Unioni civili, lo stop della Consulta: il nuovo cognome non cambia l’anagrafe
No al ricorso di una coppia gay: quello «comune» scelto dai due ha solo «valore d’uso»
E. Teb.
Le coppie dello stesso sesso che stringono un’unione civile possono assumere un cognome comune solo come «cognome d’uso senza valenza anagrafica». Senza cioè che questo comporti la variazione dei documenti del consorte che ha assunto anche il cognome dell’altro. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale dopo l’udienza di ieri sul caso di una coppia di uomini di Lugo — i primi a contrarre un’unione civile in Italia dopo l’approvazione della legge Cirinnà —, Gianluca Zoffoli, 56 anni, e Giovanni Giovannini, 59. Quando i due si sono uniti civilmente, il 24 giugno del 2016 nel Ravennate, Gianluca ha assunto il cognome Zoffoli Giovannini sulla scheda anagrafica (il documento in base al quale vengono redatti carta di identità, passaporto e codice fiscale), come previsto anche dal decreto ponte varato per permettere l’applicazione immediata della norma.
Sei mesi dopo, però, quando il governo ha emanato i decreti attuativi — cioè le direttive per applicare la legge Cirinnà — ha previsto che il doppio cognome non modificasse i documenti. Zoffoli e Giovannini si sono allora rivolti al tribunale per opporsi alla variazione d’ufficio del cognome che Gianluca aveva nel frattempo assunto, e i giudici hanno chiesto alla Consulta di verificare se questa modifica non violasse il loro diritto al nome, all’identità e alla dignità personale.
La Corte ieri ha invece stabilito che deve «ritenersi legittima la disposizione dell’articolo 3 del D.lgs. n. 5 del 2017, là dove prevede che la scelta del “cognome comune” non modifica la scheda anagrafica individuale, nella quale rimane il cognome precedente», anche se «resta fermo che la scelta effettuata viene iscritta negli atti dello stato civile». La questione non è solo tecnica: assumere nella scheda anagrafica il cognome del partner significa poterlo trasmettere ai figli, un passaggio fondamentale per le coppie dello stesso sesso che in Italia sono riconosciute come genitori solo a macchia di leopardo. Almeno altre 4 coppie in Italia si erano rivolte ai giudici per mantenere il doppio cognome, tra queste due donne siciliane che avevano avuto una figlia, dando anche a lei il cognome comune. D’ora in poi non sarà più possibile.
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«Per non usare il nome da celibe ho rinunciato perfino a votare»
di Elena Tebano
«Sono molto amareggiato perché la legge Cirinnà prevedeva che potessi scegliere il cognome di mio marito, e sicuramente lo prevedeva quando noi ci siamo uniti civilmente». Il «marito» in questione è Giovanni Giovannini, 59 anni, dottore di Lugo (Ravenna) specializzato in medicina estetica. Gianluca Zoffoli, 56 anni, arredatore di interni, lo ha «sposato» (come dice invariabilmente lui), il 24 giugno del 2016, quando hanno stretto un’unione civile di fronte al sindaco e ha scelto di assumere il suo cognome: da allora sui suoi documenti c’è scritto Gianluca Zoffoli Giovannini. Adesso però la Corte costituzionale ha deciso che il comma 10 della legge Cirinnà in cui si afferma che gli uniti civilmente «possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi», debba essere interpretata in modo tale che questo non incida sui documenti legali. Gli Zoffoli Giovannini, assistiti dall’avvocato Stefano Chinotti di Rete Lenford, si erano opposti.
Gianluca, dovrà tornare al suo nome da celibe?
«Per me è impensabile. Per evitarlo alle ultime elezioni non sono neppure andato a votare».
Cioè?
«Mi avevano detto che per essere accettato al seggio avrei dovuto rifare la carta di identità col solo cognome Zoffoli. Ero in attesa della sentenza, confidavo che avrebbe avuto un esito diverso visto il testo della legge Cirinnà, e intanto non volevo rinunciare a quel documento. Ho preferito non andare alle urne».
Per lei il cognome comune è così importante?
«Fondamentale, gli amici ci chiamano da sempre “i Giovannini”. Siamo io e lui al mondo, quel cognome comune lo rispecchiava».
Non avete figli?
«No, fino a qualche tempo fa sembrava impossibile, ora siamo troppo vecchi: pensiamo che i bimbi debbano avere dei padri, non dei genitori-nonni. Però se penso alle coppie che con questa sentenza non potranno trasmettere il cognome comune ai loro figli, mi dispiace ancora di più».
Da quanto state insieme?
«Tredici anni. Ci ha presentato un’amica comune. Ci diceva da mesi che dovevamo conoscerci, ma Giovanni era sempre impegnato. Alla fine siamo usciti a cena anche con lei. Era l’11 maggio del 2005. A un certo punto io sono andato al distributore a comprare le sigarette, lui mi ha seguito e l’ho baciato lì, in mezzo alla strada. Da allora siamo inseparabili, facciamo tutto insieme, aiuto Giovanni anche nel lavoro. Se avessimo potuto ci saremmo sposati prima».
Lo avete fatto un mese e mezzo dopo l’approvazione della nuova legge…
«Siamo stati i primi in Italia: era così nuova che non c’erano neppure i moduli per le unioni civili. Hanno dovuto usare i soli che avevano: nel certificato autentico, sull’intestazione c’è scritto “atto di matrimonio”. Lo tengo come se fosse una reliquia».
Ora cosa succederà?
«Immagino che dovrò cambiare il passaporto, la carta di identità, il codice fiscale, persino il porto d’armi con cui vado a sparare al poligono: tutti i documenti possibili. Nel frattempo ho anche comprato una casa e nell’atto notarile c’è scritto che è di Zoffoli Giovannini. Non so come dovremo fare per quello. Soprattutto lo trovo ingiusto».
Perché?
«Ci si unisce civilmente anche per essere riconosciuti come coppia. Assumere un cognome comune serve a mostrare subito quell’unione. Sarebbe giusto che le coppie di qualunque natura possano decidere, se lo vogliono, di affiancare i cognomi».
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Il vescovo ai fedeli Lgbt: «Vi riconosco»
«Vi riconosco fratelli». Lo ha detto Marcello Semeraro, vescovo di Albano, e segretario del C9 (il comitato scelto dal Papa), ai fedeli gay, lesbiche e transessuali riuniti sabato nel quinto Forum nazionale dei cristiani Lgbt ad Albano Laziale. Semeraro ha insistito anche sullo spirito di «accoglienza» della Chiesa ricordato più volte dal Pontefice. Il suo discorso alla comunità Lgbt — pubblicato poi per la prima volta sul sito della diocesi — al quale ieri ha dedicato ampio spazio anche il quotidiano della Cei Avvenire, è un ulteriore segnale di apertura nei confronti dei omosessuali e transessuali da parte del Pontificato di Francesco.
da Il Fatto
Unioni civili, la Consulta conferma il decreto attuativo: cancellati un migliaio di “cognomi comuni” dall’anagrafe
Una norma transitoria del luglio 2016 permetteva alle coppie omosessuali di scegliere un cognome solo da iscrivere all’anagrafe e trasmettere ai figli: ma poi il governo ha fatto dietrofront e i documenti già modificati sono stati annullati. La Corte costituzionale ha dato l’ok: “Fase transitoria troppo breve, nessun nuovo tratto identificativo”
La norma che impedisce alle coppie omosessuali unite civilmente di modificare il proprio stato anagrafico, scegliendo un cognome comune, non viola la Costituzione. Lo ha stabilito la Consulta, nella prima decisione su una norma attuativa della legge Cirinnà, il provvedimento che nel giugno 2016 ha introdotto le unioni civili nel nostro Paese. Si tratta, per la precisione, dell’articolo 3 del decreto legislativo numero 5 del 2017, emanato dal governo per dare attuazione alla legge. La disposizione stabilisce che il cognome comune scelto dalla coppia non modifica la scheda anagrafica della persona che lo acquisisce, nella quale resta il cognome antecedente all’unione. La scelta effettuata viene invece iscritta negli atti dello stato civile.
Il pasticcio, però, sta nel fatto che questa norma contraddice un decreto attuativo precedente – il cosiddetto “decreto ponte” del luglio 2016 – che invece permetteva la modificazione dei dati anagrafici. Così circa mille coppie che avevano scelto il cognome comune – magari trasmettendo soltanto quello ai propri figli – se lo sono viste cancellare dai documenti. Una di queste si è rivolta al tribunale di Ravenna, che ha sollevato alla Corte costituzionale la questione se questo annullamento potesse costituire una violazione del diritto fondamentale all’identità.
“Gli spagnoli usano l’espressione ‘uscire dall’armadio’ per indicare il coming out. Questo decreto rimette le persone omosessuali nell’armadio“, ha detto di fronte alla Consulta l’avvocato Stefano Chinotti, legale di Rete Lenford per i diritti Lgbti. Ma i giudici, accogliendo la tesi dell’Avvocatura di Stato, hanno confermato la legittimità del decreto attuativo: la fase transitoria – è il ragionamento – è stata talmente breve da escludere che le novità introdotte in quella fase abbiano determinato l’emersione e il consolidamento di un nuovo tratto identificativo della persona. Il nuovo cognome, dunque, può essere cancellato senza violazione di alcun diritto costituzionale.