Video della premiazione
Si è chiusa con grande successo di pubblico e di critica il 26° Torino GLBT Film Festival – Da Sodoma a Hollywood diretto da Giovanni Minerba, che quest’anno ha visto un forte incremento di spettatori, pari al 10 per cento rispetto alla scorsa edizione, nonostante una giornata di programmazione in meno.
Il pubblico ha accolto positivamente anche il ritorno al Cinema Massimo, sede storica del Festival, ritrovando un abituale punto d’incontro.
Altro dato rilevante di questa edizione è la tipologia di spettatori: non più solo la comunità GLBT, ma ormai anche un pubblico generalista con una maggiore presenza femminile. Elemento, questo, fondamentale per il Festival che, nella costruzione del palinsesto, ha sempre un occhio di riguardo per tutti quei film che portano all’attenzione della platea tematiche di grande urgenza socio-politica.
E proprio per questo non sorprende che sia la giuria del concorso lungometraggi, sia la giuria del pubblico abbiano premiato Tomboy della francese Céline Sciamma. La pellicola, che in Italia uscirà nelle sale per Teodora Film, racconta con estrema sensibilità l’infanzia e l’identità sessuale di una bambina di 10 anni che gioca a fare il maschio.
La serata di chiusura, con Veruschka madrina della premiazione, vede la partecipazione dei rappresentanti di Ikea e Eataly a testimonianza della condivisione del Festival verso le scelte coraggiose intraprese dalle due aziende.
LE GIURIE E I PREMI
Concorso Lungometraggi
La giuria composta dal regista e sceneggiatore Carmine Amoroso, la giornalista Maria Pia Fusco,
lo scrittore Gianni Farinetti, il regista Mehdi Ben Attia e la regista Pratibha Parmar assegna
all’unanimità i seguenti premi:
Premio Ottavio Mai a Tomboy di Cèline Sciamma (Francia)
Motivazione: “Nella varietà dei film in concorso di questa edizione 2011 del festival Da Sodoma a
Hollywood, la giuria dei lungometraggi ha deciso all’unanimità di assegnare il primo premio al film
Tomboy di Cèline Sciamma per maestria, sensibilità e leggerezza, ma anche per la profondità con
cui viene trattato il tema dell’identità sessuale nel tempo dell’infanzia”.
Menzione Speciale a 80 egunean (80 giorni) di Jon Garaño e Jose Mari Goenaga (Spagna)
Motivazione: “80 egunean di Jon Garano e José Mari Goenaga, un film con indimenticabili
protagoniste, due donne non più giovani che, ritrovandosi, rinnovano la loro amicizia e un amore
finalmente svelato”.
Concorso Documentario
La giuria composta da Henrik Neumann (programmer del Mix Copenhagen LesbianGayBiTrans
Film Festival), Riccardo Amorini (Fandango) e Daniele Segre (regista e docente universitario) ha
così deciso:
Premio Miglio Documentario a We Were Here di David Weissman (USA)
Motivazione: “Per la qualità dell’opera filmica, per i contributi storici e per la capacità di raccontare
e testimoniare in modo adeguato, forte e necessario l’epidemia di AIDS nella comunità gay di San
Francisco all’inizio degli anni ’80”.
Menzione Speciale a XY Anatomy of a Boy di Mette Carla Albrechtsen (Danimarca)
Motivazione: “Per la ricerca del linguaggio della rappresentazione tra finzione e realtà
e l’originale messa in scena della storia che racconta con grande delicatezza un’intimità forte. Un
vivo apprezzamento per l’impegno della Scuola Nazionale di Cinema della Danimarca nel produrre
questo film”.
Concorso Cortometraggi
La giuria, composta da Lene Thomsen Andino (coordinatrice presso il Mix Copenhagen
LesbianGayBiTrans Film Festival e collaboratrice del Danish Film Institute), João Federici (codirettore
del GLBT Festival Mix Brasil de Cinema da Diversidade) e il regista Max Croci ha
assegnato:
Premio Miglior Cortometraggio a Plan Cul di Olivier Nicklaus (Francia)
Motivazione: “Perché è il film che noi vorremmo avere nella nostra collezione privata e che
vorremmo rivedere con i nostri amici. è una commedia brillante con un timing perfetto. E dopo tutto
si tratta di una questione di vita o di morte o meglio di sesso o di morte”.
Menzione Speciale a Eu Não Quero Voltar Sozinho (I don’t want to go back alone) di Daniel
Ribeiro (Brasile)
Motivazione: “La giuria è stata toccata dal cast e in particolar modo dal protagonista. Gli autori del
film ci portano una tradizionale storia d’amore tra adolescenti ma con un originale punto di vista”.
Menzione Speciale a The Colonel’s Outing di Christopher Banks (Nuova Zelanda)
Motivazione: “Il film è divertente e toccante allo stesso tempo. Merita una menzione speciale
perché ci ricorda che non è mai troppo tardi per fare il coming out”.
Premi del Pubblico
Miglior Lungometraggio: Tomboy di Céline Sciamma (Francia)
Miglior Documentario: 365 Without 377 di Adele Tulli (Italia)
Miglior Cortometraggio: Eu Não Quero Voltar Sozinho (I Don’t Want to Go Back Alone) di Daniel
Ribeiro (Brasile)
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Penultimo giorno del 26mo Torino GLBT Film Festival
Veruschka e Stuart Milk i protagonisti della giornata. Tre splendidi film, il tedesco “Harvest”, l’italiano “Il richiamo” a breve sui nostri schermi, e l’interessante doc di Rosa von Praunheim “Rent Boys”
Giornata focalizzata su due miti, quello di Veruschka, ospite del Festival che presenta il bel documentario di Paul Morrissey che ne racconta la vita e l’incontro col militante lgbt Stuart Milk, nipote del famoso Harvey Milk, attualmente impegnato in un tour italiano sui diritti civili promosso dalla rete Equality Italia di Aurelio Mancuso. Ad entrambe le iniziative del Festival gay di Torino, la stampa ha dedicato ampio rilievo (vedi nostra rass. stampa), giusto riconoscimento per una edizione del Festival che ha visto aumentare del 10% gli spettatori, e che ha presentato film di altissima qualità.
Alla presentazione del doc “Stonewall Uprising”, emozionante rievocazione minuto per minuto dell’evento di Stonewall, era presente Stuart Milk che il direttore Giovannii Minerba ha così presentato: “Non lo definisco importante perché sarebbe come sminuire questo personaggio. Sto parlando ovviamente di Milk, Harvey Milk. Qualche settimana fa Andrea Benedino e Aurelio Mancuso mi hanno telefonato a nome di Equality Italia, un’associazione nata da poco per i diritti, e mi hanno detto che avrebbero portato in Italia Stuart Milk, il nipote di Harvey Milk, e che gli sarebbe piaciuto fare qualcosa in collaborazione col Festival. Io gli ho risposto che non c’era neanche bisogno che me lo chiedessero. Una strana combinazione: avevamo già scelto un bellissimo documentario che parla di quello che è successo tanti anni fa, nel lontano 1969, a Stonewall. Ora abbiamo qui con noi Stuart Milk. (applauso) Ho chiesto che la proiezione del documentario fosse abbinata alla sua presenza, che credo sia una testimonianza d’eccezione per raccontarci qualcosa di quello che lui sa forse più di noi e che forse ha anche vissuto.” Sturat Milk ha preso la parola dicendo: “Grazie. (applauso) E’ davvero un onore essere qui con Giovanni, perché non molte persone all’interno del Movimento per i Diritti Civili, del Movimento LGBT e anche del Movimento del Festival del Cinema possono vantare la longevità e lo spirito che Giovanni ha riposto nel Festival del Cinema LGBT di Torino, che è conosciuto a livello mondiale, quindi per favore ringraziamolo per il lavoro che ha fatto e che sta facendo. (applauso) Penso inoltre che ci troviamo davanti a molte personalità importanti, troppe perché io possa menzionarle tutte, e che rientrano nella parte più nuova del Movimento italiano. Penso che nei prossimi vent’anni assisteremo a molti passi avanti verso una sempre maggiore parità di diritti in questa parte del mondo, e molto dobbiamo ad Aurelio e ad Equality Italia. Penso che un nuovo giorno stia piano piano sorgendo sull’Italia per quanto riguarda la parità dei diritti, quindi per favore facciamo un grosso applauso ad Aurelio e alla sua associazione. (applauso) Stonewall è un evento molto importante e ovviamente fa parte della tradizione ideale della mia famiglia, di cui fa parte anche l’assassinio di mio zio. Quindi ho pensato di cogliere l’occasione per dare la mia prospettiva su quanto vedrete nel film. Circa due o tre anni dopo Stonewall, mio zio Harvey Milk si è candidato per occupare una carica pubblica, come gay dichiarato e parlando dell’omosessualità in ogni discorso pubblico che teneva. Mi auspico che anche in Italia la questione dell’omosessualità possa risolversi quanto prima. Vi lascio al film. Buona visione. (applauso)”
INCONTRO CON VERUSCHKA
Martedì 3 maggio alle ore 11,30 al Blah Blah si è svolto l’atteso incontro stampa con Veruschka. L’incontro è stato preceduto da un video tratto da un film pubblicitario FIAT del 1969 ‘La Natura, la pazienza e il sogno nelle immagini della 130′ di Valentino Orsini, in cui il fotografo Franco Rubarteli immagina la macchina Fiat 130 immersa in un mondo di sogno, alle prese con la conturbante bellezza della teutonica modella Veruschka.
Il presidente del festival Giovanni Minerba ha ringraziato Veruschka per la sua presenza e Christos Acrivulus per avere fatto da tramite permettendo quest’incontro. Veruschka parla un ottimo italiano.
Le è stato innanzitutto domandato come è iniziato il suo rapporto con l’Italia. Veruschka ha risposto che per lei l’Italia è veramente come una seconda patria. Un po’ anche perché ha iniziato a lavorare qui, a Firenze, dove Ugo Mulas l’ha vista per strada e le ha chiesto molto gentilmente di poterle fare delle fotografie, portandola poi a Palazzo Strozzi dove c’era in corso una sfilata di alta moda. Le era sembrato di entrare in un sogno, perché allora la sua realtà non le piaceva molto. Da quel momento è arrivato tutti il resto. Ha fatto servizi fotografici con Avedon, ma soprattutto con Franco Rubatelli che le permetteva di esprimersi come voleva, cosa per lei molto importante.
Quindi Christos Acrivulus ha chiesto a Veruschka di parlare del suo incontro Con Michelangelo Antonioni. I due si erano incontrati a Londra , dove lui andò a vederla mentre lei veniva fotografata. Antonioni le fu presentato ma parlò pochissimo. Lei era una grande ammiratrice del regista. Poi quando lei tornò a New York le arrivò l’offerta per lavorare nel successivo film di Antonioni, cosa che lei accettò subito senza neanche badare a quant’era il compenso. I due si videro poi a Londra per parlare del film. In realtà parlò sempre lei, perché lui ere sempre nel suo mondo e diceva qualche parola ogni tanto.
Christos ha poi ricordato come nella moda non siano stati gli stilisti a guidare Veruschka ma dava lei la linea da seguire, cosi come con Antonioni lei aveva dato al regista l’immagine che voleva trasmettere. Infatti, risponde Veruschka, dopo due o tre anni di lavoro come modella, iniziò a trovare quel lavoro molto noioso. Era come andare a vendere l’arte, una insopportabile perdita di tempo, non poteva andare avanti cosi. Lei voleva creare le sue idee anche nella fotografia. Cosi grazie ad alcune persone del mondo della moda che l’hanno lasciata fare, le diedero tutti i vestiti necessari, fece un viaggio fotografico in Africa con Rubatelli, senza parrucchiere ne truccatore ne stilisti. Cosi quella volta sono venute fuori cose bellissime.
Fabio Bo le chiede poi di parlare del suo rapporto con Carmelo Bene. Lui la chiamò per interpretare la sua Salomé. Bene voleva farle mettere delle lenti perché non voleva gli occhi chiar,.ma lei non le sopportava proprio. Poi Carmelo le disse che per poter continuare il film loro due dovevano andare a vivere assieme . Lei aveva già iniziato una relazione e gli rispose che la cosa era impossibile, allora lui le disse che non c’era possibilità di continuare il film. Ed è stato un peccato perché loro due erano comunque amici anche se lui era pazzo.
Le viene quindi chiesto di parlare dei suoi rapporti con Salvador Dalì e di Andy Warhol. Con Dalì Veruschka fece diverse cose insieme. A New York fecero una performance in cui lui le costruì addosso una scultura con la schiuma da barba , poi lavorarono anche in Spagna e lui le fece molti disegni. Il tutto è raccontato nella biografia di Veruschka che sta per uscire ad ottobre alla fiera del libro di Francoforte. Con Warhol invece in realtà non fecero mai niente di importante.
Veruschka ha poi parlato delle sue foto in cui si mimetizzava con l’ambiente e delle foto più recenti in cui lei si trasforma in altri personaggi, tra cui anche in un Presidente degli Stati Uniti afro-americano, era il 1986, molto tempo prima dell’arrivo di Obama. Veruschka ha ricordato di avere sempre cercato di non essere sempre lo stesso personaggio, a differenza di modelle come Naomi, Claudia Shiffer o Kate Moss. Veruschka ha sempre voluto interpretare personaggi diversi e spesso ha giocato a trasformarsi da donna a uomo e viceversa .
Anche oggi Veruschka è molto attiva, ha anche partecipato recentemente al tour di un gruppo musicale elettronico, gli ANBB.
Si è poi parlato del film ‘Veruschka: A life for the camera’ di Paul Morrissey proiettato al festival. Infine Giovanni Minerba ha ricordato come Veruschka abbia accettato con grande entusiasmo l’invito al festival per sostenerlo, soprattutto anche perché le sembra che in Italia siamo in questo momento un po’ indietro rispetto a quella che è la realtà europea. (R. Mariella)
HARVEST di Benjamin Cantu
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Bravissimi i programmatori del Festival a inserire questo splendido film in prima serata, per noi uno dei migliori del festival, nonostante abbia ritmi lenti e una delicata storia intimista. Sono 85 minuti di pura poesia che ci trasportano in una moderna fattoria agricola, tra cura del bestiame, lavorazione della terra e la vita quotidiana della piccola comunità di lavoranti. Tra questi troviamo Marko, giovane apprendista introverso, incerto sulle scelte da fare per il suo futuro, anche se bravissimo sul lavoro ma poco socievole e solitario. Intuiamo subito che qualche problema interiore lo assilla. Nella fattoria arriva anche un altro giovane apprendista, Jacob, anch’esso un tipo solitario, ma fondamentalmente diverso di Marko. Jacob ha le idee chiare su quello che vuole, ha deliberatamente abbandonato un remunerativo lavoro in città come banchiere, per dedicarsi all’agricoltura. Lo vediamo lavorare con passione, girare nei campi e bagnarsi a torso nudo sotto i getti dell’acqua d’irrigazione, e soprattutto lo vediamo seguire con interesse le mosse del riservato Marko. Jacob pensa di avere capito come stanno le cose e quale sia la vera natura di Marko. In un momento in cui finalmente riesce a trovarsi solo con Marko, gli si avvicina lentamente fino a dargli un bacio sulla bocca. Marko rimane fermo per un attimo poi fugge via spaventato. Lo vediamo chiudersi in una stanza e dare pugni violenti alle pareti. Ora è arrivato il momento in cui dovrà decidersi e fare delle scelte… Una regia attenta alle minime cose, ai minimi sguardi, al rumore delle zolle di terra che vengono lavorate, del grano che scivola sui macchinari, della pioggia che bagna la campagna, degli animali che vengono accuditi. I personaggi sono un tutt’uno con la natura, con i macchinari; la piccola comunità dei giovani apprendisti sembra molta unita, cosa che fa risaltare ancora di più l’isolamento dei due protagonisti e il loro dramma interiore. La storia, semplicissima in apparenza è invece una delle più intriganti e profonde che il festival ci abbia regalato, grazie ad una sensibile e lirica regia che riesce a comunicarci emozioni in ogni inquadratura (naturalmente per chi è disposto a recepirle). Il bacio in macchina è uno dei più erotici del cinema gay, anche se vediamo pochissimo.
RENT BOYS di Rosa von Praunheim
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Se non fosse per il messaggio ideologico contenuto nel film, sarebbe difficile attribuirlo a questo grande e rivoluzionario regista. Il documentario è infatti molto tradizionale e d’immediata comprensione. Il film ci racconta le storie di cinque marchette che frequentano i dintorni della stazione di Berlino, con cenni a qualche loro cliente e il filo conduttore rappresentato dai militanti di una associazione di volontari lgbt che cercano di portare aiuto ed assistenza nei luoghi di battuage. Ci viene spiegato come dopo la caduta del muro di Berlino la maggioranza dei prostituti, anche giovanissimi, provenga dai paesi dell’est, siano per lo più etero in cerca di denaro per sostere la propria famiglia, spesso consapevole del loro lavoro. Ci sono anche alcune eccezioni come quella di un ragazzo che, scoperto dal padre a prostituirsi, viene denudato, ricoperto di benzina sul fondo schiena e infiammato in modo da deturpargli per sempre il posteriore. Tre delle cinque marchette raccontate sono Rom che vivono nelle rispettive comunità dove non si parla mai di omosessualità ma dove tutti sanno e accettano che i ragazzi vanno a Berlino per prostituirsi e guadagnare soldi. Uno dei clienti, un personaggio enorme che si definisce ‘mostro’ (in realtà ha un viso dolcissimo) dice chiaramente che in tutta la sua vita ha amato moltissimo ed è stato amato pochissimo, anzi per niente, e solo i prostituti gli hanno regalato dei momenti di felicità, prostituti che definisce come dei guaritori, dei supporti psicologici a persone bisognose, quindi un utile servizio sociale. Naturalmente abbiamo anche problemi di droga, di pedofilia (che però sembra in via d’estinzione), di furti e pestaggi, che con qualche attenzione in più potrebbero essere evitati. Il mondo dei marchettari è assai vario, ci si trova ogni tipo di personaggio, ma resistono solo quelli più carini, dotati e motivati.
Le cinque marchette che si raccontano vengono presentate con molta umanità, i loro problemi sono reali e la loro scelta di prostituirsi è stata per un certo periodo solo una scelta di sopravvivenza.
ELENA UNDONE di Nicole Conn
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Se non lo è già, questo film del 2010 ha tutti i presupposti per diventare un cult lesbico: trama, protagoniste molto belle, un po’ di eros, ma soprattutto tanto amore. Quasi si stenta a credere che sia stato ispirato dall’esperienza personale della regista, Nicole Conn, e della sua compagna, Gwen Baba, passata da “furiosamente etero”, così l’ha definita Margherita Giacobino divertendo la sala, ad avere ben sei figli con una donna.
Peyton (Traci Dinwiddie) è una scrittrice lesbica, attualmente single in seguito alla rottura con l’ex fidanzata, Elena (Necar Zadegan) è la devota moglie di
Barry, un pastore, con il quale ha un figlio, Nash, ed è alla ricerca del secondo bambino. Le due si incontrano nell’ultimo posto dove ci si aspetterebbe di trovarle: all’ufficio adozioni. Basta uno sguardo. Come dice la voce fuori campo dell’amico Tyler, che sta facendo una ricerca sulle anime gemelle, quando l’amore vero arriva, è una coincidenza forse, ma il dono di avere la libertà di scegliere di seguirlo o meno, quello è il vero miracolo.
Peyton si rende subito conto di essere attratta da Elena e questo la spaventa, visto e considerato che lei è etero e sposata con figli. La paura di soffrire è tanta, forse supera l’amore, almeno all’inizio. Dal canto suo Elena ci mette ovviamente un po’ di più a dare il giusto nome ai sentimenti che prova per Peyton, ma una volta riuscita a capire, si lascia andare del tutto, senza paura e senza remore. Gestire questa relazione però non è facile. Peyton infine cede all’amore e non riesce a sopportare l’idea che Elena possa andare a letto con suo marito, così lei le promette di esserle fedele, sebbene sia in partenza per le Hawaii per l’anniversario di matrimonio.
I latini dicevano “amor vincit omnia”, ma questa situazione non sarà decisamente troppo difficile?
“Elena Undone” è il secondo film di Nicole Conn, già presente nella sezione Lesbian Romance del Festival con “Claire of the Moon”, e vanta il bacio più lungo della storia del cinema, ben 3 minuti e mezzo, per la gioia delle spettatrici. Inoltre l’alchimia tra le due protagoniste è molto intensa e il film non manca di scene d’amore dolce e passionale al contempo. Il gioco di equivoci che inevitabilmente si crea fa divertire il pubblico e la bellezza di Traci Dinwiddie e di Necar Zadegan quasi lo strega, soprattutto in certe scene. Quasi non ci si rende conto alla fine che il film sia durato ben 111 minuti. (G. Borghesi)
IL RICHIAMO di Stefano Pasetto
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Ambientato in Argentina, ma con personaggi italiani, questo film parla di due vite che si chiamano e si incrociano, finendo poi per segnarsi per sempre. Lucia, moglie dell’infedele Bruno, è all’ennesimo aborto e in piena depressione quando riceve la chiamata di Lea, una ragazza alquanto stravagante e spaventata dai legami troppo stabili, per delle lezioni di piano. Una coincidenza, o un miracolo, che proprio il giorno in cui Lucia tenta il suicidio, Lea abbia dimenticato a casa sua le chiavi e sia costretta a tornare indietro, salvando così la vita all’insegnante. Le due inevitabilmente si sentono più unite in seguito a questa esperienza, ma ancora non si raccontano nulla delle proprie vite. Eppure quando Lea deve partire per lavoro per la Patagonia, Lucia decide di andare con lei, forse troppo spaventata dall’aver appena scoperto di avere un tumore. Le due donne vivono in una barca abbandonata, che il padre di Lea le ha regalato e che lei vuole rimettere in mare. Probabilmente però Lucia ha bisogno di certezze che Lea non può darle e la loro relazione viene messa a dura prova.
I panorami di questo film sono da mozzare il fiato, il contatto con gli animali marini rilassa lo spettatore e la trama poggia su due tematiche tanto solide quanto delicate, come quella della malattia e quella dell’omosessualità. Ne “Il Richiamo” non manca neanche l’eros, con le scene d’amore tra Lucia e Lea su cui si sofferma la regia.
In uscita nelle sale nei prossimi giorni, questo film si appresta ad avere il successo che merita, viste le premesse. Sperando sempre che il pubblico italiano non si dimostri ancora una volta eccessivamente mainstream. (G. Borghesi)
SECONDO INCONTRO COI REGISTI
Al secondo incontro con i registi Midnight Talks curato da Christos Acrivulos e Alessandro Golinelli erano presenti Javier Fuentes-Leòn regista di ‘Controcorriente‘, Iben Hjejle attrice protagonista di ‘Rosa Morena‘, Ulrike Bohnisch regista di ‘Curuk – The Pink Report‘, Adele Tulli regista di ‘365 without 377‘, Enzo Facente regista di ‘Augusta‘ e Francois Chang regista di ‘Bad Romance‘ .
Golinelli ha introdotto il primo argomento di discussione chiedendo ai presenti di parlare dell’importanza del corpo nei loro film e nei documentari presentati al festival. Essendo il cinema gay e lesbico spesso legato ad un’attrazione fisica, il corpo è un elemento fondamentale per questi tipo di rapporti. ‘Rosa Morena’, che non è un film erotico, mette comunque al centro il corpo, quello degli attori, come quello della bellissima protagonista, ma anche il corpo di una bambina; la storia è quella di un gay danese che va in Brasile per adottare questa bambina e l’attrice Iben Hjejle interpreta la madre. Nel film ‘Controcorriente’ il corpo è presente in maniera preponderante, sia in quanto elemento di attrazione fisica, che con il suo opposto, come fantasma o sogno. Il corpo è anche un elemento fondamentale del film cinese ‘Bad Romance’ in cui ci sono anche numerose scene di sesso. Il corpo, in quanto sua assenza, è protagonista anche del documentario ‘Curuk – The Pink Report’, che parla di alcuni gay turchi che raccontano della loro esperienza rispetto all’esercito: gay rifiutati dall’esercito o che non vogliono fare il servizio militare. ‘365 without 377’ è invece un documentario sull’India, che in qualche modo parla di corpo, perché parla di una legge con cui i poliziotti potevano tormentare il corpo dei gay nel momento in cui li vedevano in un atto di amore. Il documentario ‘Augusta’ parla di Drag Queens, che usano il loro corpo (come strumento di lavoro), se c’è un film che parla di corpo è proprio questo.
Il primo a intervenire è stato il regista di ‘Controcorriente’ . Egli in realtà non si era particolarmente preoccupato della rappresentazione dei corpi dei suoi personaggi. Nel film il ruolo del corpo, come fantasma, è legato alla tragedia del protagonista, che sta nascondendo la sua omosessualità, è sposato e sta per avere un bambino, il cui amante muore e ritorna sotto forma di fantasma, chiedendo una degna sepoltura, un riconoscimento del proprio corpo. La presenza del fantasma rappresenta il conflitto interno di quest’uomo e l’invisibilità dell’essere gay. Una volta che l’amante muore, il suo fantasma ha il duplice ruolo di antagonista e di guida. Il fantasma , chiedendo una cerimonia funebre, chiede al protagonista di dare una dignità a quello che è stato.
In ‘Rosa Morena’ il protagonista ad un certo punto sembra innamorarsi della madre della bambina. Differentemente da quanto è successo in ‘Controcorriente’ nel film ‘Rosa Morena’ il regista ha pensato moltissimo alla tematica del corpo, perché In Brasile il corpo è molto importante, molto più che in Europa. Iben Hjejle e gli altri attori del cast, hanno sentito molto l’esigenza di rapportarsi col corpo in maniera diversa in base al personaggio da rappresentare. Nel film se vede uno scontro di culture e di potere. Questa differenza culturale tra i personaggi, ha fatto si che la differenza nella relazione con i corpi emergesse immediatamente.
In ‘Curuk – The Pink Report’ il corpo c’entra metaforicamente. Nel documentario diversi personaggi non si vogliono far vedere. Quello che manca sono più che altro le facce. Questo per motivi legali. La mancanza del corpo può dire qualche cosa anche riguardo alla personalità e a tutto quanto ci sta dietro. Alla fine delle riprese tutto questo ha funzionato. La regista non avrebbe mai scelto di non rappresentare i volti, ma le circostanze hanno costretto a fare cosi, questo però ha portato anche a concentrarsi su ciò che c’era dietro il corpo, sui gesti , che in qualche modo sono una parte importante del linguaggio.
‘365 without 377’ racconta di personaggi, felici perché qualche cosa è cambiato, che si sentono meno vittime di violenza anche fisica. Il documentario racconta della storica sentenza della Corte di Delhi, che abolisce la legge imposta dal regime inglese centocinquanta anni fa, che penalizzava l’omosessualità. Una legge che profondamente parlava di corpo, perché il testo della legge era proprio: ‘chiunque abbia un incontro carnale con uomini, animali o donne contro l’ordine della natura, sarà punito con l’ergastolo’. Per cui profondamente legata al corpo. Dopo 150 anni e dieci anni di battaglie legali questa legge è stata abolita. Questo rappresenta un momento di legittimazione e grande visibilità della comunità GLBT indiana.
In ‘Augusta’ i protagonisti sono drag queen, personaggi di solito ossessionati dal loro corpo. Nel documentario si vede un confronto generazionale. Mentre nel contesto contemporaneo abbiamo una drag queen che inventa, dal suo nome, alla sua storia, le drag queen storiche, erano più simili ai trasformisti e interpretavano un’attrice o una cantante famosa. Nel documentario si vede il back stage dei camerini, prima dello spettacolo, dove vediamo come cambia non solo il corpo, ma anche la psicologia della persona e ad ogni colpo di trucco cambia anche il modo di interagire con le persone.
‘Bad Romance’ è un film in cui i corpi sono molto coinvolti. Corpi di uomini che fanno sesso. E per questo il film ha problemi di censura in Cina. Se si volesse proiettare questo film in Cina bisognerebbe eliminare tutte le scene di sesso, ma non è questo che il regista vuole, perché sono scene molto importanti. In Cina è possibile parlare di omosessualità solo in maniera molto sfumata. Due uomini non possono dirsi ‘io ti amo’. Quando è uscito Brokeback Mountain, del regista cino-americano Ange Lee, la tv cinese ha dovuto parlare di questo film, ma lo ha descritto come una storia di amicizia tra uomini.
La storia gay in ‘Bad Romance’ ha a che vedere con un personaggio continuamente in fuga dal proprio amante, che si lega in una relazione con un altro uomo, il quale mostra sempre il corpo con molta libertà, mentre lui è quasi sempre vestito, questo perché vuole nascondersi. E quando finalmente i due fanno sesso fra di loro, non è in realtà un sesso felice, sembra che egli debba fare sesso con l’altro per scusarsi, perché se non lo facesse i due si separerebbero. Questa scena è un po’ speciale, perché sembra che il passivo nella posizione sessuale, diriga la scena mentre l’altro non sembra divertirsi; questo non è molto normale, ma rappresenta la vera natura del loro rapporto. Per questo è una scena molto importante. Qualcuno ha detto che è una scena è un po’ troppo lunga, ma dove essere proprio cosi, per enfatizzarne l’importanza.
IMMAGINI DELLA GIORNATA
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Foto di Dario Gazziero
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