Dalla rassegna stampa Libri

Il corpo spezzato di papà

PROSA IL NUOVO TESTO DI ÉDOUARD LOUIS INSISTE SULLE RESPONSABILITÀ DEI POLITICI SULLA VITA DEGLI ULTIMI. «VANNO DIFESI, NON IMPORTA SE SIANO BRAVE PERSONE»

Il corpo spezzato di papà è colpa di Sarkozy e Macron Io li accuso, è giusto così

«Per mio padre, una decisione politica di Emmanuel Macron o Jacques Chirac è qualcosa di intimo, quanto un bacio o la prima volta che ha fatto l’amore. Fa parte della storia del suo corpo», dice Édouard Louis, il giovane scrittore protagonista nel 2014 del caso letterario Il caso Eddy Bellegueule, che si è confermato con Storia della violenza e pubblica adesso in Italia Chi ha ucciso mio padre. Louis torna a parlare della sua famiglia di sottoproletari del Nord della Francia, in particolare del padre un tempo omofobo, razzista e violento e oggi fiero di lui, in un testo breve, pensato per il teatro. Un libro potente, di lotta politica e letteraria insieme, in cui Louis fa i nomi dei responsabili della disgrazia morale, sociale e fisica del padre: Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy, Emmanuel Macron, Martin Hirsch e altri.

In «Chi ha ucciso mio padre» sono presenti i problemi denunciati poi dal movimento dei gilet gialli. Sentiva che il momento della battaglia sociale stava per arrivare?

«Ho finito il libro nel dicembre 2017, molto prima che i gilet gialli scendessero in strada, ma sono questioni che esistevano già da tempo nella mia testa, attraverso il corpo di mio padre e di mia madre: l’impossibilità di comprare medicine, di nutrirsi in modo decente, la fame, l’angoscia di arrivare alla fine del mese. Prima ancora che alla politica ho pensato a questo libro come a una storia personale. Quando ho visto come stava mio padre a cinquant’anni, con la schiena spezzata, ho voluto spiegare che le condizioni del suo corpo derivano dal posto che gli è stato assegnato nel mondo, non sono una fatalità».

La scelta di indicare gli «assassini» di suo padre, che è ancora in vita, ha fatto molto discutere.

«L’ho fatto per togliere alla politica quella dimensione tecnocratica, astratta, che sembra avere da troppo tempo. Le decisioni politiche non cambiano poi molto le vite di noi che viviamo abbastanza comodamente a Parigi. Ma quando l’allora presidente Chirac toglie il rimborso di certe medicine e mio padre, che quindi non può più comprarsele, l’incidente in fabbrica lo costringe letto, senza potersi muovere. È impossibile parlare di mio padre e delle classi popolari senza parlare delle decisioni politiche».

Il libro poggia su due pilastri: registro personale e politico.

«Perché i due elementi si incrociano. A un certo punto racconto che mio padre, a causa dell’ideologia della virilità, non ha mai detto “ti amo” a mia madre. Quando ha compiuto quarantacinque anni lei lo ha lasciato e questo lo ha distrutto, perché lui la amava davvero ma non poteva dirglielo, secondo i codici della sua classe sociale e dell’ambiente nel quale siamo cresciuti. Se chi ha potere avesse fatto qualche cosa contro la violenza della cultura machista, mio padre oggi avrebbe una vita molto diversa».

È un modo per alleggerire le sue responsabilità?

«No, è per attribuirle a chi le ha davvero, le porta sulle spalle. Mio padre non ha mai avuto accesso ai viaggi, alla letteratura, alla conoscenza, a un minimo di cultura e di istruzione. La sua responsabilità è molto inferiore a quella di chi ha studiato e ha fatto una carriera tale da avere in mano gli strumenti per cambiare le cose, se solo avesse voluto. E non è vero che tutto “complesso”, come si usa dire per trovare scusanti ai potenti. Angela Merkel ha deciso di accogliere un milione di migranti, Macron no. Queste persone hanno il potere di cambiare le cose, se le persone annegano nel Mediterraneo non è colpa del sistema né della ”complessità”. Un migrante che perde un figlio nel Mediterraneo paga sulla sua storia personale una decisione o una mancata decisione di Macron, esattamente come per mio padre togliere 5 euro di aiuti sociali al mese vuol dire mangiare meno».

Lei rimprovera a Hirsch, all’epoca collaboratore di Sarkozy, di avere trasformato gli aiuti sociali, che nel passaggio da «Rmi» a «Rsa» sono diventati condizionati all’accettazione di un posto di lavoro.

«“Dovete tornare al lavoro altrimenti perdete il diritto agli aiuti”, questo veniva ripetuto dall’amministrazione ai poveri. Mio padre aveva la schiena a pezzi per l’incidente in fabbrica ma doveva accettare di fare lo spazzino a 30 chilometri da casa altrimenti perdeva ogni aiuto».

In questi giorni Hirsch pubblica un libro in risposta a «Come ho ucciso suo padre», nel quale contesta le sue tesi. Lo ha letto?

«No, non mi interessa, sono immerso nella scrittura del mio quarto libro. Ne ho sentito parlare. Ma trovo bizzarro questo meccanismo che esiste da sempre, quando denunci i violenti dicono che il violento sei tu. È successo anche con i gilet gialli, che invece hanno avuto il merito di fare emergere la realtà. In Francia se sei operaio hai il 50% in più di possibilità di morire prima di 65 anni. Se sei gay hai 4 volte più probabilità di suicidarti durante l’infanzia e l’adolescenza, se sei una donna puoi morire sotto i colpi di un uomo, se sei nero o arabo puoi essere ucciso dalla polizia come è successo a Adama Traoré (morto durante un controllo a 26 anni nel 2016, ndr). La politica provoca effetti sui corpi. Tutta una parte del mondo politico non smette di mascherare questo, come se la politica fosse una questione di gestione, o di estetica, di visione della società, o di concetti vaghi come il vivere insieme».

Ma c’è il problema che i gilet gialli si sono resi protagonisti di atti e slogan antisemiti, razzisti, omofobi.

«So benissimo che le classi popolari nelle quali sono cresciuto hanno al loro interno anche persone omofobe antisemite, razziste, le conosco bene, è il mio mondo e ne sono stato vittima. Ma questo non mi impedisce di battermi per loro. Ci si batte contro le ineguaglianze, contro la povertà e la discriminazione di classe, non mi interessa sapere se il singolo lo merita o no. Io lotto contro le violenze poliziesche nel comitato Adama, parlo dell’omosessualità, quando manifesto per salvare i gay in Cecenia forse difendo anche qualche gay mascalzone ma la questione della politica non ha niente a che vedere con il registro della stima e dell’amore. Non penso che il popolo sia più nobile e più giusto, sin dal primo libro cerco di sbarazzarmi di questo pasolinismo. Questa mitologia del buon selvaggio, dell’autenticità del povero è diffusa ma è una forma di ideologia capitalistica, di meritocrazia. Mi batto contro la povertà, non mi interessa se mio padre lo merita. Lotto perché è giusto».

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