TOGAY 2009 - Primi film in concorso

Bellissimi anche i fuori concorso “Nés en 68” della coppia Ducastel-Martineau (un capolavoro) e “Ghosted” della premiata Monika Treut. Intriganti anche il doc quasi porno “This area is Under Quarantine” e “Out in India”. Ancora efficace lo storico “Coming Out” presentato dall’attore Freihof …

Oggi, primo giorno dei film in concorso, siamo rimasti soddisfatti di tutto quello che abbiamo potuto vedere (con addirittura un film da 10), ma tristissimi per avere perso la premiazione della regista Monika Treut, una delle nostre preferite in assoluto (purtroppo abbiamo erroneamente pensato che il suo intervento sarebbe stato alla fine del film, mentre, giustamente, è stato prima dell’inizio del film).
Abbiamo iniziato la giornata con una interessante intervista a Javier Camara, catturato di ritorno da una visita alle e appena prima della sua partenza….

Intimidades de Shakespeare y Victor Hugo

Intrigante e avvincente come un thriller questo curioso documentario sull’infelice vita e morte di Jorge Riosse, un giovane e bel ragazzo gay che si rifugia in una piccola pensione a Città del Messico dove viene compassionevolmente amato da tutti per la sua gentilezza, cultura e misteriosità (scrive, dipinge, nessuno sa dove vada quando esce, non porta mai nessuno in albergo…). La storia viene tutta raccontata da queste persone, in particolare dalla padrona della pensione (che è anche la nonna della regista) che non vogliono credere alle terribili accuse della polizia, che lo ritiene un serial killer, rivelate dopo la morte violenta del giovane Jorge, aggredito e pestato da sconosciuti (o dalla polizia stessa) nella sua stanzetta. Quello che la regista riesce molto bene a comunicarci è proprio l’ambiguità di questo racconto, tra venerazione, paura, sconforto, amore, delusione, incredulità. Nel finale sembra comunque prevalere su tutto un particolare sentimento e giudizio che non possiamo anticipare.

This Area Is Under Quarantine

Quasi un film pornografico, sia nel parlato che nelle scene, questo docu-film del bravo regista tailandese Thunska Pansittivorakul. E meno male che in Tailandia sono proibite le scene di sesso gay al cinema! Abbiamo chiesto al regista perchè abbia scelto di girarlo come un documentario anzichè come un film di fiction, visto che ci racconta una bella storia d’amore e sesso di due giovanissimi che ci illustrano a parole e con esempi dal vero anche tutte le loro storie amorose pregresse, a partire dalle iniziazioni in ambito famigliare. Thunska ha risposto che preferisce il genere documentario, ma non esclude che in futuro possa dedicarsi anche alla fiction. Il film, forse proprio a causa delle restrizioni locali, assume un tono audace e provocatorio dall’inizio alla fine, anzi in un crescendo di morbosità, dalle insistite richieste sui particolari sessuali più intimi da parte dell’intervistatore, sino all’amplesso hard finale. Alla domanda di Cosimo Santoro su come abbia fatto a trovare i due giovanissimi protagonisti, il regista ha detto che uno è un suo amico (non intimo) e l’atro ha risposto ad una sua inserzione su internet. I due protagonisti, forse proprio perchè principianti (io li avevo ritenuti due marchette professioniste), danno al film una patente di realismo e spontaneità che rende il tutto molto accattivante ed … eccitante.

Coming Out

Il Direttore Minerba presenta in una sala stracolma, Matthias Freihof, splendido (e lo è anche adesso) protagonista di Coming Out.
Questo è stato un film importantissimo nel 1989, in quanto primo e unico film prodotto in Germania Est a tematica omosessuale, ed è un film molto importante anche oggi come testimonianza storica di come viveva la comunià omosessuale in Germania Est poco prima della caduta del muro. Anzi ora la patina del tempo, senza nulla togliere alla sua sorprendente bellezza estetica ed alla sua poesia, ne ha accresciuto il fascino, ponendolo meritatamente tra le pietre miliari del nostro cinema.
Questa proiezione del film rientra nella collaborazione con la Biennale della democrazia e con il Goethe Institute.
Matthias era già presente venti anni fa a Torino al cinema Massimo quando questo film è stato presentato per la prima volta in concorso nel 1989, assieme al regista Heiner Carow purtroppo scomparso nel 1997.
Matthias ci ha raccontato la sua esperienza su come era stata la prima di questo film a Berlino, avvenuta lo stesso giorno della caduta del muro: “Per me fu una serata veramente eccitante. Quella sera avevamo fatto le prove della prima per tutto il giorno, poi io ero andato ad un concerto al Palazzo della Repubblica a Berlino Est (davano il Messia di Handel), poi un autista mi ha portato nel cinema dove veniva proiettato il film. Dopo un’ora c’era stata la seconda proiezione sino all’una e noi non sapevamo niente di quanto stava accadendo. Quando poi siamo usciti tutti stavano festeggiando con cola-cola e birra e c’era anche gente che veniva da Berlino Ovest. Solo allora ci samo resi conto di cosa era successo..”
Matthias è tuttora un attore di successo ed ha appena recitato una parte nell’ultimo film con Tom Cruise. (R.M.)

Ghosted

Ormai Monika Treut è una vera professionista del cinema. Questo film è piacevole, interessante, poetico, misterioso, insomma ha tutto quello che serve per essere apprezzato sia dal vasto pubblico che da quello più esigente. La regista Monika Treut, premiata da questa edizione del Festival, presenta un film che oscilla tra la fantascienza e la drammaticità, l’esotismo della cultura orientale e la durezza dei paesaggi tedeschi.
Sophie Schmidtt, un’artista di Amburgo, dedica all’amante scomparsa Ai-Ling una video installazione in mostra a Tai-Pei. Durante la serata di apertura conosce la sedicente giornalista Mei-Li, che inspiegabilmente decide di indagare sulle misteriose circostanze della morte di Ai-Ling.
Il film parte a Taiwan per poi trasferirsi ad Amburgo ed infine ritornare in Oriente. Attraverso un mix di flashback ci viene raccontata la storia di Sophie (Inga Busch) ed Ai-Ling (la bellissima Yi-Ching Lu), tra rose, fiori e bugie.
Durante la realizzazione del film che Sophie ha in mente di fare, “Ghosted” prende quell’alone di mistero che il titolo suggerisce e diventa piano piano una storia di fantasmi. Diventa sempre più difficile distinguere il presente dal passato, la realtà dal sogno e il personaggio che incarna questo conflitto è Mei-Li (Ting Ting Hu).
La misteriosa giornalista tenta prima di sedurre Sophie, presentandosi infine a casa sua in Germania determinata a scoprire, non si sa perchè, la verità.
Intanto si avvicina il mese dei fantasmi a Taiwan e Sophie, esasperata dall’ambiguo comportamento di Mei-Li, si mette in contatto con la madre di Ai-Ling, la quale la invita al memoriale per sua figlia.
Sarà perchè i tratti orientali ben si prestano per questo genere di film semi-horror, sarà perchè, proprio come per la video installazione di Sophie, c’è un’accurata attenzione ai dettagli, come se fosse una sorta di “visual poetry”, ma Monika Treut riesce davvero a portarci tutti intorno ad un falò per raccontarci storie di fantasmi. Si insinuano dubbi e domande, alcune delle quali restano senza una sicura risposta. Belli i particolari, belli i paesaggi, naturali e ambigue quanto basta le interpretazioni e buono il cast, quasi esclusivamente al femminile. (G.B.)

“El patio de mi carcel”

Lungometraggio in concorso di Belén Macias. Isabel (la stupenda Verònica Echegui) si ritrova di nuovo in carcere dopo aver commesso l’ennesima rapina. Accolta calorosamente dalle compagne, sembra quasi che si trovi più a suo agio in prigione che nel mondo reale, forse perchè “è difficile vivere in libertà quando non ci si sente liberi”.
Il microcosmo della prigione presenta due aspetti: lo spirito di gruppo, di camerata delle internate e l’eccessiva rigidità e rigorosità delle guardie carcerarie. Ad aprire uno spiraglio ci pensano le almodòvariane Adela (Blanca Portillo, già vista in “Volver”), la direttrice, e Mar (Candela Pena, già vista in “Todo Sobre Mi Madre”), una guardia. Quest’ultima infatti, appassionata di teatro, decide di approfittare della recita che le donne fanno ogni anno per allestire una vera e propria compagnia teatrale. Nonostante la trama sia relativamente poco approfondita, il film ha comunque molti meriti, come le intense interpretazioni tipiche del cinema spagnolo (e filo-almodòvariano), l’audacia nel denunciare il comportamento delle guardie carcerarie e soprattutto la nuova luce con cui osserva il mondo delle detenute, non più donne sofferenti e senza stimoli, private della loro stessa identità, ma persone ancora capaci di avere fiducia in se stesse e nel prossimo, di stringere stretti rapporti di amicizia, di amare e di amarsi, di vivere… Talvolta il mondo reale fa paura, fa sentire piccoli, si può comunque rifugiare rifugio, anche in un carcere, o meglio nel giardino di un carcere. Oppure è la prigione stessa che diventa metaforicamente il giardino di un carcere più grande, del proprio carcere, della propria vita, con le sue restrizioni e i suoi dolori. (G.B.)

Nés en 68

Finalmente siamo riusciti a vedere questo film girato dalla coppia Olivier Ducastel e Jacques Martineau (Il viaggio di Felix, Croustacé et coquillages) che sta facendo discutere da più di un anno la stampa e il pubblico francesi, che hanno potuto vederlo in televisione. Il film che abbiamo visto al festival dura tre ore ed è la versione (ridotta di quasi un’ora) per il grande schermo. Tre ore che volano via senza che ce ne accorgiamo, tre ore di grande cinema che sono un affresco di quarant’anni di storia francese (ma anche italiana, americana, ecc.) vista attraverso l’appassionante vicenda di una comune e dei suoi membri (soprattutto di Catherine/Laetitia Casta), nata nel ’68 e sopravvissuta fino ai nostri giorni. Il soggetto dovrebbe essere un po’ anche quello dell’ultimo film di Ang Lee che vedremo presto a Cannes. I registi prima dell’inizio del film hanno voluto avvisarci che il primo personaggio gay appare dopo più di un’ora ma che poi avremmo avuto modo di rifarci ampiamente di questa assenza. Tutto verissimo, ma noi non ci siamo accorti di questo ritardo perchè il film è talmente coinvolgente sin dalla prima inquadratura, ricco di personaggi e situazioni stuzzzicanti (leggi triangoli, amore di gruppo, ecc.) trattati senza reticenze o pudicizie, capace di farci entrare nell’intimo di ogni personaggio e delle problematiche sia individuali che sociali e politiche, che non ci lascia certo il tempo di pensare a cos’altro potremmo desiderare di vedere.
Detto tutto il meglio che siamo obbligati a dire di questo capolavoro che non riusciamo a spiegarci come possa passare inosservato dalla nostra distribuzione di sala o di tv, vogliamo brevemente accennare allo stato d’animo col quale siamo usciti dalla proiezione. In poche parole dobbiamo dire che ci siamo sentiti amaramente condannati per una scelta di vita che abbiamo sempre amato ed invidiato a tanti che, come i protagonisti del film. Una scelta di idealismo, coerenza e coraggioso rifiuto del compromesso, delle ipocrite limitazioni moralistiche, del suicidio dei sentimenti e della libertà di seguirli in ogni direzione, in una parola di realizzare se stessi. Nel film sembra che tutto questo sia condannato all’insuccesso e alla sconfitta (la protagonista, l’unica coerente sino alla fine al prezzo di innumerevoli delusioni e sofferenze, non sarà nemmeno capace di affrontare la morte). L’unica positività in questa storia di quasi mezzo secolo sembra essere la vittoria ottenuta sull’Aids. E forse anche la liberazione omosessuale che viviamo attraverso due struggenti e appassionanti storie d’amore della nuova generazione.

Out in India: A Family’s Journey

Peter e David sono due padri omosessuali impegnati nella lotta contro l’AIDS a Los Angeles. A mobilitarsi è soprattutto David Gere, che porta avanti un suo progetto secondo il quale l’arte possa essere in grado di fermare un giorno la malattia. Dunque quando si apre la possibilità di andare in India, attualmente uno dei luoghi critici di contagio, non se la lascia sfuggire.
L’entusiasta David, la scettica principessina (come lui stesso si definisce) Peter e i loro due figli Christian e Isadora partono così per questo splendido Paese, dove si fermeranno per 9 mesi.
Tom Keegan, a sua volta padre gay e con un fratello che ha affrontato la malattia, è invisibile nel girare il documentario, che è diviso in capitoli, uno per mese proprio come se girare il documentario sia stato a sua volta un viaggio. Ogni capitolo affronta un particolare aspetto della questione, dall’importanza del progetto alle reazioni della gente a questa nuova famiglia, dal lavoro degli artisti alle difficoltà che la famiglia deve affrontare.
L’impegno di David culmina in un convegno di artisti a Calcutta, a cui partecipa anche il fratello Richard Gere, da sempre impegnato sul fronte della prevenzione, che esprime tutto il suo orgoglio per David e per la sua famiglia.
Sono stati stanziati dei fondi per questo documentario, che Keegan si è letteralmente visto piovere dal cielo. Il regista ha messo in luce l’importante ruolo che spetta a ciascun artista, incoraggiandoli a continuare il proprio lavoro per sensibilizzare le masse.
Un film con i limiti di regia del documentario, ma il cui argomento è molto attuale. La lotta contro l’AIDS-HIV è appena iniziata. Purtroppo invece la disinformazione e i pregiudizi relativi al virus e a come si contrae sono già ben sedimentati. (G.B.)

Light Gradient

Primo lungometraggio in concorso che è piaciuto a tutti fino a 10 minuti prima della fine. Peccato perchè il film è girato molto bene, ha due protagonisti (due ragazzi innamoratissimi, spesso svestiti e sempre disponibili alle coccole), che ci ammaliano, un paesaggio incantevole e una storia curiosa ma semplice e delicata, che purtroppo cambia completamente di tono nel finale. Il film è tutto imperniato su una gita in campagna in bicicletta di due giovani che si amano da un paio di mesi, intenti a sbaciucchiarsi e a distrarsi ad ogni occasione, che superano molto bene le prime avversità (non possono montare la tenda perchè hanno dimenticato i picchetti, perdono le biciclette, ecc.), fino all’arrivo ad un casolare abitato da una donna sola col figlio adolescente. Qui non tutto andrà nel verso giusto: un amore appena iniziato è fortissimo col partner ma debolissimo di fronte alle minacce esterne, e qui abbiamo un bell’adolescente che sembra molto interessato all’omosessualità, una donna che sente la mancanza del partner, ecc.

Video della presentazione di Ferzan Ozpetek del film “Leoni al sole” con Franca valeri
Video del Q&A del regista Thunska Pansittivorakul per il film “This Area Is Under Quarantine”

 

Alcune immagini dal Festival
Olivier Ducastel
Santoro, Martineau, …, Ducastel
Matthias Freihof – G. Minerba
Thunska Pansittivorakul – Cosimo Santoro
Thunska Pansittivorakul
Cosimo Santoro

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