Il canto libero della pallavolo muro all’ipocrisia
MATTIA CHIUSANO
Il coming out di Egonu ultima espressione di uno sport laboratorio, in cui le atlete superano i tabù senza nascondersi
Libere di schiacciare, libere di essere. Di vivere quel che si sente, in un microclima che nutre la multiculturalità, ma anche la spontaneità, la possibilità di esprimere gli orientamenti, i tradimenti, le gelosie, le preferenze. Il volley libero, che non si nasconde e mura l’ipocrisia. Il coming out di Paola Egonu è solo l’ultima manifestazione di uno sport abituato a raccontarsi, in un libro, in un’intervista. « Dopo la finale persa al Mondiale sono tornata in albergo e ho chiamato la mia fidanzata » le parole dell’opposto azzurro al Corriere della sera.
«Piangevo e lei mi ha consolata, mi ha detto che le sconfitte fanno male, ma sono lezioni che vanno imparate. E che ci avrei sofferto, però, poi sarei stata meglio». Così, senza giri di parole: «Ho una fidanzata, lo trovo normale » . Ma non sempre è stato così semplice, nemmeno per uno sport nato per essere avanti.
Il passato
I tabù scompaiono verso la fine degli anni Novanta. Subito dopo diventa normale per le giocatrici parlare liberamente. Esprimere desideri e diritti, compreso quello per la maternità, fatto anche da battaglie sindacali. Lo sradicamento dalle famiglie per andare a vivere adolescenti in appartamento insieme ad altre compagne, l’arrivo in Italia di giocatrici brasiliane, cubane o americane. Sotto rete è pronta la rivoluzione, mentre altri sport continuano con l’etica della famiglia tradizionale e delle scappatelle tenute sotto silenzio.
Il tradimento «Lo sapete cosa significa avere due uomini contemporaneamente, senza che nessuno sappia? Che quando arriva la convocazione in Nazionale sei felice, è come andare in villeggiatura » ha spiegato in un’intervista a Repubblica Maurizia Cacciatori, 228 presenze in Nazionale. Confessando il tradimento come a un’amica davanti a un aperitivo. La stessa naturalezza con cui ricordava la fine del fidanzamento con Pozzecco: «Ho abbandonato Gianmarco a dieci giorni dall’altare. Gli ho salvato la vita, lo sa anche lui, ma non è stato facile».
Il sesso
Un’altra icona dello stesso periodo della Cacciatori, Francesca Piccinini, non si è spaventata quando le Iene la sottoposero ad un’intervista hard cominciata con la domanda « Come lo faresti dentro una Smart?». Impassibile, lei ha ribattuto: «Lui sotto, io mi calo dal tettuccio, con le gambe aperte…». Poi via con dettagli sull’amore in ascensore, le avances nello spogliatoio, il sesso consumato con un compagno vestito ” da Piccinini”, ma senza manette perché così non le andava.
Il transgender
In una clinica di Malaga ha appena rifinito i lineamenti del viso Tifanny Pereira Da Abreu, rendendo il suo sorriso ancora più femminile. Anche lei ha giocato in Italia, ed ora è compagna di squadra di Valentina Diouf al Sesi Volei Bauru, in Brasile. Ma fino al 19 febbraio 2017 di partite ne aveva giocate solo nei campionati maschili, quando si chiamava Rodrigo prima di fare il grande passo e cambiare sesso. Innescando un dibattito sulla potenza della sue schiacciate, coi suoi sostenitori a ricordare che il 60 % della forza era andata perduta. Di sicuro per le sue compagne italiane è stata un mito. In un club calabrese di A2, a Palmi, provincia di Reggio Calabria.
La gelosia
Nel dolciastro mondo dello sport in cui si incensano compagni di squadra che si detestano, fa testo un passaggio del libro Senza rete di Maurizia Cacciatori. Parla della gelosia tra donne, bellissime e campionesse. “Smettete di fare le pecore, dovete essere vive” urlava Ana Paula De Tassis, fuoriclasse brasiliana arrivata per sferzare lei e le sue compagne. « A complicare le cose» ricorda Maurizia «c’era poi il fatto che piacesse un sacco agli uomini, entrava in una stanza e ne avvertivi la presenza ancora prima di vederla. E per le compagne, anche per ciò che riguarda le relazioni con i maschi, accettare di essere la numero due è dura da digerire». È pallavolo, anzi di più, è vita.
Argento azzurro
Paola Egonu, 19 anni, dalla scorsa stagione gioca a Novara. Ai Mondiali è stata premiata come miglior schiacciatrice del torneo
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Rachele Bruni “La mia dedica a Diletta amare non è una vergogna”
Sta già pensando alle Olimpiadi di Tokyo, a qualificarsi attraverso i prossimi mondiali in Corea del sud. Ma come pensa agli ultimi Giochi di Rio, Rachele Bruni, 28enne fiorentina, sente un brivido. Non è solo la medaglia d’argento nella 10 km di nuoto di fondo. È anche il dopo. La dedica alla sua compagna Diletta, il primo coming out italiano in un’Olimpiade. E le parole di Paola Egonu le sente anche un po’ sue.
Che effetto le hanno fatto?
«Sicuramente sono una cosa bella, è sempre bello quando senti tutto l’amore che c’è in giro».
Sente di aver aperto una strada, facilitando ragazze come Paola?
«Io sono felice per lei, perché è riuscita ad abbattere un muro.
Ormai dovrebbero non esserci più, questi muri, in fondo siamo nel 2018. Eppure esistono ancora, non posso negarlo».
Muri, dice proprio così.
«Dobbiamo abbatterli, e lasciare spazio all’amore».
Sembra facile, ma se ne parla il cammino forse non è ancora compiuto.
«Infatti dobbiamo impegnarci tutti noi sportivi, che siamo un simbolo, dobbiamo avere il coraggio un po’ alla volta di fare coming out. Far capire chiaramente che non ci vergogniamo dell’amore che proviamo».
Alle Olimpiadi di Rio si era preparata per quel gesto
divenuto storico?
«Veramente no. Pensavo alla gara, a presentarmi al meglio, alla medaglia che poi è arrivata, bellissimo quell’argento».
Eppure, a un certo punto ha cominciato a parlare.
«Ed è venuto tutto spontaneamente, come è giusto che sia. Diletta era venuta in Brasile per seguire la mia gara, io ero felice per l’argento e per la sua presenza, ho dedicato quel momento a lei. Normale no?».
La sua vita è cambiata da allora?
«Non è cambiato niente. Con Diletta viviamo a Roma, siamo sempre molto unite. Io continuo ad allenarmi pensando alle Olimpiadi, lei che non è impegnata nel mondo dello sport continua la sua attività (si occupa di crowdfunding per alcune ong, ndr) ».
C’è qualcosa che le ha dato fastidio dopo il suo coming out?
«Sopratutto l’accanimento».
In che senso?
«Vivere la mia vicenda personale come uno scoop, qualcosa di incredibile, un risalto mediatico che certo non mi aspettavo».
Però alle Olimpiadi non era mai successo, i muri si abbattono con gesti come i suoi.
«Ma io nella mia ingenuità non ci pensavo, ho fatto qualcosa che apparteneva alla mia vita, che era in sintonia con quello che provo, non pensavo a conseguenze del genere. È solo amore, appunto, è quello che dobbiamo saper raccontare».
– m.ch.
Rachele Bruni, argento a Rio, primo coming out italiano a un’Olimpiade