TERZO GIORNO AL TOGAY 2008

Affluenza record – Cortometraggi in concorso molto applauditi – Curioso film lesbico accolto tiepidamente – Bellissimo film di Nolot e altri

Oggi primo giorno del weekend abbiamo assistito ad un vero e proprio assalto del festival gay torinese, con tutte le sale stracolme, che spesso impedivano l’accesso agli ultimi arrivati per mancanza di posti. Il direttore Giovanni Minerba, visibilmente soddisfatto, ci ha detto confermato che l’affluenza di quest’anno è superiore a quella dello scorso anno, che pure era stata un record. Anche la proiezione pomeridiana nella grande sala uno dell’Ambrosio, dove si proiettavano i cartoni animati giapponesi già disponibili sul mercato (“Il poema del vento e degli alberi” e “La leggenda dei lupi blu“), ha visto riempirsi la sala di spettatori. Noi, che proprio non possiamo dirci amanti di questo genere, ci siamo goduti l’omaggio a Oscar Alvez, un 73enne regista portoghese che è anche pittore, scultore e attore di teatro che oggi dirige una galleria d’arte a Lisbona. Il film presentato, “Aventuras e desventuras de Julieta Pipi” (1978) ha un carattere amatoriale ma, nonostante le immagini sfocate e traballanti conserva tuttora una forte carica comunicativa, ironica e provocante, che ricorda le opere surreali di Kenneth Anger.

CORTOMETRAGGI

Sono poi seguiti i cortometraggi sperimentali di Patrick Carpentier (vedi intervista sul video a lato) del quale avevamo gia apprezzato alcuni lavori negli anni passati. Quest’anno il regista torna presentando quattro cortometraggi, due dei quali completano la trilogia iniziata con COMBAT.

Nel primo “Ne plus prendre l’ascenseur” del 2001, Carpentier sperimenta per la prima volta l’uso della voce fuori campo (in italiano), traccia stilistica che lo accompagnerà in tutti i lavori successivi. Voto 7.

Il secondo “Images of the Human body” è quello più sperimentale dal punto di vista della lavorazione e ha come tema la femminilità e la percezione dell’immagine del corpo. Il regista ha utilizzato dei ragazzi eterosessuali e li ha fatti vestire da donna. Anche se nel film non si percepisce, il regista ha dichiarato che per i ragazzi è stato molto imbarazzante eseguire quest’operazione, perchè si sentivano come degradati in quanto avevano l’impressione di essere percepiti come gay. Voto 7.

Il terzo “God is a Dog” ed il quarto “Les 9 mardis” completano la trilogia di COMBAT e sono entrambi autobiografici e il regista ha detto di avere utilizzato la voce fuori campo cercando di parlare di se nel modo più sincero possibile. “God is a Dog” mostra filmati dell’infanzia del regista mentre “Les 9 mardis” racconta un periodo della sua vita recente dopo essere stato lasciato dal suo fidanzato. Voto 8.

La seconda serie di cortometraggi in concorso, tutti appaluditissimi dal pubblico, ha presentato opere eterogenee sia nella tecnica che nei contenuti.

CANDY BOY di Pascal-Alex Vincent
Si tratta di un film di animazione che omaggia Candy Candy, una serie televisiva molto popolare anche in Francia negli anni ’80. La vicenda narra di un orfanatrofio religioso, situato nelle vicinanze di una fabbrica che inquina l’ambiente, provocando morie di pesci e malori tra i ragazzi. Le suore, pur conoscendo la verità, incolpano un ragazzo straniero appena arrivato con il quale il protagonista aveva iniziato una storia d’amore. Voto 7½.

LLOYD NECK di Benedict Campbell.
Incantevole cortometraggio, ci narra il palesarsi, senza troppi problemi, dell’amore di un giovane atleta per l’amico; a fare da testimone allo sbocciare dei sentimenti è la sorellina del primo ragazzo. La serenità e la lucentezza del paesaggio fanno da sfondo ad una vicenda che non presenta alcun elemento di tensione, abbattendo tutta una serie di luoghi comuni sul coming out. Voto 8

ROCK GARDEN di Gloria U.Y. Kim
Il corto narra della relazione, prima di diffidenza, poi di complicita, tra due anziani vicini di casa, in competizione per la “coltivazione” delle pietre da giardino.
La realizzazione del film è durata 3 anni, ci racconta la regista, due dei quali sono serviti al montaggio ed al reperimento dei fondi.
L’opera è infatti molto curata dal punto di vista della fotografia e delle scene, che ricordano per certi versi il film di Jeunet “IL favoloso mondo di Amelie”. Voto 8½.

BRAEDRABYLTA di Grimur Hakonarson
Paese che vai, usanze che trovi, sembra suggerire il regista di questo corto.
Anche in un paese inospitale come la fredda Islanda puo nascere l’amore tra due lottatori di wrestling. Il tono è freddo e distaccato come ci ha abituato il regista finlandese Kaurismaki, ma lascia spazio ai sentimenti che in questa cornice asettica emergono in maniera forte ed evidente. Le scene più coinvolgenti e stranamente erotiche sono quelle dove le coppie di lottatori si muovono lentamente stretti uno all’altro come se stessero ballando un lento. Voto 8.

ALGUNA COISA ASSIM di Esmir Filho
Una serata di trasgressione in una discoteca gay si rivela essere fonte di profonde riflessioni, più che di divertimento. L’omosessualita del ragazzo emerge in maniera inaspettata lasciando l’amica più delusa per la relazione andata in fumo, che sorpresa per la nuova identita dell’amico. Voto 7.

HALBE STUNDEN di Nicolas Wackerbarth
La mezz’ora a cui si riferisce il titolo è quella che i tedeschi usano prendersi per curare le proprie cose. Nel corto osserviamo una donna aggirarsi per un appartamento vuoto che noi crediamo condivida con la compagna partita per un viaggio, mentre la ragazza è solo un’inquilina.
L’arrivo del marito interromperà la serenita. Voto 6.

FOR A RELATIONSHIP di Jim Verburg
La voce fuori campo del regista che narra il suo rapporto col padre fa da filo conduttore al montaggio serrato di fotogrammi e video in cui si intuiscono gli incontri sessuali del protagonista col suo compagno. Voto 7½.

VIRIL di Damien Manivel
Il cortometraggio di Manivel, opera realizzata come saggio al primo anno di scuola di cinema ci presenta una carrellata di tipologie diverse di maschi: ambigui, goffi, virili, seducenti. Voto 6.

NOUS NE SERONS PAS LES DERNIERES di Christophe Chemin
L’autore , che proviene dalla scrittura ci presenta la prima delle sue opere realizzate in video.
Il film è stato girato a Berlino in una vecchia balera nella quale il regista, così ha dichiarato, si era rifugiato dalla pioggia. La visione di un pianoforte abbandonato gli ha richiamato alla memoria il film di Herzog “La Ballata di Stroszeck” dove un uomo uscito dal carcere, recatosi a casa, trova un pianoforte e comincia a domandarsi dove finiscono gli oggetti dopo che le persone se ne sono andate. Il film è ispirato alle donne che venivano liberate dai campi di concentramento e gettandosi sui reticolati di filo spinato gridavano appunto “…noi non saremo le ultime…” mentre il titolo del film è tratto ad una mostra di Goran Music “Noi non saremo gli ultimi” ed è dedicato all’editore, morto suicida, dei libri di Chemin. Voto 5.

FILM IN CONCORSO

Interessante anche se un po’ ripetitivo il film giapponese “How to Become Myself”, primo film lesbico in concorso, che ha pure scontentato molte spettatrici che reclamavano inutilmente almeno un bacio lesbico. La storia infatti, racconta del primo amore nato sui banchi di scuola tra due ragazzine che di fatto non si avvicinano mai fisicamente, nemmeno quando scocca la scintilla la prima volta che si parlano nella biblioteca della scuola. Le due fanciulle seguono poi scuole diverse , ma riescono a tornare in contatto via e-mail coi cellulari, veri protagonisti della vicenda, dotati di luci, suonerie e display accattivanti e intriganti tanto da riempire spesso lo schermo con primi piani meritatissimi. Il tema del film è la lotta che le due protagoniste devono affrontare in famiglia, a scuola e coi vari pretendenti maschi per riuscire a mostrarsi come le “vere se stesse” e non come le “false se stesse”. Voto 6½

Non siamo riusciti a vedere l’atteso documentario sui gay e la circoncisione “The Quest for the Missing Piece” che recupereremo senz’altro domani, mentre siamo rimasti affascinati da “She’s a Boy I Knew” e dalla sua regista protagonista Gwen Haworth, presente in sala. Questo documentario, che poteva essere l’ennesimo sulla trasformazione da uomo a donna, è invece originale e piacevole da seguire, sia per la confezione che per la storia e i protagonisti. Steven è il nome del ragazzo che fin dall’età di quattro anni percepisce la sua diversità ma per non scontentare nessuna delle persone che ama trascorre la sua vita senza mai dichiararsi, convivendo con una transfobia interiorizzata che cresce sempre di più fino ad erigere un muro invalicabile tra il suo vero essere e quello che invece appare ai genitori, agli amici e alla stessa moglie. Il suo coming out, dopo due anni di matrimonio, seguito dalla decisione di cambiare chirurgicamente sesso, sarà quindi un fatto sconvolgente per tutte le persone che lo hanno amato. La drammaticità della storia e alleggerita da humor e da brevi divertenti cartoni.
La regista, alla fine della proiezione, ha raccontato che rivoluzione sia stata all’interno della sua famiglia questo film: la sorella minore è andata a vivere con un’amica, e la madre inizialmente restia a causa della educazione cattolica ricevuta , è ora una delle sue sostenitrici piu accanite ed è in giro per gli Stati Uniti a promuovere il film.
Le animazioni e la musica sono state la parte piu costosa del video per il resto interamente realizzato e prodotto dall’autrice, che ha preferito evitare di chiedere una sovvenzione allo stato volendo che il film conservasse l’aspetto di un lavoro originato e rivolto principalmente al movimento LGBT.
Nel futuro la regista dice di voler realizzare una serie di cortometraggi ed un videoclip, ma ha in mente anche un grosso progetto sul tema della trans-fobia, ovvero tutti quei sentimenti negativi che lei stessa aveva interiorizzato e che le hanno impedito di vivere serenamente fino all’eta di 23 anni, quando ha cominciato la transizione.
A Vancouver le cose sono molto facili perche la mentalità della gente è molto aperta , ma non è cosi in tutto il Canada, questa è la ragione che l’ha spinta a realizzare questo video: l’obbiettivo era quello di abbattere tutte le barriere, di non classificare la gente per il proprio orientamento ma di accettare tutti per come sono, per ognuno deve esistere la libertà di esprimersi.
A chi le chiede come mai abbia scelto il nome Gwen , l’autrice risponde sorridendo che tre erano i nomi che le erano sempre piaciuto: Gwen, Tara e Morgan; Gwen e Tara li ha scelti per se stessa.
Morgan lo ha usato per battezzare il suo scooter. Voto al film 8; alla regista 10.

Abbiamo proseguito la serata (saltando il pranzo serale dopo un tentativo miseramente fallito di avvicinarci al banco del buffet messo a disposizione dal festival) con la visione di “Bramadero”, un porno d’autore di Julian Hernandez (autore del bellissimo “El cielo dividido”) che mostra per 22 minuti l’incontro sessuale (completo) tra due prestanti giovani e vogliosi messicani, una breve parabola sul desiderio e l’amore portati all’estremo. Voto 8

Dulcis in fondo, possiamo dirlo senza retorica, la visione del bellissimo film di Jacques Nolot “Avant que j’oublie”, film fuori concorso perchè già presentato al festival Gender Bender di Bologna. Il film è il ritratto poco consolatorio di una generazione di sessant’enni gay parigini che trascorrono il loro tempo tra rimpianti di gioventù, sedute psicanalitiche, pensieri suicidi e incontri sessuali mercenari. Ciò che colpisce nel film è la capacità del regista di presentarci senza pregiudizi morali una serie di personaggi altamente umani, capaci di convivere con le loro miserie, fallimenti, abbandoni e malattie (il protagonista festeggia il 25mo della sua sieropositività). Voto 9

Patrick Carpentier
Damien Manivel
Christophe Chemin
Sultan
Jim Verburg
Pascal Vincente
Benedict Campbell
Benedict Campbell e Gloria U.Y. Kim
Gwen Haworth
Gwen Haworth

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