Dalla rassegna stampa Società

Don Gallo raccontato dalle Princese

Rossella Bianchi: Ha fondato l’associazione Princesa e ha scritto il libro dedicato a Don Gallo ‘L’amico degli ultimi. Don Gallo visto dalle Princesas’

Don Gallo raccontato dalle Princese

L’amico degli ultimi’, la cronaca di un pezzo di vita nel Ghetto con le trans, verrà presentato mercoledì

donatella alfonso

Quel nome — Princesa — viene dalla canzone di De André che parla di loro, nate uomini ma donne nel profondo, spesso costrette a nascondersi, spinte ai margini, in una vita che, prima del riconoscimento dell’essere transessuali o transgender, riservava loro poco altro che la prostituzione. Principesse, invece, persone vere: come le ha viste don Andrea Gallo. E non è un caso che siano le Princese che ancora vivono e lavorano nei bassi del Ghetto, tra via Lomellini e via del Campo, a curare i fiori e gli spazi comuni di Piazza Don Gallo, l’ex area abbandonata che riporta non solo il nome del prete degli ultimi, ma la sua lezione.
«Il ghetto, quel dedalo inestricabile di vicoli stretti e oscuri adiacenti a via del Campo, dove noi trans abbiamo esercitato dai primi anni Sessanta a oggi. Noi trans, che lui amava al punto da definirci “ i miei apostoli”, e noi andavamo fiere di questo appellativo. A lui, solo a lui, potevamo permettere di rivolgersi a noi usando il genere maschile. Non faceva mistero di definirci in questo modo, lo proclamava in pubblico, lo rivelava ai media e anche in tv. La cosa era arrivata anche alle orecchie delle alte gerarchie che già vedevano col fumo negli occhi tutto questo adoperarsi di don Gallo per le prostitute e per i tossici, figuriamoci per le trans sex workers del ghetto ebraico » . Così Rossella Bianchi, presidente dell’associazione Princesa, promotrice dei diritti e dell’identità sociale e personale dei transgender, scrive nelle primissime pagine di “L’amico degli ultimi, Don Gallo visto dalle princesas”, edito da Imprimatur, che fa seguito a “In via del Campo nascono i fiori” (2014) e “Angeli con le ali bagnate” (2016). Il libro sarà presentato mercoledì 30 maggio alle 17.30 al Museo Biblioteca dell’Attore.
Un percorso di vita vissuta insieme al “Gallo” o “Andrea”, come lei lo chiama, gli incontri, le discussioni, i confronti: a partire dalla prima battaglia vissuta insieme, quando la giunta Vincenzi decise lo sfratto ai “ bassi” del Ghetto per avviarne la riconversione urbanistica e sociale. Ma le trans si trovarono nel dramma: non avrebbero più potuto lavorare. E allora, grazie all’intercessione di una suora laica che le conosceva, eccole a parlare con il Gallo: «Appena arrivate, don Gallo ci ha salutate calorosamente. Il sigaro che gli pendeva dalle labbra, privo degli abiti sacerdotali, tutto sembrava fuor che un prete. Accanto a lui l’assessore al patrimonio urbanistico. Don Gallo esordì “a gamba tesa”. « Assessore, qui come la mettiamo? Queste ragazze devono lavorare, perché si devono mantenere. Non ci sono alternative: o le lasciate lavorare o trovate voi una soluzione » . Senza parole eravamo entrate e senza parole siamo rimaste. L’assessore, aggredito in modo così deciso e frontale, con fare non troppo convinto cominciò a prenderla per le larghe: « Cercheremo di essere comprensivi, ma la situazione… » « Macché comprensivi! Umani dovete essere. Non avete il diritto di sottrarre il pane a chi deve mangiare, e poi queste ragazze sono in casa loro, mica in mezzo alla strada a dare scandalo!» lo interruppe il Don. L’assessore era sempre più in difficoltà: « Vede padre, in un futuro non troppo lontano in quella zona è programmata un’ampia ristrutturazione edilizia » . E don Gallo: «Benissimo. Lei dice fra un anno, due…» e aspirando voluttuosamente il sigaro si prese una pausa, poi tornò alla carica: « Allora facciamo che, quando ci sarà un piano di ristrutturazione, quando sarà approvato e quando si stabilirà un inizio di demolizione, ci ritroveremo qui per studiare l’alternativa » E lì sono rimaste, le Princese.

Don Gallo con le Princese Le trans, che vivono e lavorano nei bassi del Ghetto, don Gallo le chiamava ‘I miei apostoli’ e le difendeva anche dalle istituzioni

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Rossella “Andrea, un prete è stato il primo a dirci che andavamo bene così”

«Questa storia degli ultimi deve finire. Gli ultimi non esistono, a meno che voi non accettiate di esserlo. Ribellione, pacifica e costruttiva ribellione. Io, don Gallo, l’ho conosciuto così»: Rossella Bianchi quando è nata, nel 1942, tra le colline lucchesi, aveva il nome di Mario. Sorride tra i vasi di fiori, di piazza don Gallo, e un po’ le si spezza la voce, quando ripete le parole che hanno cambiato il modo di vivere a tutti i trans, come lei, del ghetto di Genova. Quel reticolo di vicoli che si chiudono affilati nel cielo, tra via Lomellini, via del Campo, via delle Fontane, via Bensa, squarciati nella seconda guerra mondiale da una bomba, che ha frantumato macerie rimaste lì fino al 2014 in uno slargo che si chiamava “piazza senza nome”.

«Don Gallo diceva che questa “é la vostra piazza, la rimetteremo a posto e si chiamerà piazza Princesas – dice Rossella – invece adesso si chiama “piazza don Andrea Gallo, prete di strada”, e siamo contente di averlo qui con noi». Rossella Bianchi ha fondato l’associazione Princesa, ha appena pubblicato “L’amico degli ultimi. Don Gallo visto dalle Princesas”, (Imprimatur), un libro in cui, a cinque anni dalla morte del prete, racconta l’intreccio della sua vita e di quelli che lui chiamava «i miei apostoli», le trans del ghetto.

Quando ha incontrato per la prima volta don Gallo?

«Quando ci volevano cacciare dal ghetto, la sindaca Vincenzi fece un’ordinanza per smantellare i bassi alla Maddalena, ma ci finimmo dentro anche noi. E, anche se eravamo proprietarie dei nostri locali, rischiammo di perdere tutto perché i nostri bassi furono dichiarati inabitabili. Eravamo disperate, abbiamo fatto anche ricorso al Tar, perdendolo: allora ci consigliarono di andare da don Gallo. Un prete? Dissi. Così finisce di bacchettarci. E invece».

E invece?

«Invece lo guardai e pensai: ma questo non è un prete. Con quel sigaro. Ci accolse con il suo sorriso, guardò l’assessore e disse “Come la mettiamo con le ragazze? Devono lavorare e sono a casa loro, quindi troviamo una soluzione”».

Come finì?

«Che don Gallo ci invitò a mangiare alla Lanterna. E ci spiegò che dovevamo costruire un’associazione, che dovevamo uscire dall’ombra, dovevamo farci vedere. Che non eravamo ultime. Che non dovevamo vergognarci. Se le persone ci conoscevano, se ci organizzavamo in associazione, proteggevamo noi e il nostro lavoro».

Qual è la domanda più difficile che lei ha fatto a don Gallo?

«Gli ho chiesto perché non mi aveva mai detto di cambiare vita. E lui mi rispose che la voglia di cambiare vita doveva venire da me. Solo una di noi, Veronica, ha cambiato vita. L’ha aiutata, don Gallo, prima accogliendola in Comunità, poi facendola lavorare in cooperative. Noialtre non vogliamo cambiare vita, tutte abbiamo cominciato malvolentieri, ma poi la possibilità di vivere bene ci ha fatto scegliere di continuare e, per la prima volta, qualcuno, un prete poi, ci ha detto che andavamo bene così».

Don Gallo veniva qui?

«Certo. Entrava nei bassi, si sedeva e chiacchierava con noi. Un prete nel basso di un trans: un gesto fortissimo e, per noi, importantissimo».

Il Comune ha negato il patrocinio al Gay Pride: siete preoccupate?

«Un segnale per nulla incoraggiante, ci ha preoccupato. Però poi il presidente del Municipio, Carratù, che è della Lega, ci ha appena comunicato che affiderà all’Associazione Princesa la gestione della piazza. Per noi questa è una decisione molto importante».

Cosa le manca del Gallo?

«Il senso di protezione che ci dava. Dopo la sua morte ho visto la sua camera da letto: sembrava una cella del carcere. Un lettuccio. Un lavandino con un tubo per l’acqua. Un tavolo e un pc. Da quando l’abbiamo incontrato tutte siamo cambiate. Un cambiamento invisibile, ma fortissimo: interiore. Non ci siamo più sentite ultime».

Rossella Bianchi: Ha fondato l’associazione Princesa e ha scritto il libro dedicato a Don Gallo ‘L’amico degli ultimi. Don Gallo visto dalle Princesas’ (foto Andrea Leoni)

Michela Bompani
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