Dalla rassegna stampa Cinema

Viggo Mortensen "Altro che razzista detesto i pregiudizi"

ARIANNA FINOS
Dopo le polemiche dei mesi scorsi per una frase politicamente scorretta l’attore americano è in corsa per l’Oscar per il suo ruolo in “Green book”

Perfino Viggo Mortensen, l’artista più cosmopolita e multiculturale del mondo, era inciampato nel politically correct americano: pronunciando la parola “nigger” in pubblico, qualche mese fa, pareva aver messo fine alla sua corsa all’Oscar.
E invece Green Book, il film di Peter Farrelly (presentato alla Festa di Roma e in sala giovedì con Eagle) sull’amicizia tra il pianista di colore Doc Shirley e il suo autista italoamericano Anthony Vallelonga in un tour nel Mississippi razzista degli anni 60 è candidato a cinque statuette.
Comprese quelle ai due attori, Mahershala Ali e Viggo Mortensen, che è ingrassato venti chili per somigliare al vero Tony Lip, protagonista della vera storia.
All’incontro l’attore di origini danesi, ha recuperato forma e fascino.
Lei non è il primo attore a cui si pensa per il ruolo di un italoamericano sovrappeso.
«Ero molto spaventato. Non volevo una caricatura. Tony è una persona reale, molto diversa da me. E ci sono tanti ottimi attori italoamericani che abbiamo visto in film e serie tv. Ho detto a Peter: perché non ti rivolgi a uno di loro?
“Perché immagino te”, ha risposto. Mi sono ricordato che David Cronenberg aveva detto la stessa cosa per interpretare Sigmund Freud. Così mi sono fidato. E volevo girare con Mahershala».
Come ha lavorato sul vero Tony Lip?
«Ho studiato i video in cui raccontava tante cose, incluso questo viaggio. E poi sono entrato nella sua famiglia. Ricordo il primo pranzo di cinque ore al loro ristorante nel New Jersey.
All’inizio ero nervoso, alla fine pieno di cibo. Guardare come si muovevano e parlavano è stato fondamentale e Nick, che ha scritto la storia di suo padre, ha collaborato alla sceneggiatura.
Qualche parente ha recitato nel film. Tra un ciak e l’altro, nelle scene a tavola, continuavano a mangiare, e al diavolo la continuità… divertenti».
Anche lei lo è, nella sua prima prova comica.
«Non sapevo di esserne capace. Ho sempre visto la commedia come un genere diverso, invece alla base della recitazione c’è sempre l’ascolto e la reazione. Se ascolti e stai attento allora la tua reazione sarà buona, reale, onesta, vera. E quindi giusta».
È ingrassato venti chili.
«Decisamente più facile e più divertente metter su peso che poi doverlo perdere. Per diventare Freud ero ingrassato poco, anche per Carlito’s way. Ma stavolta è stato davvero troppo e non salutare».
Lei è cresciuto attraversando varie culture, danese, argentina, americana. Questo le ha ripulito il Dna dal pregiudizio?
«Credo che non esista, dentro di me. È vero che fin da bambino, viaggiando sono entrato in contatto con culture diverse e questo mi ha reso già aperto. Ma ancor di più ha fatto la mia professione, o ancor meglio il modo in cui la vedo io. La cosa importante è capire e adottare un punto di vista diverso dal proprio.
Essere attore significa avere la mente aperta».
Il razzismo, la diffidenza verso il diverso, è questione antica e attualissima.
«Al centro di questo film c’è il pregiudizio. L’intenzione di andare oltre la prima impressione, quella che si forma in base a ciò che altri ti hanno detto di pensare. Tony all’inizio pensa che Doc sia noioso, snob, chiuso; l’altro pensa che lui sia un bruto, offensivo, stupido. E poi imparano di più l’uno dell’altro. Ma il film non ti dice cosa pensare, non è un documentario sul razzismo, non è politico o ideologico.
È una bella storia che fa ridere, piangere e apre una prospettiva.
Purtroppo ora, in Italia in Usa in Francia in Spagna, quelli che dovrebbero dare il buon esempio — presidenti, premier, leader negli affari — preferiscono essere ignoranti o fingere di esserlo perché serve a fare soldi, conquistare o mantenere il potere. E così promuovono l’ignoranza, la divisione, la misoginia, l’omofobia, il sentimento anti immigrati. Quel che noi possiamo fare è condividere esperienze che sono in disaccordo con questo limitato punto di vista. Green book andrebbe visto nelle scuole, è la dimostrazione del perché sono state importanti le leggi sui diritti civili, perché lo sono ancora oggi».
Ora prepara un film da regista e protagonista.
«Si chiama Falling, “cadendo”.
Racconta il rapporto tra un padre e un figlio, una relazione conflittuale che si evolve malgrado i limiti. L’ho anche scritto, è ispirato a certi aspetti della mia vita, della mia famiglia».

Prendere peso è più divertente che perderlo. Ma stavolta è stato davvero troppo

La star
Viggo Mortensen, 60 anni, torna nelle sale giovedì con Green book

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