"MY FAIR SON" DI CUI ZI'EN ALLA FESTA DI ROMA 2007

Ultimo film del regista e attivista gay cinese, Cui Zi’en, omaggiato quest’anno al Festival LGBT di Torino. Il film racconta del rapporto di un giovane disinibito omosessuale della borghesia cinese col padre incapace di comprenderlo.

Alla Festa del cinema di Roma (18-27 ottobre 2007) l’ultimo film del regista gay cinese Cui Zi’en (foto sopra). Il titolo inglese è “My Fair Son” e viene presentato nella sezione Extra. Il film è realizzato con pochi mezzi e badget limitato, secondo lo stile tipico di questo regista che cura più la sostanza che l’apparenza. La storia racconta di un giovane omosessuale, nella Cina di oggi, e dei rapporti con un padre, borghese di sensibile agiatezza, diviso tra il dolore e l’affetto, la rabbia e la protezione. Alla vita randagia e irregolare del figlio e dei suoi partner, l’uomo oppone un dolore sordo e incapace di reagire: soprattutto quando il suo più fidato assistente diventa compagno del figlio. Uno studio familiare, nella Cina di oggi, dotato di intimità e tenerezza che non sembrerebbero possibili in una confezione semidocumentaria e in una produzione così elementare. (RomeFest)

Cui Zi’en è stato membro della giuria del Festival gay di Torino 2007 che gli ha dedicato una breve retrospettiva. Regista, sceneggiatore, romanziere (ha pubblicato nove romanzi di successo) e attivista queer, è riconosciuto come figura di spicco della cultura underground cinese e asiatica per il suo impegno a favore dei diritti delle comunità gay e per le sue opere cinematografiche (pellicole digitali a basso costo), esempi di un cinema d’avanguardia apprezzati internazionalmente per lo stile unico e l’originalità.

Cui Zi’en è stato anche lo sceneggiatore di “Nannan nünü” del 1999, il primo film cinese che presenta gli omosessuali come persone normali che vivono una vita normale. In merito a questo film Cui Zi’en dichiarò di avere “voluto mostrare la vita quotidiana degli omosessuali suggerendo che ogni persona può avere un lato omosessuale”. Il film tiene conto dei rapidi cambiamenti che stanno avvenendo in Cina, dove diversi stili di vita coesistono. In questa situazione è sempre più sottile la linea di demarcazione tra i ruoli sessuali maschili e femminili. Dice ancora Cui Zi’en che “incoraggiare le persone a pensare in questi termini può essere più efficace che sventolare bandiere”.
Prima di questo film in Cina gli omosessuali erano stati presentati, al meglio, come vittime. Vedi “Addio mia concubina” di Chen Kaige dove l’attore dell’Opera di Pechino è condannato ad essere il trastullo sessuale di un lussurioso mandarino. Oppure, come accade in ” East Palace, West Palace” di Zhang Yuan, dove assistiamo al confronto tra un gay dichiarato e il poliziotto che lo ha arrestato in un parco di battuage, con l’encomiabile tentativo di rendere esplicita la problematica gay.

Cui Zi’en ha dichiarato in diverse interviste che pensa alla sua omosessualità “come ad una sorgente di creatività” e che ritiene molto utile in Cina la sua visibilità come gay. In Cina solo dall’aprile 2001 l’Associazione degli Psichiatri ha rimosso l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, ma, dice Cui Zi’en, “essa viene ancora considerata come un disordine psicologico e alcuni dottori sono ancora convinti che si possa curare. E’ molto importante che i media, come cinema, tv e stampa, inizino a parlare dell’omosessualità in termini di normalità, così da influire sulla pubblica opinione ancora molto omofoba”. Dopo una sua apparizione in un dibattito tv, Cui Zi’en ha detto di avere ricevuto molte chiamate da delle madri che fino a quel momento avevano pensato agli omosessuali come a persone pervertite o squilibrate.

Il sito ufficiale della Festa del Cinema di Roma

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