• G. Mangiarotti

The Iron Lady

Phyllida Lloyd è una regista lesbica, onorata come tale nel 2010 dal quotidiano britannico The Independent che l’ha inserita al 22mo posto della sua classifica annuale delle persone omosessuali più influenti nel Regno Unito. Dopo anni di successi nel teatro e nell’opera e dopo un film tv, esordisce nel 2008 al cinema con “Mamma Mia!“, riuscendo a inserire nel film, di grande budget, anche un personaggio omosessuale (interpretato da Colin Firth). Il film detiene a tutt’oggi il maggior incasso di tutti i tempi di un film britannico (anche per l’edizione in dvd).
In “The Iron Lady“, suo secondo film mainstream, sembra fatto apposta per onorare Meryl Streep, già protagonista del suo primo film, ed attrice amatissima dal pubblico omosessuale. Questa volta però il film non ha incontrato lo stesso successo, almeno in patria, sicuramente perchè il tema del film, la biografia di Margaret Thatcher, prima donna a coprire la carica di capo del governo in un paese occidentale, è ancora troppo fresco e condizionato dalle appartenenze politiche degli spettatori. La sinistra accusa il film di essere un’agiografia più che una biografia della Thatcher, mentre la destra ha ritenuto che il personaggio, presentato anche nella sua malattia senile non sia stato rispettato abbastanza.

A nostro parere qualche ragione in più l’ha la sinistra, perchè il film, già alla sua partenza, con l’immagine di una donna anziana e barcollante che si reca da sola a comperare il latte, vuole subito commuoverci e portarci dalla sua parte. I suoi anni giovanili (interpretati da una bravissima Alexandra Roach, più credibile anche perchè meno bella) sono tutto un inno alla sua intraprendenza, alle sue idee quasi femministe (dentro un partito super conservatore), al suo coraggio di andare avanti da sola anche contro tutti. Lo stesso quando arriverà alla massima carica di potere, primo ministro per 11 anni, appare sempre come la salvatrice della patria, l’unica con la determinazione di darle gloria e onore. Ronald Reagan, che probabilmente era il suo vero ispiratore e suggeritore, si vede nel film solo in un fuggevole ballo senza che si scambino una parola. Quello che ci sembra mancare al film, ma sarebbe meglio dire alla sceneggiatura (di Abi Morgan, lo stesso di “Shame“), sono le motivazioni di coloro che l’hanno combattuta, dalle opposizioni politiche e sociali, ai militanti dell’Ira, che pure vediamo nel film tentare di assassinarla con una bomba in casa (ad esempio nessun riferimento al fatto che lasciò morire di sciopero della fame Bobby Sands mentre si trovava in prigione).
Quelle ripetute scene di lavoratori arrabbiati che circondano la sua macchina, sembrano più dei diavoli che persone che lottano per le condizioni di lavoro o per la perdita del medesimo.
Il film si dilunga molto sulla guerra alle Falkland facendola apparire come una priorità assoluta per il buon nome dell’Inghilterra, mentre per le centinaia di giovani vite spezzate era sufficente scrivere una lettera di condoglianze alle famiglie.
Sicuramente l’aspetto storico è il più debole e lacunoso del film, che tenta di riscattarsi insistendo sull’attuale condizione di vita della Thatcher malata di alzheimer, ma sempre orgogliosa di tutto quello che fatto nella sua vita, praticamente sola ma sempre in dialogo col marito Denis morto da diversi anni (interpretato da Jim Broadbent – Oscar per Iris, un amore vero), che qui sembra anch’esso un suo suddito, mentre in realtà fu un suo grande consigliere.

Impossibile un confronto, ad esempio, con J. Edgar, il film di Clint Eastwood che riesce a scavare nel profondo del protagonista, risaltandone contraddizioni e sofferenze intime. Il film della Lloyd non ci dice nulla di nuovo e tace su molto.L’umanizzazione del personaggio è più di facciata che di sostanza. Vale vederlo solo per l’ennesima prova di una grandissima attrice (qui truccata in modo più credibile che DiCaprio) e di tutto il cast.

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