"Sa raison d'être" al MIX di Milano

Un film coraggioso, che in tre ore che scorrono velocissime, riesce a farci rivivere, attraverso le vicende di una “famiglia” allargata, il dramma storico dell’Aids evitando didattica e moralismi. Speriamo di vederlo presto nella nostra tv.

Un lunedì di risultati elettorali ha forse portato via qualche spettatore al festival MIX di Milano che hanno magari preferito sedersi davanti al televisore per ascoltare i vari commenti (su una sinistra disgregata e un PD che coltivando al suo interno elementi come la Binetti, manifesta contraddizioni che disorientano gli elettori, che hanno soprattutto bisogno di chiarezza).
Il direttore del Festival, Giampaolo Marzi, salito sul palco per presentare il film della serata, “Sa raison d’être” di Renaud Bertrand, si è lamentato del poco pubblico presente in sala, ma pensiamo che, definendo il film sul catalogo del Festival “un fumetto epico televisivo”, non avrebbe dovuto aspettarsi di più.

Il film è invece, a nostro giudizio, un’ottima opera di fiction e riflessione che, anche se prodotta per la televisione (si notano insistenti primissimi piani) ha un ampio respiro narrativo, una serie di personaggi ben delineati, e un “pathos” che non ci fa accorgere delle tre ore di proiezione. Certo nulla di paragonibale al capolavoro di Techiné (I testimoni), che affronta tematiche simili, ma resta comunque uno dei migliori film tv che abbiamo visto ultimamente (in Francia è stato trasmesso in due serate, speriamo che anche in Italia qualche tv nazionale riesca a farcelo vedere).

Il principale pregio del film è quello di presentarci un quadro assai completo delle problematiche sociali ed esistenziali che coinvolgono un gruppo di personaggi a partire dagli anni ’80, cioè dal momento in cui emerge e poi esplode il problema dell’Aids.
Abbiamo quindi il dramma individuale, coi rapporti sessuali ed amorosi che si trasformano da momenti di piacere a momenti di sospetto e paura; il dramma famigliare con gli ormai inevitabili coming out e le diverse reazioni dei parenti; il dramma sociale con l’isolamento dei malati e la perdita dei posti di lavoro; il dramma medico assistenziale con gli ospedali che ritardano le necessarie precauzioni sulle trasfusioni; il dramma istituzionale con le autorità politiche che non vogliono spaventare gli elettori con le necessarie campagne informative, ecc. ecc.
Tutti questi problemi vengono presentati, senza mai cadere in uno stile didattico o moraleggiante, seguendo da vicino le vicissitudini di un gruppo di personaggi, che alla fine diventano una specie di famiglia allargata, e che coprono quasi tutte le fasce sociali, immigrati compresi.

Non pensiamo sia facile partire da elementi così eterogenei e da ambiti così differenti (dalla bottega di un ebanista alle stanze di un ministro) riuscendo a presentarci una storia così bene amalgamata, credibile e appassionante.

Il film segue vent’anni della vita di Nicholas, commentati dallo stesso nei passaggi più importanti e significativi (scelta purtroppo quasi obbligata per un prodotto tv). Nicholas è un gay velato fino a quel momento, figlio di una famiglia della media borghesia che deve subito fare i conti con la perdita improvvisa dell’amatissima figlia Isabelle, vittima casuale di un attentato politico, che lascia un figlio di un paio d’anni e un fidanzato, Bruno, operaio in una falegnameria, che avrebbe dovuto diventarne il padre, nonostante la contrarietà dei benestanti genitori.

Una delle chiavi principali del film è rappresentata dal legame che si viene a creare tra Nicholas e Bruno. Nicholas è da sempre innamorato del bellissimo Bruno, cosa che anche la sorella Isabelle sapeva e che per questo aveva lasciato scritto che entrambi avrebbero dovuto prendersi cura di suo figlio nel caso di una sua prematura scomparsa, come purtroppo avviene. Sarà così che Nicholas e Bruno vanno a vivere insieme col bambino, aumentando sempre più il loro legame, ma rispettando le proprie diversità (con qualche fallimentare tentativo di andare oltre). Altri importanti personaggi entrano nella loro “famiglia”, tra i quali il bellissimo ruolo di una infermiera immigrata che sacrificherà marito e figli per potersi dedicare al suo lavoro; un politico in carriera, sposato con due figli, che s’innamora di Nicholas, diventato suo assistente; una giovane artista che s’innamora, ricambiata, di Bruno e che saprà stargli vicino anche nei momenti più difficili della malattia.

Come dicevamo, un convincente affresco storico e sociale degli anni che hanno visto l’emergere dell’Aids, le reazioni della società e degli omosessuali che iniziano ad organizzarsi seriamente per fronteggiare l’epidemia e i pregiudizi sociali, pagando comunque un caro prezzo in giovani e innocenti vite umane, che una mentalità più aperta e meno omofoba avrebbero potuto limitare, fornendo ad esempio un’adeguata ed obiettiva informazione, anche quando non esistevano ancora cure specifiche.

Qui sotto due immagini del film (nell’ultima i due giovani protagonisti Nicholas e Bruno col figlio adottato)

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