UN FILM DA NON PERDERE

Parliamo di “Racconti da Stoccolma”, premiato a Berlino da Amnesty, un film che ci mostra come la violenza che ancora si annida nelle società più avanzate (contro figli, mogli e omosessuali) possa essere più crudele e drammatica di guerre o malattie.

Cominciamo subito col dirvi che “Racconti da Stoccolma” di Anders Nilsson è un film imperdibile e che non lascerà deluso nessuno, sia chi va al cinema solo per divertirsi (vedrà inusuali scene adrenaliche) sia i cinefili più accaniti (che godranno di un film girato e montato in modo perfetto, con scene luminose e mai dispersive) sia coloro che dal cinema si aspettano qualcosa di più, qualcosa che possa aiutarli a capire meglio il mondo che li circonda (cinema “illuminante”).

Mettiamo subito le mani avanti dicendo che forse nel film non c’è molto di nuovo, le tre storie che compongono il film trattano argomenti già visti: la violenza all’interno di famiglie-tribù (il cosiddetto delitto d’onore), la violenza machista sempre all’interno delle mura domestiche e la violenza omofoba di bande teppistiche organizzate. A dire il vero quest’ultima non ci risulta così ricorrente nel cinema come le altre, soprattutto nel cinema mainstream (quello distribuito in un consistente numero di sale, anche se dobbiamo rilevare a malincuore che questo film viene distribuito in pochissime sale, ma confidiamo che il passaparola riesca a fargli ottenere la visibilità che merita).

Il grande pregio del film sta nel fatto di avere scelto tre storie realmente accadute (anche la più sconvolgente, quella dell’autostrada) e di averle incastrate in un unico racconto sulla violenza, spesso invisibile, che ognuno di noi potrebbe incontrare sul suo cammino. In merito gli autori del film hanno detto: “abbiamo ragionato sul fatto che le cose che fanno più paura non sono le guerre o le malattie, tanto meno l’avere a che fare con dei serial killer o dei mostri. Quello che più spaventa la gente è una minaccia che proviene dalla propria famiglia, dai propri genitori, dalle persone amate; da coloro, insomma, da cui ti aspetteresti al contrario un sostegno fondamentale”.

Il film è anche la storia di tre eroi, più o meno involontari, che trovano da soli, dentro loro stessi, la capacità di reagire. Sempre gli autori hanno affermato che “È stato fondamentale per noi raccontare le vicende dal punto di vista delle vittime. La ragione per cui abbiamo scelto questi particolari personaggi è il loro rifiuto di essere appunto semplici vittime degli eventi e la loro determinazione nel combattere per ribaltare lo stato delle cose. In modi diversi, essi riescono infine a trovare una via di scampo”.

Significativo che la storia sull’omofobia (ma è anche storia di un coming out, cioè dell’uscita allo scoperto di un omosessuale velato) sia l’unica che termina senza aiuto dall’esterno (polizia o altro) ma con l’iniziativa dei protagonisti, cosa che potrebbe leggersi come un’altra sottile denuncia degli autori del film. In merito dobbiamo però fare un piccolo rimprovero ai comunque encomiabili autori. Ci è sembrato che la storia di Aram e Peter, due gay perseguitati da una gang di omofobi, sia la più reticente delle tre, soprattutto nel fare comprendere la genesi della storia, che, per uno spettatore distratto, potrebbe apparire come un semplice episodio di delinquenza organizzata. Non viene infatti mai pronunciata la parola gay od omosessuali e quando Peter racconta ad Aram l’origine della rissa dice solo che erano stati offesi entrambi, senza spiegare come e perchè. Anche se le ragioni omofobe sono facilmente intuibili, un briciolo di chiarezza in più non avrebbe guastato. Questo episodio è anche l’unico che in realtà racconta due storie, quella dell’omofobia detta sopra, e quella della nascita di una storia d’amore gay con conseguente uscita allo scoperto di Aram, un gestore di locale notturno, gay velato (tranne alla sorella che lo consigliava di farsi avanti) che, grazie alla forza dell’amore, arriverà a dichiararsi e a baciare pubblicamente la persona amata. Un’altra vittoria sopra una sottile violenza che perseguita ancora molti omosessuali anche nelle società più avanzate del nord Europa.

Un breve cenno alle altre storie, storie di donne che riescono a vincere, dopo una lunga battaglia interiore e purtroppo anche esteriore, la terribile violenza che le circonda e che vorrebbe essere invisibile.
La più sconvolgente è la storia di Leyla e Nina, una storia che non avremmo mai potuto pensare potesse accadere in una società avanzata come quella svedese e all’interno di una famiglia benestante, anche se di origini mediorientali. Si tratta di uno scontro generazionale, di una lotta per l’emancipazione e la liberazione della donna, contro principi tribali-religiosi, che purtroppo mietono ancora vittime umane. Una storia cruenta e difficile da dimenticare.

Anche la seconda storia ha per oggetto la prevaricazione e la persecuzione che la donna può subire all’interno dell’ambito famigliare. Ma questa volta si tratta di una famiglia colta, impegnata e benestante, di giornalisti all’avanguardia, dove la moglie ha appena vinto il premio come migliore giornalista dell’anno. Quando la protagonista troverà la forza di ribellarsi a dieci anni di violenza subita passivamente, si troverà davanti il muro dell’omertà e della soliderietà machista, forse ancora più crudele della violenza fisica subita. Anche in questo caso la lotta per guadagnarsi un futuro migliore sarà difficile e umiliante.

Come dicevamo un film assolutamente da non perdere, che vi arricchirà di tre storie indimenticabili, aprendoci gli occhi sulla necessità che le società avanzate possano definirsi tali non solo per i vantaggi economici e materiali che hanno conquistato ma anche per quelli etici di rispetto e convivenza civile.

Qui sotto la locandina originale del film

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