QUALCUNO CHIEDA SCUSA A MATTEO E AI SUOI GENITORI!

Forse sta tutto qui il senso dell’ ”imbecilli” rivolto da Vattimo a quella parte dei ragazzi della Consulta …

Bene, chi è “debole è sensibile” che si ammazzi pure… così recita il documento dell’archiviazione del “caso” del giovane Matteo suicidatosi perché non reggeva più gli “scherzi da ragazzi” che da tempo subiva dai suoi compagni di scuola…
Adesso Luca Robotti, segretario regionale del Pdci, manderà a dire al povero Matteo di chiedere scusa ai suoi ex compagni per essersi ammazzato? Può farlo tranquillamente, tanto non riceverà replica!
Forse sta tutto qui il senso dell’ ”imbecilli” rivolto da Vattimo a quella parte dei ragazzi della Consulta degli studenti che hanno cantato vittoria per il mancato contributo al Festival del cinema gay. A loro sicuramente farà piacere il “regalo” che gli ha fatto Matteo; pertanto io ho deciso di rifiutare il loro annunciato regalo (il libro di Mishima); quanto è successo a Matteo in questo momento mi porta a non concedere spazi. Non posso accettare di avere queste notizie nel 2007, ricordiamo che era il il 1980 quando due ragazzi di Giarre furono “suicidati” dal pregiudizio e dall’intolleranza. Quanti silenzi si continuano ad ascoltare, l’urlo più efficace è solo per dire che i DICO sono un pericolo per incentivare pedofilia e incesto: forse sono queste parole a incentivare i “suicidi”?

Giovanni Minerba
Festival Director

Da Sodoma a Hollywood
Torino GLBT Film Festival (19/26 Aprile)
Corso Principe Oddone, 3 – 10144 TORINO
ph. +39 011 534888 – Fax +39 011 535796
cell.: 39 338 5341812
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COMUNICATO STAMPA ARCIGAY

Bologna, 05 aprile 2007

SEDICENNE SUICIDA; ARCIGAY, INDIGNATI PER RETICENZA DEI TG RAI

“ERA DERISO PERCHE’ RITENUTO GAY, NON PERCHE’ FOSSE IL PIU’ BRAVO”

“Siamo indignati per la reticenza sul bullismo anti-gay in cui i telegiornali Rai si sono espressi oggi nel trattare il caso del sedicenne di Torino suicidatosi perché i compagni di scuola lo deridevano dicendo che era gay ed effeminato”. L’accusa è del presidente nazionale di Arcigay, Sergio Lo Giudice.

“Anche di fronte ad un caso così eclatante in cui la mamma trova il coraggio e la forza di parlare apertamente e raccontare le confidenze del figlio, quello che emerge dai servizi giornalistici dei tg della televisione pubblica è che il povero studente era vessato dai compagni di classe perché era il più bravo e che forse per questo (sic!) gli dicevano che era gay. Quali acrobazie per negare che ci sono ragazzi effeminati o che vengono percepiti come omosessuali, e che per questo, non per altro, vengono perseguitati e tormentati tra i banchi di scuola, spesso nell’incomprensione o nell’indifferenza degli adulti.

“L’ipocrisia della ricostruzione dei telegiornali di oggi è la stessa che impedisce in tante scuole italiane di parlare apertamente del pregiudizio e del bullismo anti-gay e fa sì che tanti, troppi ragazzi e ragazze continuino a soffrire nel silenzio generale di cui, l’abbiamo visto a Torino, si può anche morire”.

Ufficio stampa Arcigay


Il filosofo torinese: tra i ragazzi il bullismo antiomosex è a livelli preoccupanti

Vattimo: “In Italia omofobia aberrante”

TORINO – Professor Vattimo, che cosa insegna il suicidio di Matteo?
«Che l´omofobia italica è aberrante. Forse si sentiva in colpa per il fatto di essere gay e magari pensava di essere anche pedofilo e incestuoso, come dicono i cardinali e i vescovi. Ce n´è abbastanza per farsi schiacciare dal senso di colpa».
E´ stato schiacciato dalla sessuofobia dominante o dal fatto di essere considerato diverso perché il primo della classe?
«Può anche accadere che le due cose coincidano. E che un ragazzo diventi il primo della classe perché si rifugia nei libri dopo essere stato isolato dai compagni di scuola. In ogni caso va denunciato questo clima da caccia alle streghe che si respira in Italia. Gli episodi preoccupanti si succedono con preoccupante frequenza».
A quali altri episodi si riferisce?
«Nei giorni scorsi la consulta degli studenti di Torino ha bocciato il finanziamento per una rassegna di cinema gay. Ho detto che sono degli imbecilli e lo confermo. Ora mi domandano di chiedergli scusa. Vadano loro a chiedere scusa alla madre di Matteo».
La discriminazione in Italia è più forte che altrove?
«Non conosco a sufficienza la situazione negli altri paesi europei. Constato che la crociata contro i gay trova uniti in un unico esercito i cattolici e gli islamici. E che tra i nostri ragazzi il bullismo omofobo ha raggiunto livelli davvero preoccupanti».
(p.g.)

da La Stampa del 6/4/2007


Storia di Matteo: «Sei gay». E lui s’ammazza

Lo scherno dei compagni di scuola. La madre: «La preside sapeva, nessuno ha fatto nulla»
In tanti come lui: il 35% dei casi di bullismo sono di omofobia. Fioroni: dobbiamo interrogarci

di Anna Tarquini

«MI CHIAMAVANO frocio, mi chiamavano checca… Mi chiamo Marco F., ho 18 anni, e voglio vuotare il sacco, per la prima volta…». Il sito di «gaynews» come quello di «gay help line» in queste ore sono tempestati di telefonate. Il suicidio di Matteo che a sedici anni ha deciso di volare dal quarto piano perché a scuola lo prendevano in giro almeno non è passato invano. Ognuno vuole raccontare, ognuno si vuole sfogare. Ognuno ha una storia e quella storia è una finestra su un mondo che si riteneva fino a questo momento estraneo alla nostra cultura e invece no, nella nostra scuola appaiono segnali preoccupanti, e il bullismo si accompagna spesso all’omofobia. Lo spiegano bene i sondaggi messi oggi in rete: il 35% delle denunce per bullismo sono episodi di razzismo contro i gay; a più del 10% degli studenti capita spesso o continuamente di vedere un ragazzo deriso, offeso e aggredito a scuola perché è o sembra un omosessuale. I professori non se ne accorgono, o non riescono a riconoscere i, problema, come la preside del liceo di Trento dove Matteo studiava. «Io sapevo tutto – ha denunciato ieri sua madre – . E anche la scuola sapeva, ero andata a parlarne con la preside».
Adesso tutti ne parlano e hanno qualcosa da dire, di cui scandalizzarsi. E il ministro Fioroni dice: «Provo un dolore profondo come uomo e come padre, prima che come ministro. La morte di Matteo ci interroga tutti, giovani, adulti, educatori, politici, società civile. La scuola dovrebbe essere un luogo dove è possibile la trasmissione di valori. Primo fra tutti il rispetto di sè e degli altri». Matteo ha lasciato una lettera che spiega qualcosa usando un linguaggio – dicono ora gli inquirenti – tipicamente scanzonato come hanno gli adolescenti. A scuola i compagni gli ripetevano di continuo: «Sei come Jonathan. Ti piacciono i ragazzi, sei gay… ». E giù battute e parolacce. Le testimonianze sul sito di gaynews – testimonianze di altri – scoprono questo mondo fatto di insulti tra i banchi: «…ero considerato troppo dolce per il mio disamore verso il calcio (per loro era impossibile che non mi piacesse), per il fatto che non mi lasciassi coinvolgere nelle loro stupide iniziative o giochi, a scherzi e improperi, fino a tentativi di denudarmi in pubblico per accertarsi della mia sessualità…». Ecco cosa accadeva a Matteo ogni giorno. L’altro ieri forse era stata anche una giornata come tutte le altre, ma un po’ diversa dalle altre. Era tornato a casa, la sua bella casa in un quartiere residenziale di Torino, stanco e un po’ triste. Si è messo subito a letto a dormire e il giorno dopo a chiesto alla mamma di poter rimanere a casa e non andare a scuola. Quando è rimasto solo si è affacciato alla finestra del quarto piano ed è volato giù, semplicemente. «I problemi — racconta ora la mamma tra le lacrime — sono cominciati più di un anno fa, in prima superiore. Mio figlio era dolce, sensibile, non alzava mai la voce, non partecipava a certi giochi e non litigava con nessuno. I compagni l’hanno preso di mira, ce l’avevano con Jonathan, quello del Grande Fratello. Era un modo per dirgli che era gay, poi aggiungevano altre cose… ». Già, c’è anche il sospetto che oltre all’omofobia ci sia anche un problema di razzismo: Matteo era scuro, figlio di un italiano e di una filippina.
Ora piovono le accuse. Sergio Lo Giudice, presidente nazionale dell’Arcigay, accusa i tg Rai: «Quello che emerge dai servizi giornalistici della tv pubblica è che il povero studente era vessato dai compagni di classe perchè era il più bravo e che forse per questo (sic!) gli dicevano che era gay. Quali acrobazie per negare che ci sono ragazzi percepiti come omosessuali e che per questo vengono perseguitati e tormentati tra i banchi di scuola». Wladimir Luxuria incalza Fioroni: «Il ministro forse se ne dovrebbe occupare…». Il deputato dei ds Grillini e il senatore dei verdi Giampaolo Silvestri hanno presentato un’interrogazione urgente a Fioroni sulle violenze antigay nelle scuole. Che dilaga. Giusto pochi giorni fa, all’Aristofane di Roma, gli studenti hanno trovato una scritta sui muri: «Via le lesbiche dalla scuola». I professori non se ne accorgono, i presidi negano. Il caso di Matteo era stato denunciato già un anno fa: «La signora ci ha parlato di questi problemi già nell’inverno dell’anno scolastico 2005-2006 – ha detto ieri un’insegnate -. Ha avuto un lungo colloquio con noi, al quale sono seguiti rimproveri da parte nostra ai compagni che avevano schernito Matteo». E poi ha aggiunto: «Matteo andava bene a scuola, aveva 7 e 8 in tutte le materie e 10 in condotta. Pensandoci oggi, la sua sensibilità poteva anche nascondere una grande fragilità… ».

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Se li facciamo sentire «contro natura»

di Delia Vaccarello

L’omofobia è una lunga mano che riesce ad armare le sue vittime convincendole a togliersi di mezzo. Marco subiva violenza da oltre un anno. «Sei gay, sei come Jonathan». Aveva 16 anni, ottimi voti, un carattere sensibile. Fuggiva le liti. Martedì si è inflitto una coltellata in pieno petto e poi si è buttato dal quarto piano di una palazzina residenziale. Ha perseguito il progetto di suicidarsi con estrema determinazione. Il gesto di Marco è un dito puntato contro chi affronta in modo strumentale la questione gay. Per provare a interpretare la disperazione di Marco occorre parlare di adolescenza, di bullismo antigay e dei reiterati attacchi delle gerarchie ecclesiastiche e di alcuni politici.
In adolescenza, età delle incertezze, è fortissimo il bisogno di essere “compresi da dentro”. Non plagiati, né abbandonati. Ma ascoltati da orecchie attente e discrete. I ragazzi che riescono a esprimere il disagio oggi lamentano due tipi di adulto: l’adulto che vuole “clonarli” e l’adulto che volta loro le spalle quando ci sono in ballo le emozioni e sceglie la rigidità. I ragazzi non si sentono “percepiti” dallo sguardo dei “vecchi” di cui hanno bisogno per cogliere se stessi. La conseguenza è che spesso non si ritengono titolari di ciò che provano, né responsabili delle proprie azioni. È come se la loro immagine fosse divisa in tanti “me stesso” che difficilmente diventeranno un io armonico. La violenza contro i gay diventa una forma di aggressività messa in atto a volte senza percepirne il senso. È la violenza contro colui che è visto come “debole” e che per questo fa paura (e Marco era “debole” anche per la storia di immigrazione alle sue spalle). Se i ragazzi non sono educati a entrare in contatto con le proprie emozioni compresa la fragilità, cercano di sterminare il compagno “debole” per differenziarsi da lui e proclamarsi forti. Il ragazzo perseguitato perché gay non si sente in diritto di vivere. In primo luogo perché negare le emozioni di chiunque è come dire: «Tu non esisti». In secondo luogo perché i compagni inquietati dall’immagine del “diverso” che pone loro conflitti non sostenibili gli dicono: «Tu non devi esistere». Marco si è suicidato con determinazione, eppure era “dolce e sensibile”. Ma è stato efferato con se stesso perché la sua mano era diventata ormai quella di un burattino che il gruppo terrorizzato dall’omosessualità vista come debolezza muoveva a suo piacimento.
Le scuole italiane traboccano di questi fenomeni. In una delle classi dove promuovo attività anti-omofobiche, un ragazzo commentando il racconto di un coetaneo che aveva sognato di essere baciato da un amico è sbottato: «Io non faccio di questi sogni». Il terrore dell’omosessualità gli ha fatto prendere le distanze persino dal mondo onirico. Oggi questo terrore non viene lenito nei giovani né da una forma di educazione sapiente, sempre più necessaria, né da una immagine dei gay rispettosa. Gli omosessuali sono spesso nell’immaginario collettivo figure di poco peso, eppure oggetto di condanna. L’atteggiamento di chi oggi li definisce “contro natura” solo perché chiedono diritti semina disperazione. I compagni di Marco hanno percepito che l’omosessuale è un bersaglio anche di molti adulti considerati autorevoli. Dovevano controllare la loro aggressività, ma neanche i grandi lo fanno.

da L’Unità del 6/4/2007

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