I PRIMI TITOLI DI VENEZIA 64

I frati di Marghera non vogliono i film gay della Mostra. I critici esultano per Ang Lee e per gli interpreti di “Sleuth” di K. Branagh (in gara per il Queer Lion)

Dobbiamo ringraziare i frati di Marghera se oggi finalmente possiamo trovare qualche minuscolo trafiletto che parli del Queer Lion sui nostri media. Sembra esserci una congiura del silenzio su questo premio assegnato dai gay ad un film gay tra tutti quelli presenti alla 64ma Mostra veneziana, conquista e novità di questa bellissima edizione. Non dobbiamo comunque meravigliarci troppo perchè proprio in questi giorni le pagine dei quotidiani sono invece piene delle cronache relative al “muro antigay” che il sindaco leghista di Thiene (dopo il caso simile del prosindaco Gentilini) vuole erigere per nascondere alla vista un parcheggio dell’autostrada frequentato da omosessuali, ottenendo lo scopo di additare in maniera negativa alla pubblica opinione un intero gruppo di persone. Che sarebbero appunto i gay, una categoria che fa paura o che deve fare paura, anche solo a nominarla. Come sembra accadere alla Mostra veneziana.
Ringraziavamo dunque per la pubblicità i frati di Mestre che, in ottemperanza ad una dottrina omofoba, hanno dichiarato che chiuderanno la sala Aurora di Mestre, che proietta alcuni titoli della Mostra, se tra questi ci saranno quelli in gara per il Queer Lion. Li ringraziamo anche perchè hanno dimostrato di essere fedeli visitatori dei siti gay (gli unici che parlano di questo premio).

Ma veniamo all’edizione in corso della Mostra veneziana che continua a raccogliere elogi da tutto il mondo sia per il programma che per l’organizzazione. La serata inaugurale è andata benissimo, nonostante qualche polemica sulla madrina, la nostra amatissima Ambra, che è invece stata perfetta e che ci ha regalato due divertenti citazioni di autori gay (“Ma che ci faccio io qui” dal libro dello scrittore gay Chatwin e “Cosa ho fatto per meritarmi questo?” dal film di Almodovar).

Accolti molto bene dal pubblico veneziano anche Ozpetek (membro della Giuria principale), nonostante che sul tappeto rosso fosse l’unico senza cravatta e camicia aperta, così come Rupert Everett (già a venezia nel 1987 per Gli occhiali d’oro di Giuliano Montaldo), membro della Giuria per il Leone del Futuro – Premio Luigi De Laurentiis (Opera Prima), richiestissimo per gli autografi, e in modo più discreto, il nostro grande Gregg Araki, presidente della Giuria Orizzonti.

Tra i film finora presentati abbiamo “Lust, Caution” di Ang Lee, un film etero al 100% che è comunque riuscito ancora a stupire tutti con un’opera altamente erotica che indaga i confini tra desiderio e amore, con scene quasi hard che vogliono indirettamente denunciare la ritrosia che il cinema ha sempre avuto nel mostrare la sessualità e le sue problematiche. I critici lo hanno applaudito lungamente con pochissime eccezioni. Molto interessanti le dichiarazioni rilasciate da Ang Lee, che ha già visto inserire dagli americani il suo film tra quelli pornografici ed ha replicato: “Gli americani vedono la violenza nei film come una cosa del tutto normale, ma hanno nei confronti del sesso un’opinione opposta. Posso capirne le motivazioni, ma non le condivido. Quanto al tipo di sessualità, ognuno è libero di praticare quella che più gli piace. Qui mi interessava esplorare gli elementi ambigui che stanno dietro un rapporto di desiderio e di diffidenza, la paura di essere tradito, la voglia di credere in qualcuno…”. A noi il film è sembrato altamente lirico e coinvolgente, nonostante la difficile tematica.

Altro titolo da noi attesissimo, in gara anche per il Queer Lion, è stato “Sleuth” di K. Branagh, tutto basato sull’istrionismo di due superbi attori, Michael Caine e Jude Law. Il film dovrebbe essere il remake dell’omonimo film di Mankiewicz del 1972, ma in realtà, grazie alla sceneggiatura di H. Pinter, è diventato quasi completamente un’altra cosa. Nell’originale ad esempio la tematica gay era quasi completamente assente, si poteva solo chiaramente capire che nessuno dei due protagonisti era veramente interessato alla donna che apparentemente si contendevano. Qui il duello tra i due uomini diventa più sofisticato e psicologico e l’implicazione omosessuale del loro rapporto emerge chiaramente fino al punto di diventare un’arma decisiva e fatale del loro scontro. La mano di Pinter è evidente e l’aiuto in questo senso dato dalla sconvolgente bellezza di Law è altrettanto essenziale (Law ha voluto tenacemente questo film, fino al punto da produrlo lui stesso). Il risultato è un film molto accattivante, per niente teatrale, nonostante sia girato tutto in un appartamento, che ha il suo massimo punto di forza (ma anche di debolezza) nelle interpretazioni dei due eccelsi protagonisti.

Riportiamo alcuni brani dalle recensioni al film sui quotidiani di oggi.

«È uno scontro sensuale tra due uomini forti e intelligenti, un conflitto primordiale in cui sono in gioco forze primitive, in netto contrasto con l’ambiente ultratecnologico e sofisticato che li circonda. Se riduciamo all’osso è lo scontro eterno, atavico che si crea tra uomini e donne, uomini e sesso, uomini e passione. Dai classici a oggi, non ci siamo molto evoluti» (K. Branagh)

… Ogni arma è buona, anche la seduzione che, con reciproca ambiguità, i due uomini usano uno contro l´altro: una carezza, uno sguardo, un invitare a letto, un´offerta di vita in comune, di viaggi, di gran vita. Loro due, soli, senza un´intrusa donna; ma il conflitto, come la maggior parte dei conflitti, non conosce la pace e non potrà finire se non con un vincitore, un vinto… (Natalia Aspesi – La Repubblica)

…in realtà, fra i due uomini si instaura un tortuoso gioco di reciproca seduzione che nel finale ­ la parte meno convincente ­ acquista addirittura venature gay. È abbastanza sterile stabilire una graduatoria fra i due film: quello di Mankiewicz rimane un capolavoro, questo è un brillante esercizio di stile al quale Branagh, Pinter, Caine e Law contribuiscono esattamente al 20% ciascuno… (Alberto Crespi – L’Unità)

… Lo scontro maschio tra due rivali d’amore, al centro del film, ha ad un certo punto un inatteso e assai di moda risvolto gay quando nel corso della sfida una sottile tensione omosessuale, prima del finale tragico sembra far prendere alla storia un’altra strada… (Il Tirreno)

… si avvertono tensioni gay, vittorie e sconfitte di ciascuno si alternano, la lotta di classe non c’è perchè entrambi sono intelligenti, spiritosi, eleganti, e si può anche ridere. I protagonisti recitano in uno stile classico convenzionale perfetto, con il fascino d’una bravura persino eccessiva: sono entusiasmanti, bravissimi. Il film lungo ha qualche momento di stasi o di confusione ma è appassionante… (Lietta Tornabuoni – La Stampa)

…. il film vive di sorprese continue frutto del testo – le battute sono fulmini – che Pinter concentra con abilità magistrale. Dentro c’è tanta ironia (con battute sugli italiani e il loro scarso rapporto con la cultura) e una capacità di indagare i meandri dell’ambiguità umana: psicologica e sessuale. La lotta fra i due uomini è quella del possesso, della crudeltà come arma per innescare reazioni nell’altro, della sopraffazione: tutti temi pinteriani ai quali Branagh serve una regia molto cinematografica e poco teatrale… (Sergio Naitza – L’Unione Sarda)

… i due attori sono bravissimi e non fanno rimpiangere gli originali. Dove invece il meccanismo si inceppa è nella nuova riduzione firmata Harold Pinter, che dilata il finale rendendo troppo esplicita la sotterranea tensione omoerotica che si instaura tra i due. Oltre a sottolineare lo sprezzante maschilismo di entrambi nei confronti della donna contesa… (Paolo Mereghetti – Corriere della sera)

…. Jude Law e Michael Caine (che fa Laurence Olivier, mentre da giovane aveva interpretato il personaggio di Jude Law), si fanno prendere troppo dal narcisismo e dai mille toni e sfumature dell’espressività che loro sanno così ben dosare fino allo stucchevole, abbandonandosi al piacere del guitto e di chi ce l’ha più lunga (la lingua). Niente di male, ma qui Pinter a forza di scherzare, strizzare l’occhio, banalizzare e semplificare, sembra voler fare Shreck 4, e quel che è peggio, riuscendoci. Calibrando l’iniziale farsa, che poi sfocia nel dramma, e poi si impantana nella palude di un melodramma gay troppo prevedibile e scontato… (Roberto Silvestri – Il Manifesto)


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