Helmut Berger, Actor

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Helmut Berger, Actor

L’ultimo Dorian Gray del ‘900 incontra il suo ritratto e si fonde con esso, ma senza l’epica fine dell’originale letterario. Helmut Berger si mette a nudo (e non solo in senso metaforico) per come è oggi e per come è vissuto nel passato. Nella sezione Classici di Venezia 72 c’era molta attesa per verificare la reazione degli spettatori al documentario del pluripremiato cineasta austriaco Andreas Horvat dedicato all’attore oggi 70enne che fu feticcio d’arte e di letto di Luchino Visconti. Il pubblico veneziano ne è uscito totalmente impietrito. Perché ciò che emerge da quelle immagini non è certo una figura nobile o mitica, ma il suo esatto contrario. E non per il fatto che fin dalle prime inquadrature vediamo uno dei corpi più ammirati e desiderati dell’ultimo secolo malandato, abbruttito, imbolsito, lardoso e piagato da mille malattie, ma perché assistiamo in diretta alla autodistruzione psichica e interiore di una figura che grazie a film come “Ludwig” e “La caduta degli dei” ha segnato la storia del cinema e si è fissata nell’immaginario collettivo del pubblico non solo gay. Il documentario ha un inizio shock col primo piano delle sue natiche nude, flaccide e cadenti come l’interezza delle sue membra sfatte e subito tra l’attore che è a letto e il regista che lo riprende incomincia un gioco tra il burlesco e il professionale in cui Helmut si masturba a favore della macchina da presa senza arrivare a un’eiaculazione neppure simulata. A poco a poco si delinea la struttura del rapporto tra i due. Andreas Horvat è riuscito a convincere l’attore a descrivere come è diventato “un essere insopportabile per aver conosciuto solo persone insopportabili”, e a raccontargli la sua vita turbinosa e maledetta in una lunga serie di interviste realizzate nell’arco di vari anni, di certo dietro ricompensa economica, probabilmente facendo leva sulle comuni origini salisburghesi.
Per creare una cornice oggettiva il cineasta ambienta tutta la prima parte del filmato nell’appartamento in cui Berger vive attualmente, alla periferia di Salisburgo, un modesto bilocale più servizi. Più un magazzino in cui si abita che non una casa: nessun armadio, un caos indescrivibile, cimeli preziosi accatastati accanto a vecchi oggetti di pessimo gusto, l’arazzo indiano di una tigre e antiche icone bizantine alla parete, grappoli di peperoncini e altre erbe secche che pendono dal soffitto, ovunque foto del passato familiare e professionale (una con dedica è quella di Visconti). Non c’è più neppure la cucina portata via anni addietro e mai più sostituita per mancanza di denaro; ora c’è solo un fornello elettrico. A tentare di tenere un minimo d’ordine in tutta quella accozzaglia ci prova una sorta di governante che sistema quello che può e solo quando può, perché l’attore non la vuole tra i piedi quando lui è in casa e in casa ci sta quasi sempre. Soffre di depressione e di insonnia, passa le ore inebetito davanti allo schermo TV e non esce mai neanche a passeggiare perché odia i vicini e l’intero quartiere. E’ proprio questa governante a raccontare i piccoli fatti quotidiani dell’attore, il difficile rapporto con la madre che abitava nell’appartamento accanto (venduto da tempo per potersi sostentare), l’infanzia in un collegio religioso dove i sacerdoti l’hanno probabilmente avviato agli amori omosessuali. Da lei apprendiamo che ha perduto tutte le proprietà ereditate da Visconti, che non cucina mai piatti freschi e si limita a riscaldare cibi già pronti, che ogni tanto va a Praga non si sa per quali misteriosi motivi, mentre più volte dopo orge notturne con amici e compagni occasionali lei e il marito hanno dovuto pulire le tracce di sperma e altri meno nobili liquidi organici sparsi in tutta la casa, soffitti compresi. Berger non sa tenere nessun tipo di contabilità e di frequente ha avuto problemi di rifornimento di acqua, luce e gas per bollette non pagate per dimenticanza o per mancanza di liquidità. Anche con la bolletta del telefono, uno dei pochi mezzi di contatto col mondo esterno. Ben pochi amici lo chiamano, pochissimi gli squilli per impegni lavorativi. E soprattutto “è contornato solo da persone morte”, le foto intorno a lui parlano tutte solo del tempo andato e di persone oramai tutte defunte.
Che sentimenti può suscitare un tal individuo? Compassione, commiserazione, pietà? O rabbia, indignazione e rammarico? E’ la parte centrale del documentario a tentare una risposta. In gran parte girata a Saint Tropez nei giorni di festa di fine 2013. Qui Andreas Horvat e Helmut Berger erano andati con l’intenzione di realizzare buona parte delle interviste, e durante questo soggiorno emergono i tratti principali delle attuali caratteristiche caratteriali dell’attore. Esibizionista oltre ogni limite, “sono una star e lo sarò per sempre“, spavaldo “mi sono concesso a tutte le droghe senza rimanerne schiavo“, vanesio “fino a poco tempo fa non ne facevo meno di quattro al giorno, per lo più in gruppo“. Ma soprattutto emerge la sua totale solitudine umana, l’assoluto isolamento che lo spinge addirittura a dichiarare il proprio innamoramento (fatto di disperazione ed emarginazione) verso il regista (“Devo dirti una cosa importante: ti amo” “Lo vuoi un pompino? Se vuoi te lo faccio un pompino!“); per poi subito dopo respingerlo con rabbia e accusarlo di voler filmare la sua storia solo per vincere premi ai massimi festival cinematografici nel mondo. Reazioni bipolari, dall’esaltazione per il progetto assurdo di aprire in comune un ristorantino italiano in una località turistica austriaca al disprezzo per la mediocrità del lavoro svolto insieme (“Sei l’errore più grande della mia vita!“, “Come ho fatto io che ho lavorato coi registi e gli attori più importanti del mondo a mettermi con uno come te?“)… e intanto tra bizze istrioniche e narcisismi compiaciuti cade in totali apatie e assonnati torpori. Dall’altro lato intanto corrispondono pazienza, tolleranza, incitamenti e sfiancanti frustrazioni. Come in una storia d’amore, e come una storia d’amore consumato anche sessualmente il documentario trova via via uno sviluppo a due voci tra chi è davanti e chi dietro la macchina da presa. Così tra una recriminazione, un’accusa e una preghiera noi spettatori apprendiamo dalla voce di Berger anche inediti gossip a luci rosse dal cinema degli anni ’70 e ’80, come le pretese di Clare Peploe (“la moglie lesbica di Bertolucci“) durante le riprese di “Ultimo Tango” di portarsi a letto la 18enne Maria Schneider di cui si era follemente invaghita; oppure quando Berger parla della forma e delle dimensioni del pene di Burt Lancaster siamo autorizzati a dedurre rapporti intimi tra i due fuori dal set di “Gruppo di famiglia in un interno“. Le scene conclusive del documentario riportano a Salisburgo nella casa di Helmut, dove la governante può solo impegnarsi a frenare e ad assistere (impotente) al prolungarsi di un’autodistruzione perpetrata per volontà o per caso. E come chiusura ciclica Berger “il bel mostro” compie l’unico suo atto di generosità in tutto il filmato e regala al regista e agli spettatori l’atto completo (in primo piano) di una masturbazione portata fino all’eiaculazione con tanto di leccamento delle dita coperte di sperma. (Sandro Avanzo)

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2 commenti

  1. Preciso che non ho ancora visto il documentario e vorrei vederlo. Cio’ nonostante colgo l’occasione per ammettere a malincuore quanto mi dispiace che un uomo straordinariamente bello e carismatico come Helmut si sia ridotto in questo stato pietoso con le sue stesse mani, e non mi riferisco ad eventuali malattie contratte (ci mancherebbe!!!) quanto piu’ alla sua poca diplomazia professionale e umana che di fatto l’ hanno condotto sulla strada del declino. L’ho adorato in Ludwig (era di una classe folgorante), e non mi vergogno a dirlo, perche’ poi dovrei? di essere un estimatrice del leggero e fanciullesco: Mia Moglie E’ Una Strega. Eleonora Giorgi suscitava nella mia mente bambina le prime pulsioni erotiche verso le donne ed Helmut Berger era un meraviglioso Belzebu’ con i guanti nel quale adoravo identificarmi. Rimane a mio avviso colui che della sua fortuna avrebbe potuto fare miglior uso.

  2. A parte che il finale del docufilm del quale si parla non mi pare certo un bel regalo,anzi,Berger non ha lavorato solo in capolavori,ma anche in vere e proprie schifezze su pellicola,come,per citarne una ,”La belva col mitra” ,trasmessa su un canale periferico proprio l’ altro mese,lavoro in cui Helmut neanche mostrava di saper recitare.
    A parte l’ impresentabilità di tutto l’ insieme.
    Lasciamo poi stare la sua partecipazione al film con Pozzetto :”Mia moglie é una strega”,e quel film che si sa bene perchè lo si vede con piacere,cioè “Il dio chiamato Dorian”,che io non ho neanche nella mia videoteca (come gli altri prima citati).
    Io credo quasi fermamente che Berger fosse bravo solo quando lavorava con Luchino Visconti.
    Per quanto concerne la situazione attuale dell’ ex attore,ma da tanto ex,bene,io quasi mi stavo commuovendo nel leggere di una persona tanto sofferente.
    Certo,ci sono situazioni ben più disgraziate della sua -lui,almeno,verrà ricordato,é stato bello,ha avuto denaro-tuttavia…provo comprensione nei suoi confronti.
    Perchè,a pensarci bene,probabilmente é affetto da quel tipo di male del quale non si può dire il nome.
    Anche se il suo comportamento credo parli da sè.
    E oso anche dire che forse,se avesse vissuto un’ anonima esistenza di giovane ricercato da persone “comuni” ,avrebbe sofferto meno.

    Sono solo le mie opinioni.

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An intimate portrait of the legendary actor and former Luchino Visconti “muse” Helmut Berger, who – after decades of movie stardom and jet set extravaganza – has settled for a more secluded and modest lifestyle in his hometown Salzburg, Austria.

SINOSSI

A 18 anni Helmut Berger scappò dall’atmosfera claustrofobica che negli anni sessanta caratterizzava Salisburgo, la sua città natale. Il suo orizzonte era sempre stato più vasto, variopinto e misterioso di quello dei suoi concittadini. Tanta fortuna, ma anche talento e, ebbene sì, duro lavoro, lo fecero finire dritto fra le braccia di Luchino Visconti. Al culmine della sua celebrità e bellezza, Helmut Berger simboleggiava l’esuberante stile di vita mondano degli anni settanta. Avendo scelto Saint Tropez quale improbabile quartier generale, il jet set offriva regolarmente alla stampa storie frivole e scandalose, ed Helmut Berger era una delle fonti principali. Quando Visconti morì nel 1976, Berger non perse solo il suo regista più devoto e affezionato, ma anche un maestro, un amante e una figura paterna. La caduta era inevitabile. Il film, un ritratto intimo dell’anziano Helmut Berger, racconta il suo carattere brusco per quel che è veramente: una richiesta di attenzione, vicinanza e intimità. La radicalità e la spietatezza con cui l’uomo mette a nudo le sue emozioni e mette in mostra il suo corpo presentano analogie con il movimento dell’Azionismo viennese. E proprio come l’Azionismo, Berger usa la performance art come mezzo per esprimere il proprio disagio.
Commento del regista
Il titolo tedesco ufficiale del film di Visconti Gruppo di famiglia in un interno del 1974, in cui il giovane attore Berger impersona l’impetuoso rivoluzionario Konrad che porta il caos nella vita di un anziano professore, sembra quasi un motto della visione del mondo di Helmut Berger. Relazionarsi a Helmut Berger significa restare impigliati fra estremi opposti: arroganza e umiltà, grandiosità e ridicolo, vicinanza e distanza e, appunto, violenza e passione. Non che non fossi stato avvisato. Eppure volevo entrare nel mondo di Helmut Berger. Essere sconvolto da questo affascinante impostore, questo ammiccante, ancora profondamente sincero attore che non recita. (Venezia 72)

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