OZPETEK: "ESSERE UN'ICONA GAY A TEMPO PIENO E' INSOPPORTABILE"

Un mito in frantumi? Cosa si nasconde dietro le recenti dichiarazione del regista più amato dai gay italiani?

Avremmo voluto esaltare ancora una volta l’unica grande icona gay del cinema italiano, Ferzan Ozpetek, che non ci faceva invidiare la Spagna di Almodovar o la Francia di Ozon e Téchiné o gli USA di Gus Van Sant e Araki, ecc., ma dopo le sue ultime scelte (togliere il personaggio gay dal romanzo della Mazzucco, “Un giorno perfetto”, da cui ha tratto il suo ultimo film, trasformandolo in donna) e soprattutto le interviste che sta rilasciando in questi giorni, siamo, a dir poco, perplessi.

A sentire le sue dichiarazioni, vedi qui sotto l’intervista rilasciata a Piera Detassis e pubblicata sull’ultimo numero di Ciak, Ozpetek sembra stanco di essere gay e speranzoso di riacquistare una verginità etero. “Come si fa a dire che per tutta la vita amerai solo uomini o solo donne? Da un momento all’altro tutto può cambiare…“, come se fosse normale svegliarci una mattina e ritrovarsi etero o gay a seconda dell’umore della giornata (o di aspettative particolari…). Proprio come vanno predicando certi teodem americani o nostrani, che però si affidano almeno a prolungate e miracolose cure.

A proposito del cambio di genere del professore gay del romanzo, che diventa una professoressa nel suo film, Ozpetek dice che “Quel gay era troppo facile, sembrava scritto apposta per me”. Una cosa del genere avrebbe entusiasmato qualsiasi autore, che di conseguenza avrebbe addirittura potuto ampliarne la parte e il ruolo, trovando in esso l’occasione per esprimersi più profondamente e compiutamente. Questo perchè crediamo che ogni opera d’arte riuscita sia l’espressione dell’universo interiore del suo autore. Non un mero calcolo dell’impatto e del gradimento che potrà avere sul pubblico.

Ma Ozpetek sembra condividere proprio quest’ultima impostazione quando dice: “Fare tanti film sull’omosessualia come ho fatto io, ti sfinisce: le persone non vedono più la storia, ti parlano solo di questo.” E’ vero che oggi, proprio perchè nel nostro Paese è raro trovare tematiche gay nel cinema mainstream, la gente rimane colpita più da queste che da tutto il resto dell’opera.
Ma dove stà lo scandalo? Forse che queste tematiche devono continuare a essere ignorate, censurate, perchè così la Chiesa comanda? E non è invece già un ottimo risultato che riescano ad impressionare e restare nella mente degli spettatori? In fondo Ozpetek, dicendo che finora ha fatto “tanti film sull’omosessualità”, può facilmente riconoscere in ciò uno dei motivi del suo grande successo. Quindi perchè sentirsi “sfinito” invece che lusingato e orgoglioso di quanto fatto fino ad oggi?

Un autore, dicevamo sopra, è veramente tale, come dice il nome medesimo, solo quando riesce, con le sue opere, ad esprimere se stesso e la sua ricchezza interiore, qualunque essa sia, purchè autentica. Per questo non comprendiamo perchè tanti autori (registi, scrittori, ecc), hanno così paura di definirsi gay e giudicano la cosa come limitante, come un’etichetta frustrante e fuorviante. Mi ricordano quelle autrici donne che un tempo si firmavano con pseudonimi maschili nella convinzione di ottenere maggiore attenzione e successo. Essere gay non è un’etichetta, ma una realtà (teodem e Ozpetek permettendo), come essere donna, uomo, bambino, vecchio, immigrato, ecc. E’ una manifestazione delle variegate sfaccettature dell’umanità, un tassello che, al pari di tanti altri, contribuisce a comporre il grande e ricco affresco dell’umanità.

“Essere un’icona gay a tempo pieno è insopportabile…” ci dice ancora Ozpetek, e questo è il suo ringraziamento a chi, come noi, ha creduto in lui e nel suo cinema, che rispecchiava tanta parte delle nostre vite e ci ha aiutato a capirci meglio e a farci capire meglio da chiunque. Nessuno meglio di lui aveva finora presentato, nel cinema italiano, problematiche come quelle del coming out (Il bagno turco) o della doppia vita di tanti gay sposati (Le fate ignoranti), o delle nuove famiglie gay (Saturno contro), ecc. ecc.

“… io parlo di sentimenti, che non hanno identità sessuale. E poi non sono un regista dell’estremo.” Noi crediamo invece che i sentimenti abbiano sfumature infinite e appartengano a tutti, gay compresi. Non è vero, ad esempio, che la passione d’amore sia la stessa cosa per chiunque. Ognuno impara ad amare in modo diverso. La famiglia, l’ambiente, la società, il carattere hanno un’influenza decisiva sulle modalità d’espressione dei propri sentimenti. Compito dell’artista è proprio quello di indagare e renderci consapevoli di queste differenze. Oggi un amore gay è qualcosa di completamente diverso da un amore etero. Quest’ultimo è sollecitato, incoraggiato, spesso forzato, dall’ambiente che ci circonda, mentre un amore gay trova mille difficoltà e impedimenti, e quando riesce a concretizzarsi corre continuamente il rischio di umiliazioni e oltraggi. Il suo peso specifico è quindi assai differente.

Per quanto riguarda il fatto di non essere un regista dell’estremo, ci spieghi allora come mai ha scelto di fare un film che tratta di una fissazione amorosa etero che si conclude con una strage in famiglia. Forse che parlare di un gay è ancora più estremo di questo, perchè ricorda finali con roghi e torture?

Dice ancora Ozpetek: “… io racconto la vita delle persone che conosco, non una storia gay.” Ma cos’è questa improvvisa paura delle storie gay? Paura che il botteghino non risponda adeguatamente? Paura che non si aprano abbastanza le porte delle istituzioni? Non vogliamo crederlo, non vogliamo essere maliziosi. Preferiamo pensare che il nostro Maestro abbia preso una temporanea sbandata o che abbia realmente trovato la pillola che fa diventare eterosessuali e si prepari quindi ad esplorare un nuovo mondo, un mondo che fino ad oggi non era il suo.

Riportiamo di seguito l’intervista di Piera Detassis a Ferzan Ozpetek pubblicata su Ciak di Giugno 2008, occasione delle nostre suddette riflessioni.

La lotta serrata, animale, fra un marito e una moglie separati, Antonio ed Emma: sessualità da rapina sullo sfondo di un lungotevere desolato, marmoreo. La musica di Andrea Guerra graffia l’immagine di una città che sembra avere pochi abitanti e molti deserti e periferie. E’ la Roma degradata e violenta raccontata nel 2005 da Melania Mazzucco nel romanzo Un giorno perfetto (Rizzoli). La stessa Roma poco incantata, nessuna fata in giro e molto buio nei cuori, filmata da Ferzan Ozpetek che, con potente virata, abbandona i suoi abituali climi caldi e sentimentali per il gelo della cronaca nera. Nell’arco di una giornata, scandita in ore e minuti, seguiamo il tormento di Antonio (Valerio Mastrandrea), poliziotto di scorta al politico Fioravanti (Valerio Binasco) e ossessionato dall’abbandono della moglie Emma (Isabella Ferrari). Bivacca ormai sotto casa dove vivono la donna e i due figli Valentina e Kevin e nel giro di un giorno praticamente perfetto tutto si compie: la moglie di Fioravanti, Maya (Nicole Grimaudo), scopre che è incinta ma anche che Aris (Federico Costantini), il figlio del marito, le interessa in modo particolare; Fioravanti perde la partita politica, la professoressa Mara (Monica Guerritore) ha un appuntamento col suo amante e Antonio decide che c’è solo un modo per rimettere insieme la famiglia: sparare a tutti. Un film in singolare sintonia con la cronaca di questi giorni che racconta la crisi di una città capitale, l’emergenza del tema sicurezza, l’aumento sintomatico dei delitti in famiglia. Ma per Ferzan quella del film potrebbe essere una qualsiasi città, “del sud o del nord, non importa”, e non è la denuncia dei mali sociali quel che più lo interessa. E’ altra la sua magnifica ossessione. “Ho scelto Un giorno perfetto perchè nella sceneggiatura di Sandro Petraglia (il romanzo l’ho letto solo dopo) mi aveva colpito il racconto della passione estrema di lui, Antonio. L’amore accecante per questa moglie disgraziata, Emma, che non vuol più tornare da lui e che vive da preda, una di quelle donne che ti fa diventare pazzo perchè sai che tutti possono darle la caccia, e lei per debolezza non sa dire no. Conosco quella fissazione amorosa. Terribile e senza soluzione. Volevo raccontarla, anche per dire che dietro ogni gesto estremo, criminale, si annida un dolore acuto”.

E infatti ci si affeziona ad Antonio, che pure compie la peggiore delle stragi, in famiglia, come accade sempre più spesso…

Ci sono tanti mostri attorno a noi, ci somigliano, hanno la nostra faccia, la nostra voce, in un attimo possiamo diventare come loro. L’uomo è talmente strano, profondo, insondabile. Abbiamo girato in una Roma popolare e anche difficile. A Tor di Quinto mi raccontavano che in quel cortile poco tempo prima avevano buttato un tipo dalla finestra al dodicesimo piano e i bambini hanno continuato a giocare per ore attorno al cadavere senza che nessuno intervenisse. Ma tra Antonio ed Emma, più che disagio sociale, vedoincomprensione, si capiscono e alla fine ciascuno si perde nel proprio mondo, che per Antonio è un pozzo di follia.

Il film sembra segnare molti cambiamenti nell’universo Ozpetek…

Dopo Saturno contro pensavo di godermi un intero anno sabbatico e invece è arrivata la proposta di Domenico Procacci. E’stato come un nuovo fidanzamento, quando tutto ricomincia, le sensazioni sono fresche: un nuovo produttore che ti corteggia (Ferzan ha sempre prodotto e sceneggiato con la coppia Gianni Rornoli-Tdde Corsi, ndr) una storia per la prima volta non scritta da me, un tono diverso, più tragico.

Più facile o più difficile?

Più facile. Io poi ho sempre raccontato la mia vita, quindi ogni critica era come una coltellata al mio modo di essere, di esistere. Qui sono solo uno spettatore, ho il distacco del testimone.

Cambiamenti rispetto al libro?

La madre con cui Emma vive nel romanzo mi sernbrava troppo repellente: ho affidato il ruolo a Stefania Sandrelli, che ne ha fatto un personaggio più lieve. Per me lei è l’Adriana di Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, uno dei film che amo di più, quarantatre anni dopo: l’Adriana che non s’è buttata dalla finestra, ha continuato a vivere da preda, s’è spostata in periferia, campa leggendo le carte e ha questa figlia Emma, ancor più disgraziata di lei.

Non esiste più il personagglo del professore gay.

E’ diventato una professoressa, Mara interpretata dai silenzi ch Monica Guerritore, testimone delle fragilità di Emma. Ouel gay era troppo facile, sembrava scritto apposta per me. Fare tanti film sull’omosessualia come ho fatto io, ti sfinisce: le persone non vedono più la storia, ti parlano solo di questo. Essere un’icona gay a tempo pieno è insopportabile, io racconto la vita che conosco, la vita delle persone che conosco, non una storia gay. Del resto, se avessi filmato solo storie omosessuali non avrei avuto il successo che ho avuto.

Assai strano in un Paese che non mostra tanta sensibilith per il diverso…

Ma perrchè io parlo di sentimenti, che non hanno identà sessuale. E poi non sono un regista dell’estremo. lo, il mio mondo, i miei amici siamo morbidi, non aggressivi. Dopo Le fate ignoranti ho scandalizzato tutti dicendo: “Non credo all’ornosessualità”: è sembrata una sconfessione. Ma come si fa a dire che per tutta la vita amerai solo uomini o solo donne? Da un momento all’altro tutto può cambiare…

Ci sono come sempre molte donne nel tuo film. E mai tranquille, mai adeguate.

Adoro Nicole Grimaudo, che fa Maya: è la faccia più bella del cinema italiano, strano che finora abbia fatto così pochi film (ma è in Baaria, il nuovo Tornatore, ndr). E poi c’è la regina Isabella (Ferrari), ingrassata apposta. otto chili, vestita con gonnelline improbabili che tirano sui fianchi e sul sedere, Isabella ch s’è studiata una camminata strascicata, per Emma. E puntigliosa ti chiede: “Secondo te che musica ascolta Emma quando è sola?”. Bravissima.

Leggendo il romanzo nessuno pensa alla nervosa Ferrari in quel ruolo, ma soprattutto nessuno immagina Valerio Mastrandrea nei panni del palestrato Antonio.

Un maschio tutto muscoli eppure disperato d’amore. Prima avevo pensato a Javier Bardem. E poi ho chiesto a Fiorello che mi ha detto no, aggiungendo: “Ti rovinerei il fi1m”. Valerio, davvero, non mi sembrava adatto. Poi, durante il Festival di Tavolara l’ho visto fare un gesto, così, da uomo: ha sollevato i pantaloni della fidanzata che si erano abbassati mostrando lo slip, gli ho visto un lampo negli occhi e ho pensato: “Eccolo, è lui Antonio!”. Gli ho imposto molta palestra, non gli sono venuti i muscoloni, ma un atteggiamento più adulto. I1 dolore che esprime è lancinante.

Nel film, ogni sequenza è scandita dal timer che segnala lo scorrere del tempo verso il punto finale di caduta. Un angosciante conto alla rovescia.

Siamo bombardati dalle notizie, viviamo con una velocità senza freni tra cellulari e Internet. 11 telefonino ci ha tolto il mistero della vita e il romanticismo, ci ha privati dell’attesa, della mancanza dell’altro. Ma c’è di peggio: stiamo male perchè ci rendiamo conto che il tempo passa veloce, la vita se ne va come un fulmine. I nostri nonni non se ne accorgevano mentre noi non siarno capaci di rassegnarci alla morte, di avere con lei un rapporto sereno. Così in tanti si tuffano nella religione, ma alla ricerca di regole non di vera spiritualità. E’ un mondo di terribili contrasti quello in cui viviamo: gli Stati Uniti si inchinano al Papa e subito dopo fanno ripartire la sedia elettrica, mentre dall’altra parte del pianeta c’è chi si fa saltare in aria nel nome di Dio. Sì, c’è un uso forte, strumentale della religione.

Il cinema è una consolazione?

Ti consente il privilegio di riflettere anche se spesso mi chiedo se non sia tutto inutile, se non sarebbe meglio smettere e occuparsi di cose serie. Ma la realtà è che per essere felice dovrei fare un serial tv lunghissimo, dodici mesi sul set, non pensare a niente e stare insieme con gli attori come se fossimo a scuola. L’unico posto in cui mi sento vivo sono i set. Tra un film e l’altro, invece, vince l’ansia.

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