sanremo e i gay

Segnali di cambiamento nel festival della canzone italiana. Una canzone e una gestione del festival che hanno cavalcato l’interesse alla tematica omosessuale, usandola addirittura come traino. Ma c’è ancora molto da fare.

Cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno anzichè mezzo vuoto, diciamo subito che Sanremo 2009, con Povia che arriva secondo con una canzone sui gay (per ora limitiamoci a dire questo), ha confermato il giro di boa di Sanremo 2008 che aveva visto arrivare al secondo posto la canzone “Il mio amico” di Anna Tatangelo che raccontava di un amico gay («Dimmi che male c’è, se ami un altro come te, l’amore non ha sesso, il brivido è lo stesso o forse un po’ di più»). La canzone della Tatangelo ha poi avuto un grande successo di vendite restando nella top ten per ben 11 settimane. E’ probabile che anche la canzone di Povia, “Luca era gay“, abbia un buon successo di vendite (è fin troppo orecchiabile).

Questo significa che oggi parlare di gay in tv o in musica richiama l’attenzione e l’interesse del pubblico. Il conduttore di Sanremo 2009, Paolo Bonolis, deve averlo capito subito se già due mesi prima del festival, accettando in gara la canzone di Povia, ha potuto far conto delle polemiche che avrebbe suscitato e della conseguente pubblicità che poteva ricavarne. Come infatti è avvenuto.

Diciamo e ripetiamo che questo ci appare, al di là della buona o cattiva fede dei protagonisti, un grande cambiamento di costume e di gestione del mezzo televisivo.

Ricordiamo che solo nel 2003, il conduttore del festival di Sanremo Pippo Baudo vietò la partecipazione della transessuale Cristina Bugatti al dopofestival guidato da Sgarbi dicendo che “è un travestito e, con tutto il rispetto per la gente che si vuol vestire stravagante, il festival non ha bisogno di travestiti“. Sgarbi rispose che era “l’espressione di una sconcertante discriminazione nei confronti dei transessuali e in generale di chi ha un diverso orientamento sessuale, che in nessuna misura incide sulla loro natura o sulla qualità interiore del loro essere persona“. Sgarbi fu costretto ad abbandonare il dopofestival.

Nel 2000 la direzione del festival di Sanremo aveva bocciato l’idea di portare sul palco dell’Ariston Platinette con Amanda Lear, che avrebbero dovuto concorrere con il brano scritto da Barbara Alberti “La natura delle donne“.

Nel 1996 (riportiamo quanto scritto sul libro “Queer tv” di Andrea Jelardi e Giordano Bassetti) suscita clamore al festiva di Sanremo il ritorno di Umberto Bindi e soprattutto il brano Sulla porta interpretato da Federico Salvatore; la canzone del cantautore napoletano narra la triste e dura dichiarazione di un giovane gay alla madre avvenuta poco prima di andarsene da casa con l’amato, ma le parole dell’esplicito testo sono un pugno nello stomaco per la bigotta tv italiana: «Mamma son qui con le valigie sulla porta/ E in macchina c’è un uomo che mi sta ad aspettare/ La verità lo so ti lascerà sconvolta/ Quell’uomo è il mio primo vero amore/ Con lui mi sento libero e felice/ Vivremo insieme abbiamo già una casa. …Ma un maledetto pomeriggio dell’adolescenza/ Studiavo insieme a un ragazzo e per la timidezza/ Sentivo dentro un misto di piacere e sofferenza/ E mi scappò sulla sua gamba una carezza… Sono un diverso mamma, un omosessuale/ E questo tu lo prendi come un tradimento».
Di Federico Salvatore, simpatico cantante e cabarettista, la televisione aveva fino ad allora tollerato tutto, dal proverbiale «azz!», imprecazione-tormentone delle sue canzoni, fino al puro turpiloquio strafottente dei suoi divertenti brani eseguiti al Maurizio Costanzo show e in altri spettacoli televisivi. Ma sul palco dell’Ariston la sua schiettezza, stavolta seria e misurata, finisce per essere improponibile e fuori luogo perché tocca un tema troppo scomodo.
Al festival nazionalpopolare per eccellenza, dove pure nel 1994 si sono esibiti tra le polemiche gli stranieri Elton John e Ru Paul [entrambi già gay dichiarati], non si può infatti proporre un brano tutto italiano che ha per tema l’omosessualità e pertanto a Salvatore, pur autorizzato ad esibirsi, viene imposto di eliminare dal testo la frase «sono un omosessuale», sostituendola con «non volermi male».
Dopo l’increscioso episodio Federico Salvatore scompare improvvisamente dal piccolo schermo, ma nonostante ciò continua a difendere la propria coraggiosa scelta sostenendo: …«al Festival del 1996 alcuni addetti alla carta stampata e alcuni gestori del potere televisivo, non mi hanno perdonato quel primo tentativo di “mutamento “. Con il brano “Sulla porta” fu affrontata, per la prima volta a Sanremo, la tematica dell’omosessualità….».

Torniamo alla 59ma edizione del festival sanremese appena conclusosi. Ora non solo si può dire omosessuale nei testi delle canzoni, ma tutta la conduzione del duo Bonolis-Laurenti è stata all’insegna dell’omosessualità, a iniziare dallo strepitoso intervento dell’ospite Roberto Benigni che dice a chiare lettere, tra l’altro, che “gli omosessuali non sono fuori dal piano di Dio. Di peccati c’è solo la stupidità” e termina leggendo la struggente lettera d’amore di Oscar Wilde al suo amato. Mai vista sulla nostra televisione una così strenua difesa dell’amore omosessuale.

Altra novità è stata la partecipazione ogni sera di famosi modelli (Paul Sculfor, Nir Lavi, Thyago Alves, Ivan Olita, David Gandy, famoso per la sua pubblicità di Dolce & Gabbana) che onoravano la bellezza maschile e venivano utilizzati dal conduttore Bonolis per scenette omoerotiche con Laurenti.
Quasi sempre con sottotesto gay gli intermezzi con Bonolis e Laurenti, dove qualche volta si è caduti nella solita volgarotta parodia antigay come quando Bonolis bacia sulla bocca Laurenti e poi si ritira schifato (ma si corregge subito richiamando Laurenti e allontanandosi insieme, abbracciati e saltellanti).

Nella serata finale la Gialappa’s Band, che conduceva il programma di accompagnamento del festival su Rai Uno, ha contattato quasi tutti i cantanti invitandoli a mostrare sul palco il triangolo rosa, fornito da loro, a sostegno della comunità LGBT. Solo Pupo/Paolo Belli lo ha mostrato appiccicato e ben visibile sul manico del microfono durante l’esibizione, gli Afterhours e la simpatica Arisa si sono mostrati col triangolo rosa mentre ritiravano i premi.

Veniamo ora alla canzone di Povia e al suo atteggiamento. Anche se in cattiva fede (ma non possiamo saperlo) ha dimostrato di prendersi terribilmente sul serio (forse troppo, e deve averlo capito anche lui se ha mostrato un cartello con la scritta “Ci prendiamo troppo sul serio“), nonostante sia caduto spesso in contraddizioni negli uiltimi mesi. Ha iniziato infatti dicendo che la canzone era autobiografica (“i miei si separarono quando ero piccolo. Rimasi solo in un ambiente tutto femminile, giocavo con le bambole. Sbaglia chi crede che gay si nasce“), poi negli ultimi giorni si è corretto dicendo che la canzone nasceva da un colloquio occasionale (!?) avuto in treno con un passeggero che gli aveva raccontato la sua storia (?!). Deve esserne rimasto colpito come Paolo sulla via di Damasco se questa confessione sembra poi essere diventata il suo vessillo.
Ogni sua esibizione sul palco di Sanremo assomigliava più a un comizio, con tanto di cartelli e illustrazioni viventi (il bacio degli sposi), che ad una performance canora.

Complessivamente, a partire dalla denuncia di minacce di morte che Povia avrebbe ricevuto già il 4 gennaio 2009 (“Ricevo minacce di morte e lettere minatorie, ma non rinuncio a Sanremo e non cedo alle intimidazioni”), tutta la faccenda sembra più un’operazione di marketing studiata a tavolino nei minimi dettagli per ottenere di impressionare il pubblico casalingo, che una semplice e sincera espressione artistica.

La canzone stessa, con un ritornello semplice ma incisivo, ed una larga parte dialogata (Luca dice…), sembra preoccuparsi più di mandare un messaggio comprensibile a tutti che di interpretare poeticamente una storia o uno stato d’animo.

Credo che sia comunque sbagliato accusare Povia e la canzone di omofobia. Casomai, sia la canzone che la storia che racconta, possono essere visti come il frutto e la conseguenza di una generale omofobia secolare, frutto soprattutto di ignoranza, di non conoscenza.

La storia di Luca può essere addirittura vista come la storia della maggioranza degli omosessuali fino a qualche decennio fa: un giovane si scopriva omosessuale, cioè attratto da un’altro uomo; trovava spesso scritto che la colpa di questo era di mamme soffocanti e padri assenti; tentava una storia con qualcuno che però finiva spesso male perchè, clandestina, diventava più uno sfogo sessuale che sentimentale; se confessavi il tuo “peccato” in chiesa ti veniva consigliato di trovarti una ragazza e di dimenticare certi istinti “cattivi”; vedevi che tutti i tuoi amici si sposavano, così la prima ragazza (spesso come dice Luca, l’unica) che si innamorava di te, ti commuoveva al punto da proporle subito un matrimonio (quando si è giovani l’abbondanza di testosterone fa funzionare la “macchinetta” anche solo con l’immaginazione); se la poverina, ignara di tutto, cadeva nella trappola, il gioco era fatto e la società accontentata; poco tempo dopo iniziavi a frequentare segretamente i luoghi d’incontri gay mentre tua moglie a casa si ritrovava ogni giorno più infelice.
Nella canzone di Povia ritroviamo tutto questo tranne l’ultimo, inconfessabile, capitolo.
Per appesantire il dramma Povia inserisce anche un momento di pedofilia (altra supposta causa dell’omosessualità) che noi abbiamo volutamente trascurato perchè pensiamo fortunatamente assai rara.

Il fatto che una canzone come questa arrivi seconda, grazie al televoto casalingo, nella manifestazione canora più seguita nel nostro Paese, significa solo che ancora tanta gente, magari anche tanti gay, si riconoscono o credono di riconoscersi nella storia che la canzone racconta.

Questa è la cosa scandalosa.

La canzone di Povia è stata solo una cartina di tornasole che ci fa capire quanto dobbiamo ancora lavorare per creare nella società uno spazio vivibile e rassicurante per tutti coloro che sanno di non poter cambiare la loro vita affettiva.

Questo spazio non possiamo crearlo utilizzando la censura o impedendo a chichessia di raccontarci il suo punto di vista. L’unica cosa che dobbiamo fare è che anche ognuno di noi racconti il suo punto di vista, la sua storia, diventando visibile in famiglia, con gli amici, sul lavoro, ecc.. proprio come insegnava Harvey Milk.

Riportiamo il testo della canzone di Povia (sperando di non ledere nessun diritto d’autore)

Luca era Gay

Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo.

Luca dice: prima di raccontare il mio cambiamento sessuale volevo chiarire che
se credo in Dio non mi riconosco nel pensiero dell’uomo che su questo argomento è diviso.
Non sono andato da psicologi psichiatri preti o scienziati,
sono andato nel mio passato, ho scavato e ho capito tante cose di me.
Mia madre mi ha voluto troppo bene un bene diventato ossessione,
piena delle sue convinzioni ed io non respiravo per le sue attenzioni.
Mio padre non prendeva decisioni ed io non ci riuscivo mai a parlare,
stava fuori tutto il giorno per lavoro, io avevo l’impressione che non fosse troppo vero.
Mamma infatti chiese la separazione, avevo 12 anni non capivo bene,
mio padre disse è la giusta soluzione e dopo poco tempo cominciò a bere.
Mamma mi parlava sempre male di papà, mi diceva non sposarti mai per carità.
Delle mie amiche era gelosa, morbosa e la mia identità era sempre più confusa.

Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo.

Luca dice sono un altro uomo ma in quel momento cercavo risposte,
mi vergognavo e le cercavo di nascosto.
C’era chi mi diceva “è naturale” io studiavo Freud non la pensava uguale.
Poi arrivò la maturità ma non sapevo che cos’era la felicità.
Un uomo grande mi fece tremare il cuore ed è li che ho scoperto di essere omosessuale.
Con lui nessuna inibizione, il corteggiamento c’era e io credevo fosse amore,
sì, con lui riuscivo ad essere me stesso poi sembrava una gara a chi faceva meglio il sesso
e mi sentivo un colpevole, prima o poi lo prendono, ma se spariscono le prove poi lo assolvono.
Cercavo negli uomini chi era mio padre, andavo con gli uomini per non tradire mia madre

Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo.

Lica dice per 4 anni sono stato con un uomo tra amore e inganni,
spesso ci tradivamo, io cercavo ancora la mia verità, quell’amore grande per l’eternità.
Poi ad una festa fra tanta gente ho conosciuto lei che non c’entrava niente,
lei mi ascoltava lei mi spogliava lei mi capiva,
ricordo solo che il giorno dopo mi mancava.
Questa è la mia storia, solo la mia storia, nessuna malattia, nessuna guarigione.
Caro papà ti ho perdonato anche se qua non sei più tornato,
mamma ti penso spesso ti voglio bene e a volte ho ancora il tuo riflesso
ma adesso sono padre e sono innamorato dell’unica donna che io abbia mai amato

Luca era gay e adesso sta con lei
Luca parla con il cuore in mano
Luca dice sono un altro uomo.

Qui sotto Povia che presenta uno dei suoi cartelli, rivelatore di una certa rassegnazione, più che di una conversione.

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