L’EX PARROCO DON COSTALUNGA
«Sono gay, celebro messa e ho sposato il mio Pablo. Adesso sogno un figlio»
L’appello ai preti: basta doppie vite, uscite allo scoperto
Davide Piol , Andrea Priante
verona «Sono omosessuale e amo, ricambiato, un uomo. Ma questo non significa che ho rinunciato a essere prete. Può sembrare una contraddizione ma per me non lo è: so bene quale sia, nel mio cuore, il rapporto che ho con Dio e so che nessuno potrà mai intaccare la mia Fede. Continuerò ad essere un sacerdote, in privato».
Cosa intende?
«Mi piace annunciare Dio, e ora lo posso fare in modo libero. Quando sono a tavola, in famiglia, ci facciamo il segno della croce, e preghiamo. Spesso, a casa, celebro messa alla quale partecipano mio marito e qualche amico. E allora indosso una casula arcobaleno che mi hanno regalato al matrimonio, un segno di libertà e di apertura che non ha nulla a che fare con gli abiti religiosi tradizionali».
Perché lo fa?
«Perché se siamo uomini, donne, transessuali o bisex, non importa: Dio ci vuole felici. E adesso posso dire: io sono felice».
Don Giuliano Costalunga parla al termine di una giornata convulsa, iniziata con l’apertura dei giornali che raccontano la sua storia. Quella di un parroco della provincia di Verona che ad aprile è volato alle Canarie per sposare Pablo, l’uomo di cui è innamorato.
Come è nata la vostra relazione?
«Ci siamo conosciuti nel 2008. Un incontro fortuito all’ospedale San Raffaele dove entrambi cercavamo di risolvere dei problemi di salute. Abbiamo cominciato a frequentarci come amici, lui sapeva che ero un prete. Ma poi quel sentimento si è lentamente trasformato in qualcosa di diverso. Nel 2015 mi sono accorto che era diventato amore. Ho subito ottenuto di lasciare la parrocchia per poter riflettere su chi ero e sulla mia omosessualità, e siamo andati a vivere insieme».
Non dev’essere stato facile…
«All’inizio è stato molto complicato, non riuscivo ad accettarmi. Ma in tre anni mi sono chiarito con me stesso, fino ad arrivare alla decisione: tagliare i ponti con la Diocesi di Verona per poter vivere un amore bello, libero, puro, che non ha nulla di volgare e soprattutto non è “triste”, come invece l’ha definito il vescovo Giuseppe Zenti. Non c’è nulla di cattivo in ciò che ho fatto: auguro a tutti i preti di poter provare questo tipo di amore verso un’altra persona, perché è un’esperienza che libera il cuore e l’anima. Spero che la mia storia, suoni come un invito rivolto a tutti i sacerdoti che hanno una doppia vita, a uscire allo scoperto per “fare la differenza”: ciò che è amore non può essere una vergogna. È solo bellezza».
Il vescovo non l’ha presa affatto bene. Per la Diocesi lei risulta essere ancora un prete a tutti gli effetti…
«Non lo sono più dall’8 febbraio, quando con una lettera ho chiesto di essere sollevato dal ministero presbiterale. Il giorno dopo ho incontrato il vescovo, ho ribadito la mia decisione e se lo nega sta mentendo: ho registrato il colloquio e il nastro ora è nelle mani del mio avvocato. Ad aprile, poche settimane prima di sposare Pablo, ho ricevuto una sua mail nella quale mi rimproverava alcune idee che avevo manifestato e che contrastavano con le posizioni della Chiesa, ma anche altre questioni, come il fatto che ho dei tatuaggi e porto l’orecchino. Gli ho risposto di non scrivermi mai più”.
Quali idee?
«Al vescovo non ho mai parlato della mia omosessualità. Nella lettera dicevo di non riconoscermi più nelle tesi dottrinali “ufficiali”: ad esempio, sono sempre stato favorevole alla comunione per i risposati e alle diversità. Ero un prete anticonformista, lo so. E questo ha sempre dato fastidio alla Diocesi».
E ora, lei e suo marito cosa farete?
«Continueremo a vivere a Gran Canaria, dove sanno che sono stato un prete e mi hanno subito accettato con rispetto. Stiamo per conseguire la certificazione europea per la lingua spagnola con l’obiettivo di ottenere l’abilitazione delle nostre lauree e poter lavorare come insegnanti».
Un figlio?
«Lo spero. Ne ho parlato con Pablo: vorrei adottare un bambino, sarebbe il coronamento della nostra famiglia».
belluno Giorno e notte incollati allo schermo del computer alla ricerca di una possibile notizia su Erostrato. È il quadro che emerge dalla perizia chiesta dalla Procura di Belluno sui pc sequestrati a casa di Nemesio e Samuele Aquini, i bellunesi indagati per gli episodi accaduti a Cesiomaggiore e Santa Giustina dal luglio 2017 a febbraio scorso. Incendi di baracche, scritte sataniche e razziste, false lettere all’antrace al sindaco e a una scuola locale, minacce, fino all’ultimo terribile gesto: un pacchetto di caramelle infilzate con gli spilli e lasciate sul cortile di un asilo alla mercé di chiunque, bimbi compresi. La perizia arrivata qualche giorno fa in Procura parla di una ricerca ossessivo-compulsiva nei confronti di Erostrato. O meglio: sugli sviluppi delle cronache locali e nazionali sul caso del mitomane che imperversava nel Bellunese. Tra le ricerche parole come «incendio», «caramelle Haribo», qualsiasi cosa potesse ricondurli a Erostrato. Nel computer è stata trovata anche una cartella intitolata «appunti Er» con gli articoli usciti sul caso. Una coincidenza, forse, con la firma «Er» che il vero Erostrato usava in ogni circostanza. L’unico problema è la data delle ricerche perché i pc sono stati resettati varie volte: non ci sono un giorno e una data precisi ma è possibile risalire più o meno al periodo. Altro dettaglio singolare è che Samuele era solito giocare online a «Liberal crime squad». E come aveva chiamato il suo «avatar»? Erostrato, naturalmente.