PRIME IMPRESSIONI SU "MILK"

Abbiamo finalmente potuto vedere il film “Milk” di Gus Van Sant, in uscita sugli schermi italiani (in 180 copie) il prossimo venerdì 23 gennaio, e condividere totalmente l’entusiasmo della critica e dei gay americani.

Facciamo subito una rassicurazione: chi teme di trovarsi davanti ad un’opera dalla cifra stilistica astratta, elaborata o comunque difficile da seguire, stia tranquillo, dimentichi le ultime avanguardistiche opere di Van Sant, e si prepari ad un coinvolgente e diretto viaggio nella storia del movimento gay americano degli anni ’70.
Stabilito che “Milk” è assolutamente un film per tutti, nel senso che tutti, indipendentemente dalla loro posizione culturale e ideologica, possono facilmente seguirlo e coglierne i diversi messaggi, cerchiamo ora di evidenziarne gli altissimi meriti sia in campo strettamente cinematografico che come messaggio socio-culturale.
Forse il film non è, cinematograficamente parlando, il capolavoro che alcuni si potevano aspettare da un regista del calibro di Van Sant. Nel senso che il film, per una precisa scelta degli autori, non esplora nuove o inusuali tecniche narrative, non cerca particolari suggestioni poetiche, ma si affida totalmente alla cronologica descrizione degli eventi e dei personaggi, con l’unica invenzione poetica di una immaginaria e toccante confessione che il protagonista Milk, mettendo in conto una sua probabile tragica fine, racconta, a futura memoria, davanti ad un registratore. Questi interventi, comunque limitati, sostituiscono efficacemente l’abituale voce fuori campo utilizzata per spiegare o collegare tra loro diversi momenti della vicenda raccontata.

Gus Van Sant e lo sceneggiatore Dustin Lance Black hanno quindi deliberatamento scelto di fare un film “militante” più che un’opera “artistica” fine a se stessa, cioè un film che ci racconta la storia di ieri con l’intento preciso di aiutarci a comprendere meglio quella di oggi.

Van Sant aveva in mente quest’opera da quasi vent’anni ma solo oggi, dopo il successo di Brokeback Mountain, è riuscito a trovare i finanziamenti per realizzarla. Nella conferenza stampa di presentazione del film a Roma ha dichiarato: “Al cinema non ci sono mai eroi gay. Noi ne abbiamo proposto uno, per tutti quei giovani che ancora hanno paura di dichiararsi… Molta gente non riesce a vedere come la discriminazione verso i gay in realtà riguarda tutti”. Lo sceneggiatore Blake ha aggiunto: “Il movimento ha fatto parecchi passi indietro, compreso quello di chiudersi in se stesso e non collegarsi ad altre categorie come pensionati, anziani, neri. Atteggiamento che invece aveva Milk”.

Appare quindi chiara l’urgenza che era alla base della realizzazione di questo film: dobbiamo riflettere sul nostro passato, comprendere come, quando e perché siamo riusciti a vincere (come movimento gay e diritti connessi), per capire meglio cosa fare oggi per andare avanti, per superare errori o difficoltà presenti, per continuare a vincere.

Dobbiamo dire che il film, in questo senso, è perfettamente riuscito. Alla fine della proiezione stampa, in una sala super affollata, dopo più di due ore di proiezione, dove nessuno aveva staccato gli occhi dallo schermo nemmeno per un attimo, c’è stato un esaltante applauso collettivo che sembrava voler continuare lo spirito di lotta e ribellione che il film trasmette con sapiente efficacia.

Se il film ci cattura così intensamente è anche perché, altro suo grande merito, riesce a miscelare perfettamente le vicende pubbliche e quelle private dei protagonisti, facendoli diventari dei personaggi reali e credibili, con pregi e difetti che possono essere di tutti, di ciascuno di noi. Questa è anche una delle principali differenze col film documentario di Rob Epstein del 1984 , primo film gay a vincere un Oscar, dove si faceva solo un breve cenno alla vita sentimentale di Milk e al suo compagno Scott, e non si menziona nessun altro suo amante.

Emblematica è, nel personaggio di Milk presentatoci da Van Sant, la tensione politica che risulta equivalente alla tensione sentimentale. Il suo impegno politico non è difforme dall’impegno che mette nelle relazioni private, nei rapporti col suo compagno, nelle sue storie amorose. I problemi nascono proprio perché Milk non vuole sacrificare il suo impegno politico in favore di quello privato, o viceversa. Nel film le scene di vita casalinga o amorosa col compagno Scott (James franco), i ripetuti baci che si scambiano nella strada od ovunque si trovino, fino agli ultimi accorati incontri da ex compagni, sono struggenti e incisive. Lasciano il segno allo stesso modo dei momenti sociali e politici che riempiono sempre più la vita di Milk, come gli incontri coi nuovi volontari (esilarante il primo contatto e diverbio con Cleve Jones, un frizzante Emile Hirsch tutto mossette), o i dibattiti coi collaboratori delle campagne elettorali (drammatico il momento in cui pretende che un collaboratore ancora velato in famiglia telefoni subito al padre per fare il coming out), o gli incisivi interventi pubblici (che iniziano sempre con un programmatico “voglio assoldarvi tutti”, come se stessero per andare in battaglia).

Sono tantissime le idee e le riflessioni, sia personali che politiche, che gli autori ci trasmettono attraverso le vicende e i dialoghi dei protagonisti. Il bisogno di libertà, sia sociale che sessuale (quest’ultima, mostrata gioisamente e serenamente in diversi momenti del film, gli ha procurato negli Usa il massimo divieto, 17 anni); la lotta contro la solitudine e l’emarginazione (toccanti le telefonate che Milk riceve da aspiranti suicidi); la necessità di essere visibili come omosessuali (“solo se ci conosceranno come impiegati, operai, avvocati, ecc. potranno accettarci anche come gay, senza più avere paura di noi”); la lotta contro le discriminazioni (a proposito della preposition 6 che voleva eliminare i gay dall’insegnamento perché lo utilizzerebbero per fare proselitismo, Milk chiede con ironia se l’omosessualità si possa insegnare come il francese e che, se fosse vera la storia del proselitismo, allora gli USA dovrebbero essere pieni di suore); la necessità di essere uniti come movimento gay ma anche con tutte le altre minoranze per la difesa dei diritti (nel film Milk appoggia le richieste dei camionisti e di altri gruppi emarginati); la necessità che i gay abbiano dei loro rappresentanti nelle istituzioni politiche, sottolineando ripetutamente che questi non devono gestire il potere per la loro gloria personale ma solo per raggiungere gli obiettivi della collettività, anche se questo significa mettere a rischio la propria vita (da brivido il momento in cui appena prima di salire sul palco per un discorso, Milk riceve una lettera anonima che lo minaccia di sparargli se andrà su quel palco).

Dopo queste brevi considerazioni possiamo anche spiegarci la ritrosia dell’establishment cinematografico americano nel candidare Milk ai rituali premi di fine anno, come dimostrato dai recenti Golden Globe che hanno completamente ignorato il film. Sarebbe estremamente significativo se invece le nomination degli Oscar di giovedì prossimo invertissero questa tendenza, riconoscendo i giusti meriti ad un film di altissimo impegno sociale, che coraggiosamente porta in primo piano una storia che molti ancora vorrebbero trascurata o dimenticata.

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Il mio Oscar personale a Harvey Milk

Wow.. Ho ancora i brividi da quando ho visto quante candidature ha Milk… E dire che, dopo i Golden Globe, non ci speravamo quasi più..!

E’ un film veramente stupendo, quando vedo il trailer ripeto sotto voce le battute ma non perché lo so a memoria, è come se mi scorressero dentro. Purtroppo non possiamo vantare tante figure alla Martin Luther King nella nostra comunità, e Harvey Milk dovrebbe essere d’esempio per molti. Ci sono due categorie di persone: quelli che sperano in un cambiamento e quelli che fanno il cambiamento. Nessuno ha torto e nessuno ha ragione, nessuno è coraggioso e nessuno è codardo. Si tratta solo di modi di vivere. Harvey Milk ha fatto la differenza per se stesso, per i suoi amici, per i suoi contemporanei e per tutti i gay e le lesbiche che sono venuti dopo di lui, eppure la sua storia è poco conosciuta, quasi occultata. Io stessa non ne sapevo niente prima. La Sua frase, quella con cui apriva i suoi discorsi, è quanto mai vera: ci ha reclutati davvero tutti. Anzi, ha fatto di più: ha continuato ad esporsi, a lottare senza aver paura di dover scendere a compromessi, pur sapendo di rendersi un bersaglio. Io credo che in un certo senso lui abbia dato la sua stessa vita per noi, ma soprattutto ha dato la sua vita per il suo ideale di libertà e di democrazia, lo stesso che abbracciamo tutti noi quando andiamo a dormire la notte sperando in un domani migliore. Se per qualcuno oggi, il domani di ieri è migliore, lo dobbiamo anche a lui.

L’Oscar è solo un simbolo, che comunque si merita senz’altro Sean Penn per la sua strepitosa interpretazione, Gus Van Sant per la sua audacia e il film in generale per la sua trasparenza e il suo coraggio, e che comunque farebbe tanto piacere allo stesso Harvey Milk e a tutti noi. Ma per quanto mi riguarda Milk ha già ottenuto tutte le sue vittorie, sia da vivo come attivista e deputato sia ora, quando la sua lotta di trent’anni fa, che già si collocava in un contesto molto difficile e intenso agli albori del Movimento LGBT, sembra quanto mai attuale vista l’abrogazione della Proposition 8 proprio in California e vista l’omofobia dilagante in tutto il mondo civilizzato e non. Penso che il politico, il personaggio, la persona Harvey Milk non avrebbe permesso l’abrogazione, il subdolo e codardo ritiro di una legge che una volta tanto ci avrebbe tutelato. In un tempo in cui l’America è riuscita ad eleggere il suo primo presidente afro-americano a dispetto di tutti i suoi pregiudizi (e in cui l’Italia, rappresentata da un deputato della Lega, si dichiara indietro di ben cinquant’anni rispetto ai tanto ammirati States), lo stesso Van Sant sostiene che Milk sarebbe potuto diventare Presidente, spazzando via tanti ostacoli per chi è omosessuale nella vita di tutti i giorni. Aveva ancora così tanto da dare…

Io sono solo una piccola persona, che si commuove sulle note di We Are The Champions dell’indimenticabile Freddy Mercury e che trae forza dal messaggio di speranza ed uguaglianza di Martin Luther King che dice “Se non puoi essere un pino in alta montagna, sii una margherita in collina, ma sii la margherita migliore”. Pino, margherita, pianta grassa o arbusto, il mio Oscar personale viene a ritirarlo Harvey Milk in persona, e insieme al mio, quello di tutte le persone che hanno creduto in lui, quelle migliaia di persone che lui stesso, nel suo ultimo discorso, si augurava di raggiungere e far alzare.

Come dicevo, tutti noi ci auguriamo gli Oscar che il film si merita, ma Harvey ha già vinto e brinda alla salute nostra e di coloro che lo hanno ucciso.

Un grazie a Gus Van Sant e a tutto lo staff tecnico, agli attori che hanno saputo ridar voce al mito, ma soprattutto Grazie Harvey Milk.

Gaia Borghesi

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MILK IERI E OGGI

Milk è tutto ciò che non siamo più.
Milk è tutto ciò che abbiamo perso di vista.
Milk è il tentativo di un regista illuminato di ricordare ad ognuno di noi che la nostra situazione, rispetto a trent’anni fa, non è molto cambiata.
Ieri c’era la proposition 6 oggi c’è la proposition 8.
Ieri c’era Anita Bryant oggi ci sono i vari Nicolosi.
Gus Van Sant (la cui filmografia parla da sola) attraverso un modo raffinato, intelligente, mai banale ci dice che, forse, è il momento di ricominciare a lottare, che dobbiamo ritrovare la speranza, che dobbiamo ritrovare, prima di tutto, noi stessi, rifare gruppo, essere uniti all’interno di un movimento.
Sono le parole più belle di Harvey Milk, primo omosessuale dichiarato ad aver avuto accesso a una importante carica pubblica in America, sono parole che uniscono e danno speranza.
Fratelli e sorelle.
Quando abbiamo smesso di sentirci fratelli e sorelle? Quando abbiamo smesso di vederci come gruppo? Quando abbiamo perso la consapevolezza che senza la forza del gruppo non andremo da nessuna parte?
Eppure la via intrapresa da Milk a troppe persone sembra superata, abbiamo cominciato ad abituarci alle sconfitte, ci siamo dimenticati della nostra storia, abbiamo rinnegato la nostra diversità, ci siamo omologati, appiattiti, il movimento si è politicizzato e noi ci siamo allontanati.
Troppi sacrifici, troppi problemi, troppi compromessi.
Ho provato, vedendo questo incredibile film, un senso di invidia per un periodo storico in cui la “mia” gente, la “nostra” gente non aveva nulla, nessun diritto, nessun appoggio. Un periodo in cui si veniva apertamente discriminati per via del proprio orientamento sessuale, in cui la polizia ci perseguitava, un periodo in cui tutti ci erano contro.
Eppure c’era la voglia di lottare. Di far sentire la propria voce. Di “uscire allo scoperto”. Di avere la consapevolezza del proprio essere.
Gus Van Sant riesce ancora una volta a regalare un film che è molto di più di una semplice opera. È un inno alla libertà, alla speranza, alla voglia di ritrovare le proprie origini.
Gli attori sono tutti incredibilmente bravi (inutile persino dirlo visto che Sean Penn riesce a mettere l’anima in ogni cosa che fa).
Gus Van Sant è un ribelle che lotta nell’unico modo che conosce, fornendoci l’opportunità di ritrovare una coscienza storica e politica raccontando le imprese di un uomo che voleva cambiare le cose.

Marino Buzzi

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Qui sotto nell’ordine dall’alto: Scott Smith e Harvey Milk in una foto del 1977; una manifestazione a San Francisco del maggio 1978 con a sinistra Cleve Jones e a destra Harvey Milk intervistato; Cleve Jones oggi con l’attore Emile Hirsch che lo interpreta nel film

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