INTERVISTE AL REGISTA GAY TOM KALIN, PADRE DEL QUEER CINEMA

In attesa di vedere, dal 20 giugno prossimo, il suo secondo lungometraggio “Savage Grace” con una stupenda Julianne Moore che deve vedersela con un irriducibile figlio gay e la disgregazione di una famiglia dell’upper class. Da un fatto di cronaca vero.

Esce tra pochi giorni l’attesissimo film “Savage Grace” del regista gay Tom Kalin, un autore che da 16 anni, dopo “Swoon” del 1992, non realizzava lungometraggi.

In verità Kalin non è stato inattivo in tutti questi anni che lo hanno visto produrre film importanti come “Go Fish” di Rose Troche e “I Shot Andy Warhol” di Mary Harron, realizzare diversi cortometraggi e insegnare cinematografia alla Columbia University. E’ considerato dalla critica uno dei padri fondatori del Nuovo Cinema Queer, insieme, tra gli altri, a Todd Haynes e Gregg Araki. Oggi, come manifesta nell’intervista che riportiamo di seguito, Kalin nutre molti dubbi sull’esistenza di un cinema queer contemporaneo, in quanto vede la realtà gay frastagliata e non più definibile come qualcosa di unitario, come avveniva nei primi anni dell’Aids.

In “Savage Grace” il regista affronta comunque ancora una tematica gay forte e drammatica, basata su un fatto di cronaca vero raccontato dall’omonimo libro di Natalie Robins e Steven Aronson, inserita nell’ampio contesto della parabola discendente di una grande dinastia yankee. Barbara Daly (Julianne Moore), è una ragazza di bassa estrazione sociale che sposa il magnate Brooks Baekeland, aitante erede della fortuna accumulata dal padre, Leo, inventore della bakelite. Barbara è bella, rossa e carismatica, ma disperatamente inadeguata alla classe sociale e al mondo del marito. La nascita dell’unico figlio della coppia, Tony (interpretato dall’adorabile Eddie Redmayne), rischia di compromettere il precario equilibrio di questa unione di estremi. Tony, da adolescente intelligente e precoce diventa presto un soggetto imprevedibile, amante di giovani ragazzi gay, inviso al padre che addossa la colpa dei suoi fallimenti all’omosessualità. La madre instaura col figlio un rapporto sempre più ambiguo, soprattutto dopo che il padre la abbandona per una giovane donna. A un certo punto sembra quasi che Barbara voglia avere un rapporto sessuale col figlio nel tentativo di liberarlo dall’omosessualità…

Riportiamo alcuni passi di un’intervista del New York Blade al regista:

Pensi che la tua esperienza, in quanto omosessuale, abbia influenzato il tuo lavoro da regista?

Ho fatto film che avevano per soggetto tematiche gay. E ovviamente, essendo io gay, riflettono in parte me stesso. Ma non mi propongo di perseguire costantemente questo obiettivo. Non vedo me stesso come un rappresentante della comunità gay. Questo non vuol dire che devo essere insincero. In verità non so come rispondere a questa domanda, io credo di non saper andare oltre i limiti della mia esperienza. Il mio lavoro viene da tutto me stesso, non solo da una parte di me.

Pensi quindi che la tua sessualità imprima una diversa prospettiva a questo tuo ultimo lavoro da regista?

Sicuramente, essere gay è una parte di quello che io sono. Ma io faccio questo film come una persona della classe medio-bassa, che non guadagna molto denaro, su personaggi della classe elevata. Questo influenza la mia prospettiva tanto quanto la mia identità sessuale, o il fatto che sono un bianco, o il fatto che che sono scresciuto a Chicago. Sono tutte parti della mia identità. La cosa strana è che la mia vita personale è ottima. Sono stato impegnato con una persona per 16 anni. Tutti i miei famigliari hanno accettato molto bene la cosa. Ho avuto una vita integrata e ricca di conforto. Ho amici che sono gay, etero e di mezzo. Questo aspetto della mia vita non è quindi la forza predominante nella mia creatività. Questo è il motivo per cui sono così esitante nel rispondere a questa domanda.

Al Sundance di quest’anno si sono ritrovati i personaggi più rilevanti del Nuovo Cinema Queer. Che cos’è che caratterizzava questi film, che li fece diventare una tendenza e pensi che sia ancora attuale?

La maggior parte di questi soggetti che si autodichiaravano un movimento, una tendenza, in realtà non decollarono. Gregg Araki e Todd Haynes e Christopher Munch e io stesso e Derek Jarman abbiamo fatto film eclettici e differenti che coprono un vasta sfera. Penso che in un particolare momento abbiamo dovuto far fronte alla crisi dell’Aids che incideva fortemente sulla cultura di quegli anni. Molti di noi erano allora ventenni o trentenni. Le nostre vite sono state sconvolte dall’Hiv e dall’Aids e dagli anni del Reganismo seguiti da quelli di Bush. Sono stati 12 anni terribili. Non c’erano medicinali per affrontare la malattia. E’ molto difficile comparare i tardi anni ’80 e i primi anni ’90 a quelli di oggi. Madonna che baciava una persona dello stesso sesso era un evento traumatizzante allora. Così alcuni film di quel tempo erano punk-rock, colmavano un vuoto su un certo genere di cose.
Oggi abbiamo film come “Brokeback Mountain”, fatto da un regista eterosessuale, che conquista un largo pubblico, che può essere definito come un film queer e che potrebbe essere stato fatto in anni passati. “Brokeback Mountain” può veramente essere definto un New Queer Film? Mi spiego, ciò che viene rappresentato in questo film può essere considerato da molti una tematica queer. Allora cos’è esattamente oggi un film queer? Io non ne ho idea. Significa che l’autore è queer? Significa che il contenuto è queer? Io penso onestamente che la parola queer sia oggi indefinibile. Al tempo di Act-up si poteva parlare di una comunità gay unita da precise caratteristiche. Queer era un termine che poteva abbracciare credibilmente ognuno, gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Oggi, se vogliamo essere onesti, le cose sono differenti, queste realtà sono molto separate, in una variegata molteplicità di modi.


Intervista con Tom Kalin dalla cartella stampa Bim:

Che cosa l’ha attratta, all’inizio, in “Savage Grace”? Come già per SWOON, lei ha scelto ancora una volta una storia d’amore tabù, che culmina in un omicidio. Perché?

Diversi anni fa, Christine Vachon mi ha dato da leggere il libro ‘Savage Grace’ di Natalie Robins e Steven ML Aronson. Sono rimasto colpito dalla straordinaria verità del nucleo della storia dei Baekeland, ma ancora di più dagli echi da tragedica classica. Mi hanno affascinato la malinconica bellezza della vicenda, il conflitto fra eleganza e violenza. Ma il terribile epilogo del film, la morte di Barbara, è solo una parte della sua storia. L’originalità del suo personaggio tipicamente americano (una self-made woman degli anni ’40, con l’istinto e l’audacia di un giocatore d’azzardo) e la sua brillante ascesa e devastante caduta contenevano, secondo me, tutti gli elementi di un dramma appassionante.
Lavorando al film SWOON, e documentandomi su quel caso (la storia vera di due ragazzi omosessuali, Leopold e Loeb, che uccidono quasi per gioco un tredicenne), sono rimasto affascinato dalle ambiguità di fondo di quella vicenda, in particolare da un interrogativo di fondo: qual’era, se c’era, la personalità dominante fra i due? E se da un lato sono convinto che sia stato Richard Loeb a uccidere fisicamente il piccolo Bobby Franks, credo anche che quella che legava Leopold e Loeb fosse una chimica particolarmente esplosiva. In questo senso, anche per SAVAGE GRACE mi sono posto una domanda fondamentale: è stato Tony a uccidere sua madre, o è stata sua madre, in realtà, ad averlo cresciuto alimentandone il narcisismo fino a farne l’arma che poi l’avrebbe uccisa?
Ma soprattutto, sono stato attratto da questi due personaggi profondamente fragili e imperfetti, per i quali provo in fondo uno strano senso di lealtà e empatia. (“Non giudicare se non vuoi annoiare il pubblico” – diceva Orson Welles). La tragedia, com’è ovvio, è una delle tante inevitabili vicende umane. Parafrasando una recensione del libro ‘Savage Grace’, quella dei Baekeland è “la storia del fallimento profondo dei più elementari doveri dell’amore”.

Il film attraversa epoche ed atmosfere diverse, in un periodo di rapidi cambiamenti. Quali licenze artistiche ha dovuto prendersi nell’adattamento del libro? E crede che il tipo di approccio che ha scelto l’abbia allontanata dalla storia originale?

Ho lavorato a stretto contatto con lo sceneggiatore del film, Howard Rodman. Sapevamo entrambi che il libro abbracciava un periodo troppo ampio per essere contenuto in un unico film: ‘Savage Grace’ consiste principalmente nei racconti in prima persona dei testimoni e dei protagonisti della saga dei Baekeland, nell’arco di quasi un secolo. Con Howard abbiamo cominciato a lavorare all’adattamento ognuno per conto suo, individuando prima di tutto quelli che ci sembravano i momenti principali della storia di Barbara. Quando poi abbiamo confrontato i risultati del nostro lavoro, ci siamo accorti che per lo più coincidevano.
Principalmente, ci siamo chiesti quali parti avremmo dovuto eliminare dal film e come costruire una storia intorno ai momenti importanti nella vita di queste persone. Howard è stato geniale nell’immaginare le scene – la sequenza di Cadogan Square, ad esempio – basandosi solo sulle foto incluse nel libro e su altre che avevo recuperato io. Tutto quello che dovevo sapere su quello che era successo fra Barbara e Tony si celava in una foto del 1971, in cui Tony – elegantemente rilassato e disinvolto, con una sigaretta tra le dita – siede accanto a una Barbara ingessata nel suo impeccabile Chanel con perle, su un divano assolutamente perfetto.
La scena della vasca da bagno a Parigi, nel 1959, anche quella è basata sulla straordinaria fotografia di un angelico Tony, dodicenne, mollemente adagiato nella vasca piena d’acqua, che guarda dritto nell’obiettivo. Sicuramente scattata da Barbara, la foto è tenera e agghiacciante insieme, e coglie un momento che lascia appena intravedere la punta di un iceberg.
Queste foto sono state un riferimento prezioso per i miei collaboratori – il direttore della fotografia, Juanmi Azpiroz, lo scenografo Molero e la costumista Gabriela Salaverri, primi fra tutti. Juanmi ha una capacità straordinaria di usare la luce per esprimere i cambiamenti di atmosfera e l’immobilità, amplificando il crescendo della tensione. Sia Victor che Gabriela hanno creato un mondo credibile, ricostruendo gli ambienti dell’epoca in modo estremamente rigoroso ma non banale. Per esempio, lo stile di Tony e dei suoi amici a Cadaqués, a metà degli anni ’60, appare sorprendentemente senza tempo – niente stivaletti bianchi e minigonne, insomma. Questo approccio a una messinscena in continua evoluzione è stato decisivo, soprattutto se si pensa che il film è stato girato quasi interamente a Barcellona e dintorni. Girare un film in Spagna è stata una delle esperienze più straordinarie della mia carriera.
In una storia di questa complessità è inevitabile ricorrere a semplificazioni, omissioni, e perfino alla modificazione dei personaggi. Howard ed io abbiamo cercato di cogliere la verità emotiva delle situazioni, pur mantenendo un sano scetticismo sulla natura sfuggente di quella che poi è divenuta la versione ufficiale delle cose.

Come mai ha pensato proprio a Julianne Moore per il ruolo di Barbara?

Ho incontrato Julianne quando Todd Haynes girava SAFE, e poi di nuovo sul set di LONTANO DAL PARADISO. Julianne è una delle attrici contemporanee di maggiore talento, capace di dare grande spessore ad ogni suo personaggio. Sapevo che sarebbe stata indimenticabile nel ruolo di Barbara, e che avrebbe saputo rendere in modo istintivo l’umanità e la profondità umana del suo personaggio. Le ho inviato il copione, e ci siamo visti a pranzo, qualche tempo dopo. Mentre io chiacchieravo nervosamente, lei sfogliava un album di fotografie di Barbara, Tony e Brooks, che avevo portato con me. La somiglianza fisica con Barbara era indubbia, ma ha rappresentato solo un di più, perché è stata soprattutto la capacità di Julianne di rivelare l’emozione anche nel più piccolo gesto a far rivivere Barbara. Un’altra cosa emozionante è stata seguire questo personaggio nel tempo, vedere come Julianne ha saputo rendere il trionfo e il fallimento di una vita.

Quelli di SAVAGE GRACE sono personaggi complessi. Potrebbe farci un breve ritratto, dal suo punto di vista, dei tre protagonisti – Barbara, Brooks e Tony?

BARBARA DALY BAEKELAND
Barbara Daly nasce a Boston nel 1920. Quando è ancora una adolescente suo padre si suicida e il corpo viene scoperto dal fratello di lei, che poi morirà in un incidente stradale (forse non un incidente). Come molte belle ragazze spiantate della sua generazione, Barbara viene spinta dalla madre a cercarsi un buon partito. Corteggiata da John Jacob Astor, viene dichiarata una delle più belle donne di New York. Nei primi anni ’40 arriva a Hollywood, dove si ferma brevemente e fa un provino con Dana Andrews. Possiede un carisma e una spavalderia rari per le donne del suo ambiente, e sarà proprio questo suo lato temerario e volitivo ad attrarre Brooks. Il punto debole di Barbara sta nel suo narcisismo (originato da una profonda insicurezza), e nella sua ossessione per una idea irraggiungibile del “bel mondo” e delle apparenze. A chi la frequenta appare audace e sciocca al tempo stesso, e la sua capacità di re-inventarsi rivela da un lato una grande immaginazione, dall’altro la paura di essere scoperta e smascherata.Ma l’alta società da sola non le basta, e il suo bisogno di sentirsi amata (da Brooks, da Tony, da Sam) la rende profondamente vulnerabile – tanto da sfinirla, a volte.

BROOKS BAEKELAND
Da ‘Savage Grace’ di Natalie Robins, Steven ML Aronson :

“Anche lui [il padre di Brooke, George] era un tipo aitante, aveva quello che i francesi chiamano ‘panache’ – stile. Ma era solo una recita. Era come se George fosse sempre, metaforicamente parlando, di fronte a uno specchio. … In fondo, però, la sua arroganza e la sua misantropia erano razionalizzazioni compensatorie, difese inconsce da una profonda timidezza e da un penoso senso di inettitudine. Lo so, perché sono suo figlio e ho ereditato molte delle sue stesse incapacità. Mio padre ruggiva al buio per scacciare i suoi demoni. Era facile, per un uomo ricco e protetto come lui. Come diceva mio nonno: ‘Uno degli usi del denaro è che non ci costringe a subire le conseguenze dei nostri errori’.”

Per Barbara, Brooks rappresenta il bel mondo, e Brooks non ha il coraggio di rivelarle i suoi dubbi al riguardo. Le pessime scelte imprenditoriali del padre, infatti, hanno già ridotto il patrimonio di famiglia e dentro di sé Brooks si tormenta per non aver ereditato il genio del nonno. Eppure, passa in modo contraddittorio dallo snobismo più sfrenato alla consapevolezza del disprezzo che suo nonno provava nei confronti delle pose e delle sofisticherie del ‘bel mondo’. In qualche modo, Brooks si rimprovera di non essersi saputo elevare dal suo mondo.
Prigioniero della sua vanità e del suo orgoglio, si sente in dovere di dire quella che crede la verità, senza tenerezza o compassione. Così, finisce per perpetuare il ciclo familiare facendo del figlio l’oggetto del suo disprezzo, proprio come suo padre aveva fatto con lui.

ANTONY BAEKELAND
Tony non diventerà mai abbastanza maturo da contrastare l’influenza dei suoi genitori conflittuali e inquieti, stretto fra l’amore possessivo di Barbara e il disprezzo e l’indifferenza di Brooks. Cresce senza poter trovare un suo equilibrio, e con una fantasia molto sviluppata. Se non fosse stato così fragile psicologicamente, forse avrebbe potuto diventare un pittore o un poeta. E’ dotato di una bellezza tutta esteriore, passiva, che sembra quasi il riflesso al contrario dell’intima paura di Barbara che Tony sia brutto. E’ oppresso dai sensi di colpa per il fallimento dell’unione dei genitori. Una volta dice a un amico: “I miei genitori sono come due bambini”.
Straordinariamente posato e sicuro di sé a 12 anni, Tony perderà tutta la sua sicurezza crescendo. Quando lo incontriamo a Cadaqués, a vent’anni, è nella fase in cui si ribella ai suoi genitori (andando a letto con Jake e assumendo droghe). Purtroppo, non riuscirà a liberarsi di loro, e quando Blanca lo lascia per Brooks, Tony non si riprende più.
In un primo momento,Tony avrebbe voluto scappare (dai genitori, dal suo ambiente) e diventare qualcuno (in questo senso assomiglia a Brooks), ma alla fine perde motivazione e salute mentale, e si ritrova a guardare la propria vita passargli davanti come se neppure gli appartenesse.

C’è ancora attrazione tra Brooks e Barbara, nonostante il disprezzo, perfino il disgusto che lui prova per lei? Il loro non era un rapporto sadico? Che cosa ha avvelenato il loro matrimonio?

Per molti versi, Brooks era il partner più debole in una unione squilibrata fra estremi. Anche se all’inizio, a modo suo, amava Barbara, Brooks non aveva gli strumenti per gestire la natura violenta di lei. Io credo che alla fine abbia cominciato a disprezzarla per come era riuscita a inserirsi nel suo mondo, e che la ritenesse responsabile delle proprie ambizioni frustrate.
Dopo il tentato suicidio di Barbara, Brooks scrive in una lettera a un amico: “Barbara ha appena dato fondo a tutta la violenza romantica (e non romantica) di cui è capace, per quanto mi riguarda… La sua convinzione di poter ottenere qualsiasi cosa con la forza è fondamentale in ogni situazione, dalla più grande alla più piccola, come hanno sperimentato tutti, dall’ultimo cameriere al primo ministro, e come io stesso sperimento da 25 anni… E’ questo il problema del melodramma – i colpi di teatro vengono usati tutti nel primo atto.
…Lei sostiene (quando ha un valore sociale sentimentale) di essere cattolica per nascita e formazione. Quello di cui avrebbe bisogno è un po’ di autoanalisi,ma non con uno strizzacervelli – con un sacerdote irlandese vecchio stampo, che le chieda:’Allora, come la mettiamo?’, in quei vecchi termini morali che ancora capiva prima che andasse a Hollywood nel 1940, con John Jacob Astor, in calore per lei. Da allora, è stata tutto fumo e niente arrosto. E in questo l’ho aiutata anch’io.”

Come giudica i sentimenti di Barbara e Brooks rispetto all’omosessualità di Tony? All’epoca era un tema delicato, anche se l’atteggiamento di Barbara sembra piuttosto ambivalente…

C’è chi pensa che Barbara sia andata a letto con Tony per cercare di “guarirlo dalla sua omosessualità”. Ma io credo che la verità sia ben più sottile e complessa. La sessualità era solo uno degli elementi della loro danza rituale di dipendenza e reciproca violenza. Brooks era chiaramente disgustato dall’omosessualità di Tony, e la riteneva alla base del suo fallimento nella vita. L’atteggiamento di Barbara, invece, era più ambivalente: anche se disgustata dal magnetismo carnale e dall’influenza esercitata da Jake su Tony, lei non abbandona il figlio, come fa Brooks.
In seguito, disapprova l’ambiente decadente di Tony a Londra, e non sopporta quando lui scompare per giorni… Credo che la sua gelosia, qui, sia alimentata dal suo narcisismo.
Quando lei e Tony vanno a letto con Sam, qualcuno sostiene che fossero sotto l’effetto di droghe psichedeliche, e certamente dell’haschisch. Un brano di una lettera di Barbara a Sam la dice lunga sul suo stato d’animo all’epoca:

“Il tempo che abbiamo trascorso insieme non è stata una commedia di Williams o una mostruosa evocazione di De Sade – ma la messa in scena, di grande classe e bellezza, di un mito molto antico. Poiché noi siamo veterani di questo secolo, non siamo stati capaci di essere davvero liberi, e forse è stato meglio così, perché alcuni di noi hanno una psiche fragile e la tensione emotiva sarebbe stata troppo forte.”

Definirebbe SAVAGE GRACE un film di impegno sociale, nonostante l’ambiente che racconta? Lei crede che la decadenza che circondava i Baekeland abbia favorito l’erosione di una certa moralità?

Il nonno di Brooks, Leo, ha scritto qualcosa che anticipava il futuro dilemma del nipote:

”La maggior parte del tempo, la gente che viaggia si crogiola nella convinzione di divertirsi, mentre in realtà sta semplicemente spendendo soldi a destra e a manca, sempre più soldi e senza grande soddisfazione, ocontinua a correre da un paese all’altro nella vana ricerca della felicità. Di solito, poi, questa gente finirà per scoprire che due o tre grandi capitali in Europa, con alberghi accuratamente selezionati, si adattano meglio alla loro condizione psicologica morbosa.”
“A Family Motor Tour Through Europe”, Leo H. Baekeland, 1907

Molti autori hanno raccontato le vite tormentate di americani espatriati come Fitzgerald, Hemingway, Bowles e James. Il ruolo della classe sociale nella cultura americana continua a definire ogni interazione sociale. ‘Savage Grace’ è la storia di questa particolare famiglia e insieme un ammonimento rivolto a chi si spinge così lontano da casa (letterariamente e spiritualmente) da smarrire la via del ritorno.

I genitori di Tony si rivelano incredibilmente ciechi di fronte ai segni della sua malattia mentale. Erano solo ignoranti o incredibilmente egocentrici?

Molti testimoni della deriva di Tony hanno cercato di intervenire, ma senza successo. Un amico dei Beakeland ha affrontato Brooks l’anno prima dell’omicidio:

Gli ho detto: “Senti, tuo figlio sta molto male, deve essere curato.” E lui ha risposto: “Il suo problema sono i troppi divertimenti” – testuali parole.

Questo eccesso di “divertimenti” ha avuto conseguenze devastanti su tutti e tre – prima su Brooks e Barbara, poi su Tony. Incapaci di trovare una qualsiasi alternativa, le loro personalità si sono piegate sotto la pressione collettiva. Hanno vissuto le loro vite in uno stato di eterna infanzia, ognuno a modo suo. C’è anche un delicato equilibrio, in questa storia, tra la responsabilità personale e la spinta autodistruttiva ereditata (o coltivata).
La personalità di Tony, inizialmente affascinante e poetica, si è gradualmente disgregata rendendolo sempre più rabbioso e violento nei confronti di Barbara. Ironia della sorte, solo in carcere Tony troverà un po’ di pace, attraverso il buddhismo:

“Sento la presenza della mamma intorno a me, continuamente. Lei è in ogni albero.”

Eppure, fino alla fine sarà tormentato da pensieri e sogni violenti:

“Poi ho sognato che Barbara mi aveva aperto in due il collo, perché potessi respirare.”

Nel libro, Brooks emerge come l’unico superstite della tragedia, e forse il più colpevole. Fino alla fine respinge Tony – per la sua imbarazzante “stranezza”. Qual’era, in realtà, il motivo profondo di tanta avversione? Perché, secondo lei, Brooks si sentiva così minacciato da Tony?

Brooks può sembrare arrogante, ma in realtà era perfettamente consapevole delle ragioni della sua infelicità coniugale:

Mi sono reso conto ben presto che, a prescindere dal fatto che Barbara fosse incinta o no – e non lo era – non avevo sposato una compagna di vita, uno spirito affine, ma una agguerrita e ambiziosa antagonista. La sua era una personalità molto più brillante e di gran lunga più forte di quello che io ero e avrei mai potuto diventare.”

“…Ho sempre pensato di non essere un uomo abbastanza grande, per lei. Per lei, ci voleva un Enrico VIII. E alla fine lo ha trovato, in suo figlio, che le ha tagliato la testa – per così dire.”

Ma Brooks sapeva essere anche spietato, e distaccato all’estremo. Quando un amico lo affronta a proposito del suicidio di Barbara, Brooks non si assume alcuna responsabilità:

E gli ho detto: “Senti, io non credo che l’abbia fatto solo per farsi compatire. Se così fosse, avrebbe decisamente esagerato, visto che è quasi morta.” Le ho detto che era in coma. E lui ha ribattuto: “Be’, se muore, sai dove trovarmi.” Sono rimasto di sasso. [Poi] ha detto, lasciandomi ancora più di stucco: “Quando ho conosciuto Barbara, lei non era nessuno, era solo una ragazzetta irlandese qualsiasi. Praticamente l’ho scelta io, fra le ballerine di fila.”

Brooks è profondamente deluso dall’incapacità del figlio di raggiungere quello che ritiene essere il destino della sua famiglia: la grandezza. Ma la delusione per Tony non è altro che il riflesso della disperazione per i propri fallimenti.

Brooks è indispettito dalle pretese di Barbara, ma non è lui stesso altrettanto presuntuoso? La sua arroganza maschera una sua debolezza intellettuale?

Secondo molte persone che lo conoscevano, Brooks aveva una intelligenza originale ma non la disciplina necessaria per metterla a frutto. Aveva conseguito ottimi risultati in matematica e fisica, alla Columbia University, ma non era mai riuscito a laurearsi. Per anni, ha continuato a sostenere di stare scrivendo un romanzo, che però non è mai uscito. Sia lui che Barbara erano due persone brillanti, anche se ognuno a modo suo.

Secondo lei, il rapporto tra Brooks e Blanca era diverso? Alla base della loro unione c’era solo l’attrazione fisica per una ragazza così giovane, o anche il fatto che lui la stimava intellettualmente e socialmente?

E’ troppo facile giudicare Blanca, o ridurre il suo rapporto con Brooks a una pallida imitazione del matrimonio con Barbara. Neo-divorziata e più navigata di tante giovani espatriate che arrivavano a Cadaqués, Blanca si fa notare per la sua bellezza enigmatica e la sua aria riservata. Nonostante sia intellettualmente preparata (ha studiato filosofia a Parigi), è dotata di una simpatia naturale e di un istinto innato per lo stile giovanile degli anni ’60. Nata in una famiglia della media borghesia, maschera la sua ambizione con un atteggiamento di grande pragmatismo e ingenuità che induce gli altri a sottovalutarla.
Blanca è un autentico camaleonte – a suo agio in jeans e camicia, o in abiti d’alta moda, come quando sarà sposata con Brooks. La sua sicurezza e la sua personalità sfuggente affascinano chi la incontra. Inizialmente attratta dalla tenerezza e dalla delicata passività di Tony, Blanca finirà per lasciarsi conquistare dal gelido (ma stranamente intrigante) egocentrismo di Brooks. E’ affascinata dalla grandeur della famiglia Baekeland e addirittura incantata dall’aura di ricchezza e signorilità che circonda Brooks. Sotto la sua guida, si trasforma rapidamente da ragazzina hippy in signora alto-borghese. Tony sarà presto dimenticato, e resterà profondamente ferito dal suo abbandono.
Inizialmente, Barbara accoglie con favore Blanca nelle loro vite e incoraggia Tony a frequentarla, finché non intuisce in lei quell’ambizione sociale che conosce fin troppo bene, e comincia a disprezzarla per la sua bellezza, la sua giovinezza, il fascino che esercita su Brooks. Blanca si rivela, è vero, una arrampicatrice sociale, ma io non volevo giudicarla. Il fascino di questa storia sta proprio nelle diverse prospettive da cui si può guardare.

E’ passato del tempo da quando ha girato SWOON – ma da allora ha continuato a lavorare sia per il cinema che con i video. Come mai ha aspettato tanto a girare un altro lungometraggio? I video l’hanno influenzata nel suo lavoro di regista di cinema?

Dopo Swoon ho lavorato soprattutto in veste di produttore. Sono stato produttore esecutivo del debutto cinematografico di Rose Troche, GO FISH, che è stato presentato con grande successo al Sundance, e produttore del primo film di Mary Harron, il folgorante HO SPARATO A ANDY WARHOL, presentato a Cannes nel 1996.
Ho diretto un cortometraggio per commemorare il trentesimo anniversario della casa di mode di Geoffrey Beene, ispirato al cinema muto e interpretato da Marcia Gay Harden, Viveca Lindfors, Russell Wong e Claire Danes. Il mio cortometraggio Plain Pleasures con Frances McDormand, Lili Taylor e Will Patton è stato trasmesso dalla rete televisiva PBS in tutti gli Stati Uniti. Dal 1985 a oggi ho realizzato una serie di cortometraggi di tipo diverso – video, super8, 16mm e installazioni. Proiettati in musei, gallerie e festival di tutto il mondo, questi lavori sperimentali e totalmente artigianali fanno da liberatorio contrappunto alla grandiosità della produzione cinematografica: sono stati un laboratorio di creatività, una stanza dei giochi, e sono lavori molto diversi dai miei film narrativi di stampo più classico.

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