Intervista a Roberto Castón, regista di "Ander"

Vincitore del 24mo Festival Mix e di altri 23 premi, è una grande promessa del cinema spagnolo e soprattutto del movimento gay internazionale, che può vantarsi di un grande e coerente autore, che coniuga perfettamente abilità artistiche e impegno militante.

Roberto Castón è il regista del film “Ander” vincitore del 24mo Festival Mix di Milano, un premio che va aggiunto agli altri 23 premi che il film ha ottenuto fino ad oggi. Ricordiamo che il film verrà distribuito nelle sale italiane da Atlantide Entertainment il prossimo novembre.

Castón è nato nel 1973 a La Coruña (Spagna), ha conseguito una laurea in Filologia Spagnola e ha poi frequentato il Centro di studi cinematografici della catalogna (CECC) di Barcellona. La sua passione per il cinema è nata, dice Castón, dopo aver visto i film di Kievlosky e di Peter Greenaway. “Passare dalla filologia al cinema il salto non è stato molto grande: si tratta sempre di raccontare cose passando dall’uso della sola parola, all’uso della parola e delle immagini”

Dal 2004, in seguito all’invito dell’associane gay Hegoak, è direttore (e fondatore) di Zinegoak, Festival di cinema a tematica LGBT di Bilbao che in pochi anni è passato da un pubblico di 3000 a 10.000 spettatori. Castón seleziona i film del festival con molto rigore, lamentando il modo con cui molte pellicole affrontano le problematiche gay: “Molte commedie si basano su stereotipi e sono così politicamente corrette che non servano alla crescita delle persone. Il mio festival presenta un cinema che aiuta a normalizzare la vita di gay, lesbiche e transessuali. Credo che il cinema sia un modo differente di fare politica. I film sono in grado di cambiare la mentalità delle persone, soprattutto dei giovani”.

Roberto Castón ha diretto alcuni cortometraggi come ‘Maricón’ (2005), ‘La pasión según un ateo’ (2004), ‘En el nombre de Dios’ (2001). “Ander” è il suo primo lungometraggio ed è anche il primo film basco a tematica gay. Il film è stato realizzato con un budget di soli 500.000 euro, in gran parte offerti da Berdindu, un servizio del Governo basco in aiuto delle persone lgbt.

Abbiamo incontrato Roberto Castón al Festival Mix di Milano e, approffitando della sua cortesia e disponibilità, e dell’aiuto come interprete di Cosimo Santoro di Atlantide, gli abbiamo fatto alcune domande.

Come sono nati l’idea e il soggetto del film?

Ci sono due modi per rispondere a questa domanda. Il primo modo è questo: Ander si potrebbe definire un film su commissione. Esiste nel governo Basco un Gabinetto che si occupa di assistenza sociale a persone gay e lesbiche cha hanno dei problemi, sono soprattutto giovani che vengono aiutati con avvocati che li difendono legalmente quando necessario. Questo Gabinetto cercava di dare più visibilità al proprio operato attraverso un’iniziativa che poteva essere un film, che doveva essere a tematica LGBT, non importava quale tematica, e che allo stesso tempo, partendo dall’affrontare una tematica gay, mandasse anche un messaggio sociale.
Accade così che nel 2007 mi incaricano di lavorare al progetto Ander che nasce in base alla loro intenzione di voler fare un film seguendo tre tracce fondamentali: la prima era che avesse un messaggio integrante nella società, la seconda che costasse pochi soldi e la terza che fosse girato nei Paesi Baschi, anche se non c’era l’obbligo di utilizzare nel film la lingua basca. Si sono rivolti a me come autore e regista del film perché io ho fatto degli studi di cinema, ho girato dei cortometraggi e, sin dalla sua nascita, sono il direttore del Festival del cinema gaylesbico di Bilbao (Zinegoak).

Quali sono stati i motivi per cui avete accettato questo compito?

Ho accettato questo progetto perché come direttore di un festival lgbt, ero veramente stanco di vedere una serie di film a tematica che si assomigliavano tutti, dove, nella maggior parte dei casi, non si andava al di là dei soliti clichè, dove per esempio tutti i protagonisti sono belli, e decido quindi di fare una cosa diversa da quello che ero abituato a vedere. Un’altra ragione per cui ho accettato di fare un film come Ander è quella che mi interessava ambientare una storia a tematica in un contesto completamente diverso da quelli che siamo abituati a vedere, come appunto un ambiente rurale. Al giorno d’oggi sembra che gli omosessuali, gay lesbiche e transessuali, vivano solamente in grandi città, mentre invece l’omosessualità esiste anche in contesti più piccoli, come nei piccoli paesini. Questa scelta di girare un film in piccolo paese andava incontro anche alla necessità di abbattere i costi di produzione.

Non ritieni che il tema principale del film, cioè l’omosessualità velata e l’omofobia interiorizzata, siano argomenti ormai superati nella comunità gay di oggi?

No, non sono d’accordo, non mi sembrano temi superati. Nonostante la comunità gay si sia evoluta negli ultimi anni e quindi abbia aiutato anche le singole persone a liberarsi, questo non succede ovunque e sistematicamente. Ci sono ancora molti che non riescono ad accettare la propria omosessualità e si sentono in conflitto con se stessi. Non mi riferisco solo a piccole comunità dove questo è senz’altro ancora un problema oggettivo, ma anche a città grandi, come ad esempio Barcellona o Bilbao, dove nonostante ci sia un mondo aperto e totalmente libero per i gay, risultato di un processo di liberazione, ci sono ancora tante persone che individualmente non sono in grado di fare un percorso di autoaccettazione. Questo si nota anche semplicemente andando in chat, dove pur essendo in una città come Barcellona, quasi la metà delle persone che trovi ti dicono che sono sposate, oppure anche frequentando le saune incontri lo stesso tipo di situazione. Sì, la società può aiutare il processo di liberazione in generale, ma a livello individuale abbiamo ancora tante situazioni che non hanno risolto il problema dell’accettazione.

Nel film c’è una scena di sesso gay che sembra quasi un omaggio a Brokeback Mountain, l’avete realmente costruita con questa intenzione?

No, non ho mai pensato a questa cosa, anche se questa domanda mi è già stata fatta. In realtà ho pensato di più ai film di Pasolini, come ‘Teorema’, o ai film di John Ford. Anche per la scena di sesso non sono d’accordo che sia confrontabile con quella del film di Ang Lee. Tra i due film ci sono processi diversi sia di scrittura che di descrizione dei personaggi. In ‘Brokeback Mountain’ c’è una scena di sesso che esplode all’improvviso, dopo pochi minuti dall’inizio del film, mentre in ‘Ander’ c’è un lungo processo di avvicinamento tra i due protagonisti che dura quasi metà film e la scena di sesso arriva dopo che hanno bevuto e riescono così a trovare la forza di superare la barriera che li divideva. ‘Brokeback Mountain’ è un film che mi è piaciuto ma penso che sia totalmente diverso da ‘Ander’.

Un personaggio importante come Reme, la prostituta madre, entra nella storia quasi a metà film. Avete per caso cambiato la sceneggiatura nel corso dei lavori?

No, non abbiamo cambiato la sceneggiatura. Tutto era già deciso così dall’inizio. Il personaggio di Reme, pur essendo secondario, è molto importante e l’ho pensato così perche avevo bisogno, da una parte, che il peruviano Josè avesse vicino un altro outsider come lui che gli desse sostegno, e dall’altra perché la figura di Reme sarebbe servita a risvegliare la coscienza di Ander, aiutandolo ad affrontare la realtà. Reme e Ander sono due personaggi in qualche modo parallelli, nel senso che entrambi sono alla ricerca di un amore che non riescono a trovare e il loro incontro fa sì che si alimentino a vicenda.

Il personaggio dell’immigrato peruviano Josè risulta nel film più emancipato del protagonista spagnolo. Avete voluto dire con questo che l’evoluzione della società occidentale sarà in futuro aiutata maggiormente dai paesi extracomunitari?

No, non abbiamo voluto promuovere una particolare idea che desse preferenza all’emancipazione dei paesi extracomunitari. Questo perché, nonostante Ander e Josè vengano da due mondi totalmente diversi, appartengono comunque entrambi ad un microcosmo rurale, quello del lavoro nei campi, che è uguale in qualsiasi parte del mondo. Anche in questo caso io ho cercato di fare un discorso personale. L’emancipazione di Josè non dipende da nessun’altra cosa se non che Josè ha fatto un diverso percorso personale che l’ha condotto ad accettarsi prima rispetto ad Ander.

Avete avuto problemi, in merito all’argomento del film, con gli attori o con l’ambiente locale dove avete girato il film?

No, non abbiamo avuto nessun problema. Avevo inizialmente pensato che avrebbero potuto esserci. Invece gli attori, che potevano vedere il loro ruolo come troppo forte o estremo per la loro carriera, non hanno mai fatto nessuna obiezione. Lo stesso vale per gli abitanti del posto dove abbiamo girato, che pur sapendo che stavano facendo un film a tematica gay, si sono comportati molto bene nei nostri confronti. Perfino il proprietario della casa che vedete nel film, un signore di 80 anni, è stato molto gentile e disponibile. Forse questo fa anche parte del costume dei baschi, abituati a stare zitti e a non lamentarsi.

Come direttore di un festival gay avrete conosciuto altri registi gay spagnoli. Avete dei contatti continuativi o comunque vi confrontate spesso tra di voi?

No, non c’è nessun contatto fisso tra di noi, ognuno segue la propria strada. Anche perché, a parte poche eccezioni, il cinema gay/queer spagnolo viene pensato soprattutto in chiave commerciale con particolare attenzione al pubblico eterosessuale. Si toccano spesso i toni della commedia, che possono dare visibilità a personaggi gay ma che secondo me non aiutano molto i diritti e il movimento lgbt. Ci sono pellicole che recentemente sono andate bene in Spagna, alcune sono arrivate anche in Italia come ‘Fuori menù’, ‘Reinas’, ecc., hanno portato grande visibilità alle tematiche gay ma non hanno di sicuro aiutato per una crescita personale sulle problematiche lgbt. In alcuni casi abbiamo visto anche delle operazioni pericolose, come nel caso di ‘Fuori menù’, che io credo sia un film che letto in una chiava sbagliata, con particolare riferimento al protagonista gay, può addirittura essere considerato omofobo.

Molti registi gay non vogliono sentir definire i loro film che affrontano tematiche gay, come dei “film gay”, vedi Tom Ford o anche il nostro Ozpetek. Tu cosa pensi in merito?

‘Ander’ è senz’altro, almeno nelle mie intenzioni, una pellicola per tutti, anche se io non esito a definirla una pellicola militante. Non mi interessa il successo commerciale, se avessi avuto questa intenzione avrei dovuto fare ‘Ander’ in un altro modo, avrei scelto una location più accattivante, avrei inserito una colonna sonora che avrebbe esaltato le immagini e le situazioni, avrei lavorato a livello tecnico con mezzi più potenti. La rigorosità e anche la povertà di ‘Ander’ rispettano lo spirito con cui ho pensato e girato il film. Ander è un progetto che non cerca il successo ma cerca la verità, è un documento realistico, che cerca di mostrare la realtà e lo fa con i mezzi onesti di cui dispone. Se poi la verità e l’onestà sposano anche un certo successo a noi va certamente bene.

Ripeto un po’ la domanda precedente chiedendoti se pensi che ci sia ancora bisogno del ‘cinema queer’?

Credo che le etichette lascino un po’ il tempo che trovano. Per esempio il mio film potrebbe essere definito come un ‘film rurale’, un ‘film gay’, un ‘film documentarista’. Ci possono essere tanti modi di definire un film e nessuna di queste definizioni mi dà fastidio, ognuno trova il suo modo di leggere e interpretare i film. Per quanto riguarda il ‘cinema queer’ io fondamentalmente credo che il cinema abbia due funzioni, quella di colpire lo spettatore sia ad un livello emotivo che ad un livello razionale. Quando un film raggiunge questi obiettivi, indipendentemente da tutte le etichette che gli si vogliono dare, vuol dire che il film è riuscito. Comunque sì, penso che ci sia ancora bisogno di tanti film che riescano ad arrivare al pubblico parlando di temi come l’accettazione di se stessi e di tutti i temi legati all’omosessualità.

Il tuo film verrà distribuito nelle sale italiane il prossimo autunno dalla società Atlantide. Ho saputo però verrà distribuito solo in lingua originale perché tu personalmente sei contrario al doppiaggio. Non pensi che così si corre il rischio di perdere gran parte del pubblico italiano abituato solo a film doppiati?

Sono contrario al doppiaggio per motivi di coerenza col discorso che facevo prima. So che in Italia c’è un’ottima scuola di doppiaggio, ma noi vogliamo restare fedeli al nostro progetto originario, per cui crediamo che il film debba rimanere integro. Per me vedere ‘Ander’ parlato in un’altra lingua coi personaggi che hanno altre voci, significa trovarmi davanti ad un’altra cosa che non è più quella originale, trovarmi davanti ad un altro film.

Per terminare volevo sapere se ora stai lavorando a qualche altro progetto.

La prossima settimana vado a Parigi per un progetto selezionato (insieme ad altri 13 progetti su 300 presentati) che ci permette una coproduzione con la Francia. Sarà un film che mantiene le mie caratteristiche e le mie intenzioni anche se sarà un film diverso da ‘Ander’ perché sarà un film corale, con più personaggi, e raccontato con i toni della tragi-commedia, ma sempre sulle tematiche dell’omosessualità.

Abbiamo ringraziato e salutato Roberto Castón con molta gioia, felici di avere incontrato un regista gay che si definisce militante, completamente estraneo alle logiche di mercato, coerente e sicuro di se stesso e delle sue idee. Lunga vita a Roberto Castón.


Roberto Castón al 24mo Festival Mix di Milano

Effettua il login o registrati

Per poter completare l'azione devi essere un utente registrato.