DAL 10 MARZO LA 25MA EDIZIONE DEL BERGAMO FILM MEETING

Che presenta una sezione sul cinema arrabbiato inglese, a partire dal Free Cinema, ricca di importanti e storici film a tematica omosessuale

Inizia dopodomani la 25^ edizione del Bergamo film Meeting (10-18 marzo 2007), nato nel 1983 con “lo scopo di favorire la conoscenza e la diffusione della cultura cinematografica sul territorio locale e nazionale”. Oltre alla Sezione Concorso, con nove anteprime, il pezzo forte del festival è la sezione intitolata “Ricorda con rabbia: cinema inglese dagli anni ’50 ad oggi” che presenta 25 capolavori della cinematografia britannica, partendo dal rivoluzionario “Free Cinema“, un movimento che ha visto insieme un gran numero di autori omosessuali e che praticamente ha dato i natali al cinema queer europeo.

Il “Free Cinema” inglese nasce ufficialmente, dopo la produzione di alcuni documentari negli anni ’50, con la società di produzione Woodfall, fondata nei primi anni ’60 da Tony Richardson (morto di Aids nel 1991) e John Osborne (entrambi omosessuali), che fanno della rabbia e della trasgressione la bandiera di questo nuovo cinema. E’ un cinema che denuncia l’ipocrisia e il conformismo della società inglese, che in quegli anni stava diventando sempre più razzista (leggi contro l’immigrazione) e moralista (crociate contro la prostituzione e l’omosessualità, quest’ultima punibile con i lavori forzati).

Il “Free Cinema” non sarà tecnicamente, cioè formalmente rivoluzionario come la Nouvelle Vague francese, ma a differenza di questa sarà molto più corrosivo e dissacrante nelle tematiche e nei personaggi presentati. Ad esempio la Nouvelle Vague non affronta mai le tematiche dell’omosessualità (solo in un film di Godard c’è un tenue riferimento) che invece saranno uno dei temi più cari ai registi del Free Cinema. Interessante notare come quasi tutti i film di questi registi inglesi ottennero, inaspettatamente, un grande successo di pubblico oltre che di critica, influendo notevolmente sulla cultura popolare di quel periodo. Nel 1957, dopo il Wolfenden Report, era iniziato in Inghilterra un fruttuoso dibattito sull’omosessualità (a cui il Free Cinema partecipa) che porterà, nel 1967, alla sua decriminalizzione.

Presentiamo brevemente alcuni importanti titoli a tematica della rassegna.

“Victim” (1961) di Basil Dearden, interpretato dall’attore gay Dirk Bogarde, è una pietra miliare del cinema queer in quanto per la prima volta viene presentato un omosessuale che si presenta e accetta come tale. Niente di stereotipato o di malefico nel personaggio che anzi è l’eroe del film.

“Taste of Honey” (1961) di Tony Richardson ci presenta per la prima volta, con simpatia e comprensione, un omosessuale della classe lavoratrice, effeminato, patetico nella sua semplicità, che ancora non osa definirsi ma nemmeno rinnegarsi. Alla fine del film è merito suo se madre e figlia si riappacificano e lui, anche se resterà solo, possiede la forza per sopportare e contrastare il rifuto e l’emarginazione sociale. I personaggi come lui, nei film precedenti finivano suicidi o assassinati o incarcerati. Il vero eroe del film è lui, un omosessuale meritevole di rispetto anche se non è esteriormente macho e “normale” (come quello di Victim).

“The Loneliness of the Long Distance Runner” (Gioventù amore e rabbia, 1962) di Tony Richardson è una lirica storia di ribellione giovanile in un’ambiente scolastico maschile, dove non c’è nulla di esplicitamente gay, ma dove si respira spesso un’atmosfera omoerotica.

“The Leather Boys” (1963) di Sidney J. Furie ci presenta come tema dominante del film una forte tensione omoerotica tra Pete (Dudley Sutton) e Reggie (Colin Campbell), dimostrata anche dall’assenza di interesse sessuale di Reggie verso la moglie Dot (Rita Tushingham) che a un certo punto del film li accuserà di essere “queer”, cosa che entrambi negano. Quando Pete e Reggie decidono di partire insieme per l’America, sarà nel bar della nave che Reggie capisce che Pete è veramente gay e lo abbandona uscendo da solo.

“The Servant” (Il servo, 1963) di Joseph Losey, basato su un racconto dello scrittore gay Robin Maugham, è la storia della relazione sadomasochista tra un aristocratico e il suo servo, che in pratica invertono i ruoli. Nel film non si parla di omosessualità ma è chiaro che il tutto non funzionerebbe senza una latente attrazione omoerotica.

“Withnail & I” (Shakespeare a colazione, 1987) di Bruce Robinson è una spiritosa e intelligente commedia che ci mostra la vita di due attori disoccupati (sono etero anche se in un pub vengono accusati di essere gay) che vanno a fare un idilliaco weekend in campagna a casa dello zio gay, che tenterà invano di sedurre l’amico del nipote.

“The Last of England” (1988) di Derek Jarman, uno dei film più affascinanti di Jarman, è un poetico insieme di frammenti che affrontano la distruzione fisica ed emotiva del nostro mondo conseguente alla devastazione thatcherriana e all’insensibilità dell’uomo. Il film è ricco di immagini omoerotiche.

“The Crying Game” (La moglie del soldato, 1992) di Neil Jordan, un thriller politico che sollevò grande scalpore anche per la stupenda rappresentazione del transessuale Jaye Davidson, nominato all’Oscar.

Riportiamo dal sito del festival la presentazione e i titoli della sezione

“RICORDA LA RABBIA: CINEMA INGLESE DAGLI ANNI ’50 A OGGI”

La protesta, l’indignazione, l’urlo percorrono il cinema inglese non solo nel suo più celebre periodo di rinnovamento ma, almeno, dagli anni ’30, dalla sperimentazione del documentarismo, fino a oggi – terzo millennio – quando solo in una delle cinematografie più disastrate d’Europa sembrano sopravvivere operai, disoccupati, homeless (ancora e sempre “arrabbiati”). Dai proverbiali anni ’50, con i primi cortometraggi di Anderson, Richardson e Reisz, ma anche con film di genere che affrontavano i temi più scottanti del dibattito pubblico, attraverso la parabola del free cinema fino alla decadenza del cinema nazionale e all’affermazione delle esplosive potenzialità della televisione, con i primi lavori di Loach e dei Monty Python. E ancora, nei decenni successivi – a partire dalla “Renaissance” dei primi anni ’80 – gli “urli” della working class e dei disadattati, più o meno rigorosi, più o meno alla moda, si susseguono (come testimoniano le pellicole di Frears, Jarman, Leigh, Boyle, Jordan, Boorman).
La retrospettiva, che rende conto della ‘rabbia’, della sensibilità “di classe” che connota il cinema inglese, si compone di più di 20 titoli. In collaborazione con British Film Institute, Londra.

I film:

O Dreamland (1953, 12′ ) di Lindsay Anderson
Momma Don’t Allow (1955, 22′ ) di Tony Richardson e Karel Reisz
Yield to the Night (Gli uomini condannano, 1956, 99′) di Jack Lee Thompson
Saturday Night and Sunday Morning (Sabato sera domenica mattina, 1960, 89′) di Karel Reisz
Victim (1961, 96′) di Basil Dearden
The Loneliness of the Long Distance Runner (Gioventù amore e rabbia, 1962, 104′) di Tony Richardson
Billy Liar (Billy il bugiardo, 1963, 98′) di John Schlesinger
The Leather Boys (1963, 108’) di Sidney J. Furie
The Servant (Il servo, 1963, 112′) di Joseph Losey
Tom Jones (id., 1963, 128′) di Tony Richardson
Cathy, Come Home (1966, 75’) di Ken Loach
Georgy Girl (Georgy, svegliati!, 1966, 98’) di Silvio Narizzano
Morgan, a Suitable Case for Treatment (Morgan matto da legare, 1966, 97′) di Karel Reisz
The Ruling Class (La classe dirigente, 1972, 154′) di Peter Medak
Monty Python’s The Meaning of Life (Monty Python Il senso della vita, 1983, 107′) di Terry Jones
Sammy and Rosie Get Laid (Sammy e Rosie vanno a letto, 1987, 101’) di Stephen Frears
Withnail & I (Shakespeare a colazione, 1987, 107′) di Bruce Robinson
High Hopes (Belle speranze, 1988, 112′) di Mike Leigh
The Last of England (1988, 87′) di Derek Jarman
The Crying Game (La moglie del soldato, 1992, 112′) di Neil Jordan
Raining Stones (Piovono Pietre, 1993, 90′) di Ken Loach
Brassed Off (Grazie, signora Thatcher, 1996, 107′) di Mark Herman
Trainspotting (id., 1996, 94′) di Danny Boyle
24 7: TwentyFourSeven (Ventiquattrosette, 1997, 96′) di Shane Meadows Orphans (id., 1997, 101’) di Peter Mullan
The General (1998, 124’) di John Boorman


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