, tenta inutilmente di farlo uscire dal suo isolamento, portandolo in un locale dove gli promette: “non uscirai di qui senza aver goduto di un pompino, anche a costo di essere io a fartelo”, e quando lo costringe ad un rapporto a tre ed inizia a toccarlo, Yossi non regge e scappa via. Bravissimo l’attore Ohnad Koller che per gran parte del film porta scritta sul suo viso tutta la sua sofferenza e solitudine.
L’ultima umiliazione arriva quando Yossi si decide a fare visita ai genitori del suo perduto compagno. L’occasione è offerta dalla madre di Jagger che si reca in ospedale per una visita di controllo. L’incontro sarà una grande delusione, o meglio sarà lo scontro tra due persone ancora distrutte da quella perdita ed incapaci di risolverla.
Dopo un errore, causato dallo stress e dal superlavoro, che poteva costare la vita di un paziente, Yossi viene costretto ad una breve vacanza. Il suo processo di liberazione è però iniziato, consapevole che così la sua vita non può continuare, meglio sarebbe che morisse anche lui, magari per un incidente bellico alle frontiere.
Con l’inizio del suo viaggio verso il Sinai, zona altamente pericolosa, inizia la parte cruciale del film, che lasciamo alla vostra sorpresa, anche perchè ci è sembrata la parte migliore del film, quella che mette a fuoco tutti i problemi di Yossi, la sua solitudine, le sue paure, la sua insicurezza (godibilissima la scena che ci mostra quanto Yossi si vergogni del suo corpo nudo), davanti ad un mondo che sta cambiando, perfino nell’esercito israeliano dove non esistono più problemi a dichiararsi gay (colpisce, oltre al protagonista anche a noi spettatori, il modo di stare insieme di un gruppo di commilitoni tra i quali anche un gay dichiarato). Finale ottimistico e liberatorio per un film gradevole e interessante nonostante qualche discontinuità nello stile e nella sceneggiatura (un po’ frammentata).

[Testo a cura di R. Mariella e G. Mangiarotti. Video a cura di A. Schiavone.]


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