Dalla rassegna stampa Movimento LGBT

Padova - Le migliaia del Gay Pride che fanno la festa anche a Salvini

Le migliaia del Gay Pride che fanno la festa anche a Salvini
di Emilio Randon

PADOVA Chiappe felici, seni liberi. E musica e cosce e schiene che neanche al carnevale di Rio. L’unico che non se la beve, il solo maschio fuori posto è un frisone, un cavallo imponente, nero, montato da uno spartano scosciato, in reggiseno d’oro e dorati sono i finimenti della bestia e del carro sul quale si canta e balla con il «Cacao meravigliao».

PADOVA CORTEO PER I DIRITTI DEGLI OMOSESSUALI
Il Gay Pride si prende la città e Salvini diventa un fantoccio
Parata per settemila, c’è chi apre le finestre e applaude mentre nel gruppo spuntano pure i venetisti di sinistra col «gonfaleno»

PADOVA Chiappe felici, seni liberi. E musica e cosce e schiene che neanche al carnevale di Rio. L’unico che non se la beve, il solo maschio fuori posto è un frisone, un cavallo imponente, nero, montato da uno spartano scosciato, in reggiseno d’oro e dorati sono i finimenti della bestia e del carro sul quale una rappresentanza dei 300 delle Termopoli canta e balla con il «Cacao meravigliao».

La musica dà fastidio alla bestia. E la cavalcatura non gradisce: scalpita, scarta di lato, ha sete eppur non beve dal secchio che Leonida gli mette sotto il muso. Ecco, pare che questo maschio sia l’unico apota di una manifestazione per altro travolgente. Festa di popolo e spettacolo di strada, il gay pride di Padova s’è preso la città, l’ha conquistata frastornandola di musica e provocazioni, il primo gay pride del Veneto a egemonia leghista.

Al civico 41 di Riviera Tito Livio una signora applaudiva dalla finestra alle drag queen e un’intera famiglia con bambini si sbracciava in quella accanto, tutti, i passanti e turisti non riuscivano a star fermi al ritmo di «I will survive» e cantavano «Cicale cicale cicale» e accennavano qualche passo con «It is raining man», anche il più cocciuti eterosessuali.

Settemila presenze, festa trasversale, festa inclusiva ma non per tutti. Salvini ad esempio vi figurava penzolante su un pennone leghista con addosso il salvagente dei migranti. Il ministro Fontana veniva schizzato (squirtato esattamente) e la Meloni invitata a «farsi i c. suoi che noi ci facciamo i nostri». Il movimento Lgbt non è impermeabile alla destra, «bella ciao» è partita puntualmente.

Flebili vagiti indipendentisti di lontana parentela leghista e deboli richiami libertari a quel che fu il Popolo delle Libertà c’erano ma nascosti: c’era «Il popolo della famiglia», organizzazione di ispirazione cristiana con un gazebo in Prato della Valle dotato di attiviste e una guardia del corpo per la loro sicurezza, c’erano i «Sancaveneti» (sinistra veneto in dialetto) che di Salvini non vogliono sentir parlare pur definendosi indipendentisti, catalani e gallesi, veneti quindi e gay prima di tutto. È loro l’invenzione del «Gonfaleno», un gonfalone marciano con appendice arcobaleno (gonfaleno, appunto) che sventolavano orgogliosi. «Siamo indipendentisti europei, un nero di Nairobi o un giallo Shangai sono nostri fratelli più di certi gay che votano Lega» dice Giampaolo di Vicenza.

Omosessuali, lesbiche e trans con l’apporto di etero solidali in quantità difficile da misurare. C’erano le famiglie dei figli omosessuali e le dottoresse della «psicologia femminista della liberazione». Eri uomo e sei diventato donna? Hai problemi con la tua nuova identità? L’Ulls di Verona ti aiuta, «ma non si chiama più disturbo della personalità, ora si dice disforia di genere o incongruenza di genere».

La dottoressa Annalisa Zabonati ha assistito più di quattrocento pazienti dal 2011. C’erano i genitori dei ragazzi gay. «Matteo aveva sedici anni e anche una ragazza che si chiamava Giò. Un giorno viene da me e mi dice: mamma, non sono più tanto sicuro che Giò mi piaccia, mi piacciono i ragazzi». «Basta che tu sia libero e felice gli ho detto». Sandra, 53 anni, è di Mestre e dice: «Mio figlio non ha problemi, li ha la società in cui vive e io sono qui per questo».

«Madame pour femme» sembra la marca di un profumo e invece è il carro delle lesbiche. Sotto c’erano cinque ragazze, due sole delle quali lesbiche, alle altre tre di Pordenone piace tutto come da cartello esibito in inglese, il quale grosso modo dice così: «Ragazzi e ragazze, io sto bene con entrambi». Più in là, etero e partecipativo c’era chi inneggiava «alla patata ma supporto la parata».

Dall’angolo di Prato della Valle, il Popolo della Famiglia misurava tutta la sua distanza: «Non siamo amati perché non siamo di sinistra, votavamo Berlusconi e ora non più, ma siamo con i gay, per il loro diritto di amarsi. Ciò che non accettiamo e l’insegnamento gender nelle scuole dell’obbligo».

«Los frocio padanos» erano in due, due omosex di Padova che nella notte dei tempi, all’epoca di Bossi, riscuotevano qualche simpatia: «Con Salvini non è più possibile – dice Cristian, 31 anni di Padova – ai mei amici che votano Lega dico che sono degli imbecilli. La Lega è razzista e fascista, gratta Salvini è viene fuori il fascio. Alcuni gay lo votano: è perché Salvini odia i rom e i migranti, li odiano anche loro e lo votano perché il nemico del mio nemico è mio amico, ma si sbagliano di grosso».

«Padova è una bolla felice, patrocina il Village, è l’amministrazione che ci è vicina, è l’ultima isola rimasta a noi e alla sinistra», Claudio, padovano di 29 anni, ringrazia. «Meno obiettori, più vibratori» chiedono le lesbo. «Dio ha fatto Adamo ed Eva, quindi me li sono fatti anch’io entrambi» sostiene un tizio e per entrambi c’è il gusto della provocazione.

In realtà nessuno più si scandalizza di niente, la festa è euforia e libertà di corpi che ballano. Il signor Diego, con due lauree a sessant’anni, si sta prendendo la terza in «antropologia visiva», scatta foto e fissa volti per farne una storia del costume. «Qui c’è molta politica, io ero al gay pride di Tel Aviv tre settimane e fa non ce n’era così tanta. Là il governo non divide la comunità gay, caso mai contribuisce alle spese tanto che la bandiera con l’arcobaleno Lgbt porta la stella di David».

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Da Re: «Sono antidemocratici e anormali»

Padova «E per fortuna che gli anti democratici saremmo noi…». Gianantonio Da Re, segretario nathional della Lega veneta commenta così i fantocci di Salvini e Fontana issati sui carri del gay pride di ieri a Padova. «Che poi – ragiona Da Re – boutade come questa sono classiche di questi movimenti. Vorrei capire a cosa serve il Gay Pride. Va a finire che le persone normali rischiano di diventare quelle anormali. Ma gli anormali sono loro». Un piccolo spiraglio di apertura lascia poi spazio a un attacco frontale: «Ognuno vive la sua sessualità come meglio pensa e crede ma – incalza Da Re – non serve andare in piazza. È vergognoso che il sindaco conceda il permesso di fare una manifestazione del genere, una cosa vergognosa con due ministri sbeffeggiati così. Ma i frati di Sant’Antonio saranno contenti? Ripeto, è vergognoso, è un classico di una sinistra che ormai non ha più metodi né modi. Questi chiedono di essere democratici e poi trattano così due ministri della Repubblica? Chi di dovere intervenga». (m.za. )

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