Ai confini del paradiso

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Ai confini del paradiso

Nonostante la contrarietà del figlio Nejat, Ali, un anziano turco che vive a Brema, decide di vivere con Yeter, una prostituta anch’essa turca che fa il mestiere per aiutare negli studi la figlia Ayten che vive a Istanbul. Ali causa accidentalmente la morte di Yeter e Nejat, che le si era affezionato, lascia il suo lavoro di docente e si reca in Turchia per cercare Ayten. La quale invece, ricercata perché appartenente a un gruppo antigovernativo accusato di terrorismo, ha raggiunto la Germania. Qui trova la solidarietà e l’amore di una studentessa, Lotte, la quale la segue nel suo ritorno da prigioniera in patria dandosi da fare per liberarla.

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Sito turco del film: www.yasaminkiyisinda.com

“Dopo ‘La sposa turca’, Fatih Akin torna alle identità divise e al gioco di specchi fra immigrati di prima e seconda generazione, ma ribalta il problema. (…) Solo a noi in platea è dato ricostruire questo puzzle di esistenze che Akin smonta e rimonta in un gioco di flashback un poco macchinoso che a tratti ricorda Kieslowski ma anche il (quasi) connazionale Edgar Reitz. Come se con questo ‘Auf der anderen Seite’, letteralmente ‘Dall’altra parte’, il regista turco-tedesco avesse voluto fare una specie di ‘Heimat’ per i senza-‘Heimat’, parlare della patria di chi non ha patria, oppure ne ha due, che per certi versi è quasi peggio, confrontando opzioni e culture, sentimenti e risentimenti. Con un gioco fin troppo scoperto però, che non coglie fino in fondo le promesse della prima parte, di gran lunga la migliore, quella dedicata ai rapporti fra il padre puttaniere e il figlio intellettuale e irrequieto. Per concentrarsi sul mondo femminile, che Akin tratteggia con generosità ma senza evitare un certo schematismo. Come sempre accade quando anziché vivere i personaggi sono chiamati a dimostrare qualcosa. E alla fine l’immagine che resta sono quelle due bare che passano dalla Germania alla Turchia, e poi dalla Turchia alla Germania. Un monito, e un invito a capire.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 24 maggio 2007)

“Gli andirivieni, geografici e temporali, sono incessanti, ma il film è di una limpidezza cristallina e conferma l’impressionante talento di Akin, un ragazzo di 33 anni che scrive con il polso fermo del narratore di razza. Il personaggio più toccante è affidato a Hanna Schygulla, l’attrice-simbolo di Fassbinder. E per Akin, turco nato in Germania, esistono due pietre angolari sulle quali sta costruendo la casa del suo cinema: il tedesco Rainer Werner Fassbinder e il turco Yilmaz Guney. Con due simili padri, Fatih andrà lontano.” (Alberto Crespi, ‘L’Unità’, 24 maggio 2007)

“Con la prima parte di ‘Auf anderen Seite’ (‘Dall’altra parte’) Fatih Akin poteva aspirare a un premio a Cannes, dove è stato presentato ieri. Ma, mettendo prostituzione, integralismo islamico, guerriglia curda, lesbismo studentesco nello stesso calderone, fa solo confusione. La trovata dei destini che si sfiorano, e a lungo non s’incontrano, tipica da festival, fa il resto. Hanna Schygulla è la madre tedesca, perplessa davanti al tragico amore della figlia (Patrycia Ziolkowska) per una velleitaria terrorista curda (Nurgul Yesilcay).” (Maurizio Cabona, ‘Il Giornale’, 24 maggio 2007)

“In ‘Auf der anderen Seite’ (‘Dall’altra parte’) diretto dal regista turco Fatih Akin, 34 anni, la bella sorpresa è una sola: ricompare Hanna Schygulla, un tempo così bella, sensuale e sfrontata, nella parte d’una composta signora borghese non giovane (adesso ha 64 anni), madre d’una ragazza inquieta. Ha sempre quella pelle luminosa alla tedesca, è sempre molto brava. Il film, un poco troppo fitto di episodi collocato tra Amburgo e Istanbul, mescola padri e figli, ragazze militanti politiche e la madre ospitale di una di loro, andirivieni tra Germania, Turchia, e relative carceri, matrigne e zie: nella famiglia allargata agli amici e ai complici, i bambini ladri di strada puntano la pistola, e uccidono. Fatih Akin ha sempre qualcosa di eccessivo, ma il film non è brutto.” (Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’, 24 maggio 2007)

“Piace al pubblico dei festivalieri anche ‘Auf Der Anderen Seite’ del turco-tedesco Faith Akin che, tra Brema e Istanbul, incrocia i destini di genitori e figli fra drammi privati e rivendicazioni politiche.” (Alessandra De Luca, ‘Avvenire’, 24 maggio 2007)

“Solido e serrato, anche se scontato, il melodramma di Fatih Akin ‘The Edge of Heaven’, incentrato sulle peripezie politiche e amorose tra la Germania e la Turchia di giovani ribelli interpretati da eccellenti attori.” (Valerio Caprara, ‘Il Mattino’, 24 maggio 2007)

“Su un altro versante, più apertamente romanzesco e più sensibile alle passioni e ai sentimenti umani, si pone invece il turco tedesco Fatih Akin con ‘Auf der Anderei Seite’ (‘Dall’altro lato’). (…) Vedendo il film si capisce che al regista stanno a cuore tutti i personaggi, e che sono loro che -comandano la regia e non viceversa. Eppure non per questo Akin rinuncia a una sua chiave d’autore. Il continuo gioco di attese e di rimandi tra le due storie e il loro non portare mai a una riconciliazione sentimentale e narrativa esplicita sono l’evidente metafora dei rapporti tra Turchia ed Europa, spesso in cerca di un’attrazione e spesso in linea di collisione. Dimostrando cosi che si può essere un buon regista senza necessariamente dover cancellare le esigenze della narrazione e quelle dell’apertura sul reale.” (Paolo Mereghetti, ‘Il Corriere della Sera’, 24 maggio 2007)

“Il copione, che non ha unità di tempo, ma salta avanti e indietro, è un po’aggiustato con lo scotch. E il film mette davvero troppa carne al fuoco, difetto esiziale quando un progetto è co-prodotto anche da una tv e da vari fondi regionali e federali tedeschi. Nella realtà sono i poliziotti inglesi che sparano freddamente ai brasiliani innocenti nella metropolitana, mentre qui solo i turchi uccidono, mentre le prigioni tedesche espellono i condannati per omicidio (anche se colposo) anche senza indulto, le pistole sono maneggiate solo dagli extracomunitari di ogni età e sesso e il trattamento dei prigionieri è da hotel a cinque stelle.. ..orrori, sverginamenti impacciati, dolcezze e voyeurismi.” (Roberto Silvestri, ‘Il Manifesto’, 24 maggio 2007)

“Scandito dalle morti assurde e violente di due donne (una turca, una tedesca, entrambe in terra straniera), il film è articolato sul rapporto tra padri e figli e madri e figlie, tutti alla ricerca di una riconciliazione dopo la necessaria seppur traumatica frattura, ma non mancano precisi riferimenti all’attualità politica, come nel caso della questione curda, i rischi dell’integralismo religioso e i diritti civili in Turchia. La trama è piuttosto intricata, e infatti nel generale plauso per la sceneggiatura non sono infatti mancate critiche da una piccola parte della stampa di lingua inglese per l’accumularsi di avvenimenti, tuttavia Akin rivendica orgogliosamente di non aver ceduto ad alcun compromesso e aver raccontato esattamente le tematiche che gli stavano a cuore.” (Giovannella Rendi, Cineuropa.org)

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